Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza del 4 dicembre 2012, n. 21727
Svolgimento del processo
Con citazione ritualmente notificata R.C. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma R.G. , L.S. , I.G. e L.L.T. per sentirli condannare al risarcimento danni subiti in data 8 luglio 1995, quando egli, all’epoca quattordicenne, si era introdotto insieme ad altro ragazzo, in un immobile allo stato grezzo, di proprietà dei convenuti, sito in (…) e, dopo essere salito sul lastrico solare dell’edificio per giocare con un aquilone, era precipitato al suolo, riportando gravi lesioni.
I convenuti resistevano alla domanda, rilevando che l’incidente era addebitabile esclusivamente al comportamento colposo e imprudente del ragazzo che si era introdotto nella loro proprietà interamente recintata.
Con sentenza n. 29298 del 2004 il Tribunale di Roma accoglieva per quanto di ragione la domanda, ritenendo che fosse operante a carico dei convenuti la presunzione di cui all’art. 2051 cod. civ. e che, peraltro, il comportamento colposo del danneggiato avesse contribuito all’evento in ragione del 50%; condannava, quindi, i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 593.722,00 oltre le spese di lite.
La decisione, gravata da impugnazione da parte di G.R. , S.L. , I.G. e L.L.T. e, in via incidentale, anche da parte di R.C. , era riformata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 20.07.2010 accoglieva l’appello principale, assorbito quello incidentale, rigettando la domanda attrice e condannando C.R. al pagamento delle spese del doppio grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.R. , svolgendo due motivi e chiedendo confermarsi la sentenza del Tribunale di Roma o in subordine di cassare con rinvio la sentenza impugnata.
Hanno resistito R.G. , S.L. , G.I. e L..L.T. , depositando controricorso, con il quale hanno dedotto la manifesta infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione
1. La Corte di appello ha ritenuto superata la presunzione di responsabilità per cose in custodia a carico degli odierni resistenti, in considerazione del comportamento gravemente imprudente della vittima, ritenuto di assorbente efficacia causale. A tali effetti ha segnatamente evidenziato, da un lato, che i proprietari dell’immobile avevano fatto quanto consigliato dalla normale prudenza al fine di evitare che terzi estranei potessero accedere nell’immobile e si procurassero eventuali danni (non essendo ragionevole ritenere che essi dovessero apporre delle barriere meno agevolmente superabili, dal momento che il loro scopo non è quello di impedire a tutti i costi l’accesso, bensì di segnalare che l’accesso è vietato) e, dall’altro lato, che il sinistro si era verificato – non già per effetto dell’accesso nell’immobile dei C. – bensì perché quest’ultimo vi aveva intrapreso un gioco pericolosissimo, da cui era derivata la caduta.
2. Parte ricorrente impugna la decisione sotto il duplice profilo del vizio motivazionale e della violazione di legge.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), segnatamente per non avere la Corte di appello considerato le circostanze evidenziate dal giudice di prime cure, rappresentate dall’assenza di cartellonistica con segnale di pericolo e della facile accessibilità all’immobile.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. (art. 360 n.3 cod. proc. civ.), per non avere la Corte di appello considerato che il comportamento del C. non presentava i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità con l’ordinaria diligenza da parte dei custodi.
3. I motivi, che, per la loro stretta connessione, si prestano ad essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
3.1. In via di principio si rammenta che la giurisprudenza di questa Corte – muovendo da un iniziale approccio che ricollegava la presunzione di responsabilità per i danni cagionati da cose “in custodia” solo agli eventi derivanti dall’intrinseco dinamismo della cosa medesima, per la sua obbiettiva consistenza o per l’effetto di agenti che ne avessero alterato la natura o il modo di operare – si è ormai assestata sull’affermazione del carattere oggettivo della responsabilità ex art. 2051 cod. civ., come tale sussistente per la semplice esistenza del nesso causale, spostando l’accento più sul “rischio” della custodia che sulla “responsabilità” della custodia e prescindendo, quindi, dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche delle cose inerti) e senza che rilevi, al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno dell’obbligo di vigilanza. Resta inteso, però, che detto rapporto di causalità non può farsi dipendere dalla meccanica applicazione della regola della condicio sine qua non, ma deve piuttosto riscontrarsi secondo il criterio della teoria penalistica della causalità adeguata, per la quale si considera causa giuridica dell’evento solo quell’antecedente necessario che appartiene ad una sequenza causale che, valutata ex ante, non sia stata alterata da fattori esterni eccezionali, e perciò imprevedibili, e non sia stata così neutralizzata da questi fattori (cfr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15384). In particolare questa Corte è costante nel ritenere che il nesso causale debba essere negato non solo in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l’evento, assumendo il carattere del cd. fortuito autonomo, ma anche nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale e per ciò stesso imprevedibile (c.d. fortuito incidentale), ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (Cass. 25 febbraio 2007, n. 2563 ex multis).
Con più specifico riferimento alla causa esterna prodotta dal fatto del danneggiato è stato, altresì, chiarito che il giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno estraneo alla cosa deve essere parametrato sulla natura della cosa e sulla sua pericolosità, nel senso che quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è tale da essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale dell’imprudente condotta della vittima (costituente fattore esterno} nel dinamismo causale del danno fino ad interrompere il nesso causale tra la cosa ed il danno ed escludere, dunque, la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (cfr. Cass. 17 gennaio 2001 n. 584): in tale ipotesi la cosa svolge solo il ruolo di occasione dell’evento, risultando svilita a mero tramite del danno in effetti provocato da una causa ad essa estranea, rappresentata dal comportamento della vittima.
2.1. Ed è ciò che è accaduto nella specie secondo gli accertamenti della Corte di merito, che ha ricondotto l’accesso nell’immobile – chiaramente precluso agli estranei – ad un mero antecedente storico necessario dell’evento, correlativamente evidenziando il comportamento del tutto anomalo dell’odierno ricorrente che intraprese un gioco pericolosissimo sul lastrico solare, individuato come fatto autonomamente causativo della caduta.
A tal riguardo la Corte territoriale ha evidenziato come, nell’occasione, il C. superò più di una barriera che aveva l’evidente scopo di precludere l’accesso al terrazzo di proprietà degli odierni resistenti (segnatamente: la recinzione che integralmente circondava l’immobile e la porta di ingresso al terrazzo, protetto da un cancello in legno retto contro il muro da un bastone a leva), senza prendere in considerazione neppure la dissuasione ad accedere nell’immobile da parte di un terzo presente sul posto (teste Z. : “non andate più a giocare lì perché cascate”) e intraprese, quindi, sul terrazzo un gioco di estrema pericolosità – quello di fare volare e governare un aquilone – ponendo in essere una manovra di somma imprudenza, quale quella di retrocedere senza prestare attenzione alle proprie spalle in un’area delimitata da un muretto alto pressappoco mezzo metro.
3.2. Si tratta di accertamenti in fatto, come tali riservati al giudice del merito, che resistono alla generica censura motivazionale espressa con il primo motivo di ricorso.
Il ricorrente si limita in buona sostanza a riproporre le diverse (e a lui più favorevoli) valutazioni svolte dal Tribunale che – sia pure riconoscendo il concorso colposo del danneggiato – aveva ritenuto sussistente il collegamento causale con la cosa, sul presupposto della situazione di abbandono dell’immobile, dell’assenza di cartellonistica di pericolo e della facile accessibilità nell’immobile. Senonché si tratta di elementi, esplicitamente o implicitamente valutati e disattesi dalla Corte di appello, allorché, da un lato, ha evidenziato l’idoneità delle barriere apposte a vietare l’accesso a terzi, l’abusiva immissione nell’immobile da parte del C. e l’indifferenza del ragazzo anche agli avvertimenti verbali del terzo e, dall’altro, ha rimarcato l’irrilevanza, nel determinismo causale dell’evento, della maggiore o minore superabilità delle barriere alla luce della condotta abnorme del ragazzo, così come ricostruita.
3.3. Il procedimento logico – giuridico sviluppato nell’impugnata decisione a sostegno delle riportate affermazioni e conclusioni è ineccepibile in quanto coerente e razionale e frutto di un esame accurato e puntuale delle risultanze di causa.
Si rammenta che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito al giudice di legittimità, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una revisione del genere si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente – ed esistano effettivamente – vizi deducibili in sede di legittimità.
Nella specie si è di fronte ad una motivazione immune dai vizi assertivamente lamentati in quanto sufficiente (risultando completa la valutazione delle circostanze rilevanti), logica non contraddittoria.
Neppure sussiste il vizio di violazione di legge, giacché la Corte territoriale ha correttamente valutato i fatti nella prospettiva del paradigma normativo dell’art. 2051 cod. civ. pervenendo ad una decisione che esclude la responsabilità dei custodi in linea con i principi sopra esposti (sub. 3.1.), atteso il ruolo di mero antecedente necessario svolto dalla cosa nel determinismo dell’evento, esclusivamente riconducibile all’anomalo comportamento della vittima, così come ricostruito.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza; la relativa liquidazione avviene come in dispositivo alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140/2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.200,00 (di cui Euro 5000,00 per compensi) oltre accessori come per legge.
Depositata in Cancelleria il 04.12.2012
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