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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 20592 del 22 novembre 2012

 

Svolgimento del processo

Con atto 21 settembre 2000 R.R. e B.C., anche in nome e nell’interesse del figlio minore R.L. hanno convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Fori il Comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole chiedendone la condanna ai risarcimento dei danni che essi attori assumevano di avere subito nel corso delle stagioni estive del 1998 e 1999 a causa delle immissioni sonore, che avevano superato i massimi stabiliti per legge, provocate dagli spettacoli svoltisi in (omissis) (ove la famiglia R. all’epoca risiedeva), spettacoli tutti autorizzati dalla Amministrazione Comunale convenuta.

Costituitosi in giudizio il Comune ha resistito alla avversa domanda deducendo, da un lato, di essere carente di legittimazione passiva quanto alle pretese fatte valere dagli attori, dall’altro, comunque, la totale infondatezza delle stesse.
Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale ha accolto la domanda attrice, atteso un danno da compromissione alla sfera personale e di vita degli attori ritenendolo in re ipsa, accertata la intollerabilità delle immissioni di rumore.
Gravata tale pronunzia dal soccombente comune la Corte di appello di Bologna, nel contraddittorio degli appellati R. e B. che, costituitisi in giudizio hanno chiesto i rigetto della avversa impugnazione in parziale accoglimento dell’appello – confermata nel resto la decisione dei primo giudice – con sentenza 10 novembre 2008 ha condannato il comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole al risarcimento in favore degli appellati della somma di Euro 3.000, oltre interessi come indicati nella sentenza impugnata compensate le spese di lite del grado.
Per la cassazione di tale ultima pronuncia, non notificata, con atto 22 dicembre 2009 e date successive ha proposto ricorso affidato a due motivi il comune di Castrocaro Terme o Terra del Sole.
Resistono, con controricorso R.R. e B.C. sia in proprio che quali esercenti la potestà sul minore R.L..
Il collegio ha raccomandato la redazione di una motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1. Rileva – in limine – la Corte che deve essere dichiarata la inammissibilità dell’atto 2 ottobre 2012 con il quale gli avvocati Benedetta Gandini, Mauro Cacciaguerra e Renato Caruso si sono costituiti – quali nuovi difensori – del comune di ricorrente.
Il mandato ad litem agli stessi – infatti – è stato rilasciato, dal sindaco pie tempore del comune ricorrente a margine del ricordato atto di costituzione di nuovo difensore e autenticato dagli avvocati Grandini e Cacciaguerra, in violazione del precetto – inderogabile – di cui all’art. 83 cod. proc. civ., commi 2 e 3, nel testo applicabile ratione temporis (e in forza del quale la procura alle liti – ove non rilasciata in calce o in margine a uno degli atti tassativamente indicati nel comma 3 del ricordato comma 3 – deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata).
Irrilevante e non pertinente – al fine di ritenere la validità dell’atto in questione – è la nuova formulazione, assunta per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, dal comma 3 del ricordato art. 83 cod. proc. civ..
E’ sufficiente – al riguardo – ricordare (prima ancora della pacifica giurisprudenza al riguardo di questa Corte regolatrice, cfr. ad esempio, Cass. 9 dicembre 2011, n. 26465; Cass. 26 marzo 2010, n. 7241) la non equivoca formulazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 1, secondo cui – in particolare – fatto salvo quanto previsto dai commi successivi che nulla dispongono in margine alle modifiche introdotte al precedente art. 45), le disposizioni della presente legge che modificato il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore.

Non controverso, da un lato, che la L. n. 69 del 2009 e entrata in vigore il 4 luglio 2009, dall’altro, che il presente giudizio e stato instaurato dagli odierni contro ricorrenti con citazione 21 settembre; 2000 (quindi circa nove anni prima dell’entrata in vigore dell’art. 83, comma 3 nella sua attuale formulazione) è di palmare evidenza la inapplicabilità alla presente fattispecie della sopravvenuta nuova formulazione dell’art. 83 cod. proc. civ., comma 2, senza che rilevi la diversa, successiva data, in cui è stata impugnata, innanzi questa Corte la sentenza della Corte di appello di Bologna depositata il 10 novembre 20081.
2. Come accennato in parte espositiva i giudici del merito hanno ritenuto la responsabilità del comune odierno ricorrente per i danni patiti dai controricorrenti a causa delle immissioni acustiche eccedenti i limiti stabiliti dalla legge verificatisi in occasione di manifestazioni svoltesi in (omissis) negli anni 1998 e 1999, sussistendo in capo al comune i doveri di controllo sulla osservanza delle prescrizioni in materia di inquinamento acustico, anche tramite gli organi, tecnici deputati alle misurazioni e agli accertamenti.
3. La legge 18 giugno 2009, n. 69 Gazz. Uff. n. 140 del 19 giugno 2009, s.o. n. 95/L) ricordata sopra mentre all’art. 47 ha abrogato l’art. 366 bis cod. proc. civ. (introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6) al successivo art. 58, comma 5, ha previsto che le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è staio pubblicato … successivamente alla data di entrata In vigore della presente legge, cioè dopo il 4 luglio 2009.
La pacifica giurisprudenza di questa Corte regolatrice interpreta le sopra ricordate norme nel senso che ove sia oggetto di ricorso per cassazione un provvedimento pubblicato – come la sentenza ora investita di ricorso dal Comune di Castrocaro Terme e Terra del Sole, pubblicata il 10 novembre 2008 – successivamente al 2 marzo 2006, ma anteriormente al 4 luglio 2009 i vari motivi del ricorso stesso, non sono soggetti alla nuova disciplina introdotta dalla L. n. 69 del 2009, ma a quella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 è devono, quindi, concludersi:
– con la formulazione di un quesito di diritto, in caso di ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4; con la chiara indicazione dei fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, qualora il motivo di ricorso sia formulato ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ..
4. Pacifico quanto precede osserva la Corte che il proposto ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo inammissibili entrambi i motivi nel quale si articola.

Parte ricorrente – in particolare – censura la pronunzia sopra riassunta denunziando:
– con il primo motivo, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 447 del 1995, artt. 8 e 14, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, e formulando – ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ. – il seguente quesito di diritto: quali competenze spettano ai comuni in materia di controlli sugli inquinamenti acustici derivanti da attività svolte all’aperto secondo il combinato disposto della L. n. 447 del 1995, art. 14, comma 2, lett. b) e art. 8, comma 6;
– con il secondo motivo, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonchè travisamento del fatto, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, in relazione a un punto decisivo della controversia, omettendo – totalmente – la chiara indicazione del fatto controverso m relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
5. Come anticipato entrambi i motivi sono inammissibili.
Alla luce delle considerazioni che seguono.
5.1. Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice qualora il motivo di ricorso per cassazione sia formulato sotto il profilo della violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, è inammissibile il motivo di ricorso che si concluda con un quesito di diritto assolutamente astratto del tutto svincolato dalla fattispecie, senza confrontarsi con la ratio che sostiene la sentenza impugnata, omettendo totalmente di individuare tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato quanto il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione da parte della Corte possa condurre a una decisione di segno inverso rispetto a quella della sentenza impugnata (tra le tantissime, in tale senso, Cass. 23 maggio 2012, n. 8166, specie in motivazione, nonchè Cass. 16 febbraio 2012, n. 2222, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso1 per cassazione nel quale si denunci la sentenza impugnata sotto il profilo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, qualora il quesito di diritto che lo conclude sia formulato in termini difformi dallo schema delineato in margine all’art. 366 bis cod. proc. civ., dalla giurisprudenza del Supremo collegio, non recando – in particolare – la riassuntiva ma puntuale indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione. Il quesito, infatti, in una tale evenienza si appalesa astratto e generico, privo di riferibiiità al caso concreto in esame e di decisività, tale cioè da non consentire in base alla sua sola lettura di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione, nonchè di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto.
In altri termini, come assolutamente pacifico alla luce di una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, vigente l’art. 366 bis cod. proc. civ., il quesito di diritto deve compendiare:

a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito:
b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice;
c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.
La carenza di uno solo di tali elementi comporta la inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione (in termini, ad esempio, Cass. 29 maggio 2012, n. 8551).
E’ evidente, pertanto, già sotto tale – assorbente – profilo, la inammissibilità del motivo in esame.
5. 2, Parimente inammissibile deve essere dichiarato il secondo motivo di ricorso, atteso – come già sopra evidenziato – che non si conclude con la chiara indicazione del fatto controverso in relaziona al quale – la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Si osserva, infatti, che questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366bis cod. proc. civ. è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di salutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603, nonchè, da ultimo, tra le tantissime, Cass. 30 agosto 2012, n. 14723, specie in motivazione).
Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.
Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie il secondo motivo è totalmente privi di tale indicazione, è palese che deve dichiararsene la inammissibilità (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).
5.3. Per completezza di esposizione si osserva, infine, che non rispecchia il precetto di cui all’art. 366 bis, l’espressione che – a pagina 16 del ricorso – conclude il motivo e del seguente testuale tenore: appare evidente come la sentenza qui impugnata sia in data da gravi errori in judicando per avere utilizzato una categoria di danno (ed esistenziale) inesistente e per avere attribuito sia al fatto che alle presunte conseguenze di danno una gravità e una serietà abnormi, invece di valutare con serenità ed equilibrio che, in una contesto pubblico e sociale come il nostro, a tutti è richiesto quel minimo di tolleranza che la convivenza civile ci impone.
In tali – assolutamente generiche – espressioni, infatti, non è dato comprendere quali siano i fatti controversi in relazione ai quali i giudici a quidus sarebbero incorsi in vizi di motivazione (e le stesse, inoltre, al più, pare sollecitino, da parte di questa Corte una diversa valutazione delle emergenze istruttorie od è noto che una tale richiesta è inammissibile).
6. Il proposto ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

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