Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza del 22 novembre 2012, n. 45704
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza del 14 maggio 2009 del Tribunale dei minorenni di Messina dichiarava B.V. , imputato – in concorso con il maggiorenne N.L. – del delitto di illecita coltivazione di sostanze stupefacenti del tipo marijuana fatto accertato in (…) e commesso in epoca antecedente e prossima a tale data e, con la diminuente per la minore età e concessa l’attenuante speciale di cui al comma 5 dell’art. 73 D.P.R. 309/90, lo condannava alla pena di un anno di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa.
1.2 Con coeva sentenza il medesimo Tribunale dichiarava il predetto B. , imputato – in concorso con la maggiorenne P.B. – colpevole del delitto di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo hashish. Fatto commesso in (…) e, con la diminuente per la minore età e concessa l’attenuante speciale di cui al comma 5 dell’art. 73 D.P.R. 309/90, lo condannava alla pena di un anno di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa.
1.3. La Corte di Appello di Messina – Sezione Minori – investita dei due separati appelli proposti dall’imputato, previa riunione dei due processi, in parziale riforma delle sentenze di cui sopra, riteneva la continuazione tra i due reati e, per l’effetto, rideterminava la pena complessiva in anno uno e mesi sei di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa, confermando nel resto.
1.4. Avverso detta sentenza propone ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo due distinti motivi: a) vizio di motivazione denunciata come illogica e/o contraddittoria, per avere la Corte territoriale confermato il giudizio di responsabilità in ordine alla illecita coltivazione delle piante di marijuana omettendo di motivare in ordine all’apporto concorsuale prestato al concorrente (l’imputato maggiorenne N.L. ), nonostante la sostanziale assenza di elementi indicativi di un’effettiva attività di concorso del minore nella condotta delittuosa; a1) analogo vizio con riferimento al giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente rinvenuta nella abitazione del minore, ulteriormente deducendo la violazione della legge processuale penale (art. 63 cod. proc. pen.) per avere la Corte – nel confermare il giudizio di colpevolezza -utilizzato dichiarazioni spontanee rese dal minore in assenza del difensore e come tali non utilizzabili in sede dibattimentale; b) identico vizio per avere la Corte in modo illogico ed apodittico inflitto una pena notevolmente superiore al minimo edittale senza esplicitarne le ragioni e per avere, altrettanto irragionevolmente, negato le circostanze attenuanti generiche.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato. Va premesso – per una migliore ricostruzione della vicenda processuale – che al B. vengono addebitate due distinte condotte penalmente rilevanti, oggetto di separati procedimenti poi riuniti in occasione del giudizio di appello. Una delle due condotte riguarda l’illecita coltivazione di alcune piantine di marijuana, attribuita (anche) al B. sulla base di alcuni elementi che la Corte territoriale ha ritenuto altamente significativi: il possesso in via esclusiva delle chiavi di accesso ad un locale all’interno del quale si trovavano le piantine di marijuana e gli esiti di un mirato servizio di osservazione da parte della Guardia di Finanza che aveva notato – nell’arco temporale di una settimana – il minore aggirarsi più volte (unitamente al maggiorenne N. ) davanti quel locale e farvi ingresso (sempre accompagnato dal maggiorenne) mediante l’apertura con le chiavi in suo possesso. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto il concorso del minore – indipendentemente dalla circostanza che anche la madre con lo stesso convivente – avesse la possibilità di accedere al medesimo locale – non solo per via della disponibilità delle chiavi di accesso in forma esclusiva (nel senso che era sempre e solo il B. ad adoperare le chiavi per entrare nell’appartamento e mai il maggiorenne che tuttavia era sempre in sua compagnia) ma anche perché il servizio di osservazione – come ricordato dalla Corte di merito (ed ancor meglio la sentenza di primo grado, sul punto richiamata integralmente) – aveva consentito di appurare che il minore prevalentemente agiva insieme al N. , sicché era del tutto logico considerare i due concorrenti nella medesima condotta illecita.
3. Va, sul punto rilevato che la Corte di Appello territoriale, pronunciandosi sulle doglianze mosse dalla difesa del B. , ha correttamente richiamato gli argomenti sviluppati dal primo giudice, la cui pronuncia si integra con quella di secondo grado formando un unicum. Va ricordato, al riguardo, come da tempo affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, quella di appello si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 1^ 26.6.2000 n. 8886; Cass. Sez. 1^ 2.10.2003 n. 46350), con la conseguente piena legittimità da parte del giudice di secondo grado di una motivazione per relationem. In ultimo – e con specifico riguardo al profilo del concorso nel reato – va evidenziato che nel caso di specie la Corte territoriale non si è limitata ad individuare una condotta di agevolazione, ma è andata ben oltre enucleando una condotta attiva di concorso materiale nella attività di coltivazione logicamente deducendolo dalle brevi e ripetute soste all’interno del locale ove si trovavano le piantine, seguite da altrettanto rapide uscite dal locale che veniva richiuso sempre dal B.
4. Quanto alla seconda delle condotte ascritte all’odierno ricorrente è infondato il motivo con il quale si deduce una illogicità manifesta e erronea applicazione della legge processuale connessa alla indebita utilizzazione di dichiarazioni auto indizianti rese dal B. in assenza del difensore. Va premesso – in punto di fatto ed all’esclusivo fine di ricostruire i passaggi salienti della decisione impugnata – che al B. viene fatto carico della detenzione di un quantitativo – per vero assai modesto – di sostanza stupefacente rinvenuta all’interno della sua abitazione (hashish): ma la Corte territoriale ha dato conto, oltre che del quantitativo ridotto (alla base del riconoscimento già da parte del Tribunale dell’attenuante speciale del fatto di lieve entità), anche di una serie di elementi altamente indicativi della finalità di spaccio della contestata detenzione, evidenziando che l’hashish rinvenuto era già suddiviso in tre piccole dosi e che, posizionati accanto allo stupefacente, vi erano alcuni oggetti univocamente destinati al confezionamento dello stupefacente (bilancino di precisione, coltellini intrisi di sostanza stupefacente; taglierini e rotolo di carta adesivi notoriamente adoperata per il frazionamento in dosi da smerciare). Tali elementi hanno, quindi, consentito alla Corte territoriale di pervenire alla conferma del giudizio di responsabilità in aderenza all’orientamento espresso da tempo da questa Corte di legittimità in tema di detenzione a fini di spaccio dello stupefacente.
5. Precisato che il solo dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dall’art. 73, comma 1 bis, lett. a), D.P.R. n. 309/90 non può valere ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, è comunque rimessa al giudice una valutazione globale del fatto sottoposto al suo esame, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, che consenta di escludere – al di là di ogni ragionevole dubbio – una finalità esclusivamente personale della detenzione in relazione alle modalità di presentazione ed alle altre circostanze dell’azione sono tali da escludere (Cass. Sez. 6^ 12.2.2009 n. 12146, P.M. in proc. Delugan, Rv. 242923). La Corte territoriale ha certamente fatto buon governo di tali criteri, avvalendosi, anche, delle dichiarazioni del minore che corroboravano tale giudizio.
6. La censura rivolta alla Corte territoriale di violazione dell’art. 63 commi 1 e 2 cod. proc. pen. (divieto di utilizzazione di dichiarazioni contra sé rese in assenza di difensore da soggetto che sin dall’origine risultava indagato per il reato per cui si procede) o, a tutto voler concedere, dell’art. 350 comma 7 cod. proc. pen. (in tema di inutilizzabilità in sede dibattimentale delle c.d. “dichiarazioni spontanee” rese senza l’assistenza del difensore), seppur corretta in termini astratti, non è tuttavia in linea con le risultanze processuali concrete. La Corte di Appello messinese ha fatto richiamo, ancora una volta, ai contenuto della sentenza di primo grado che – sul punto – ha ricordato come le dichiarazioni, a ragione giudicate inverosimili, rese dal minore circa l’uso cui era destinato il bilancino e circa la riconducibilità allo stesso della droga rinvenuta asseritamente destinata al suo consumo personale, erano state rese in udienza: è quindi da escludere che si tratti – come erroneamente sostenuto dalla difesa del ricorrente – di dichiarazioni rese in sede extraprocessuale e ancor meno di dichiarazioni spontanee, posto che esse scaturivano da domande rivolte al minore dal Tribunale. Vertendosi in tema di error in procedendo, questa Corte di legittimità ha avuto modo di verificare – attraverso la lettura del verbale dell’udienza del 2 ottobre 2008 – come fosse stato il minore, nella circostanza assistitio dal difensore di fiducia sostituto del difensore titolare, a chiarire – su specifiche domande del Presidente del Collegio (e dunque non in modo spontaneo) – che il bilancino di precisione serviva “a pesare le lettere” e che la droga era di sua pertinenza per uso personale. In modo logico la Corte di Appello (e prima ancora il Tribunale), facendo leva su tali dichiarazioni ritenute inverosimili e sulle altre molteplici circostanze emerse in sede di rinvenimento della droga, ha condivisibilmente escluso, indipendentemente dal dato quantitativo, che quella detenzione potesse essere volta ad un uso esclusivamente personale.
7. Del tutto infondato è, infine, il terzo motivo afferente ad una riferita omessa motivazione da parte della Corte in punto di determinazione della pena e di diniego delle circostanze attenuanti generiche: in aggiunta, infatti, alle puntuali considerazioni della Corte (e prima ancora del Tribunale) circa la gravità dei fatti e l’assenza di segnali di resipiscenza da parte dell’imputato – richiamate in parte qua – la Corte peloritana ha sottolineato i precedenti penali specifici del B. quale ulteriore elemento ostativo non solo ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, ma anche ai fini del calcolo della pena che, peraltro, la Corte ha rideterminato in misura inferiore rispetto a quella originariamente irrogata dal Tribunale per effetto del riconosciuto vincolo della continuazione, in termini, oltretutto, di poco superiori al minimo edittale.
8. Il ricorso va, pertanto, rigettato, senza tuttavia disporre sulle spese stante la minore età del ricorrente all’epoca dei fatti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Depositata in Cancelleria il 22.11.2012
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