Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 9 settembre 2014, n. 37339
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa l’8 aprile 2014 dal tribunale del riesame di Brescia;
udita nella udienza in camera di consiglio del 15 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Brescia confermo’ l’ordinanza 21.3.2014 del Gup del tribunale di Brescia che aveva rigettato la richiesta di (OMISSIS) di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, disposta con ordinanza 13.9.2013 in relazione ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti, di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, ovvero mediante altri artifici, nonche’ di occultamento di scritture contabili, commessi quale amministratore o cogestore di fatto delle societa’ (OMISSIS) srl, (OMISSIS) srl, (OMISSIS) srl e (OMISSIS) srl.; nonche’ del reato di partecipazione ad una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali.
L’indagato, a mezzo dell’avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione deducendo:
1) manifesta illogicita’ della motivazione. Osserva che l’ordinanza impugnata ha dato atto di un complesso progetto criminoso coinvolgente un numero consistente di persone e societa’, e di modalita’ strutturate e sofisticate nonche’ di contributo fiduciario di altri soggetti intranei ad ambienti dediti a frodi fiscali. Al contempo da atto del sopravvenuto sequestro dei mezzi strumentali al perseguimento degli scopi illeciti e dello smantellamento delle imprese, nonche’ della risalenza (a circa due anni) dell’ultimo illecito. Cio’ nonostante ha ritenuto ancora attuali le esigenze cautelari, in modo manifestamente illogico rispetto alle premesse. Infatti, il venir meno della struttura ha determinato la cessazione delle attivita’ criminose, come e’ comprovato dalla risalenza a due anni prima dell’ultimo illecito. Il paventato pericolo di recidivanza quindi non sussiste, tanto meno a livello di concretezza. E’ altresi’ manifestamente illogica la pretesa di dovere constatare ulteriori sintomi di resipiscenza o di dissociazione, quando il piu’ importante di essi e’ dato proprio dalla lunga assenza di altre manifestazioni criminose nonostante il lungo periodo di totale liberta’.
2) inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 274 c.p.p., lettera c). Osserva che il pericolo di reiterazione deve essere tuttora sussistente e concreto. E nella specie concreto e’ solo il dato della constatata, risalente e prolungata inerzia criminale per tutto il lungo periodo di piena liberta’. Di contro, il tribunale del riesame ha in realta’ profilato una eventualita’ meramente astratta e teorica, oltre che improbabile, di recidivanza.
L’indagato, a mezzo dell’avv. (OMISSIS), propone ricorso per cassazione deducendo:
1) manifesta illogicita’ della motivazione. Osserva che l’ordinanza impugnata ha dato atto di un complesso progetto criminoso coinvolgente un numero consistente di persone e societa’, e di modalita’ strutturate e sofisticate nonche’ di contributo fiduciario di altri soggetti intranei ad ambienti dediti a frodi fiscali. Al contempo da atto del sopravvenuto sequestro dei mezzi strumentali al perseguimento degli scopi illeciti e dello smantellamento delle imprese, nonche’ della risalenza (a circa due anni) dell’ultimo illecito. Cio’ nonostante ha ritenuto ancora attuali le esigenze cautelari, in modo manifestamente illogico rispetto alle premesse. Infatti, il venir meno della struttura ha determinato la cessazione delle attivita’ criminose, come e’ comprovato dalla risalenza a due anni prima dell’ultimo illecito. Il paventato pericolo di recidivanza quindi non sussiste, tanto meno a livello di concretezza. E’ altresi’ manifestamente illogica la pretesa di dovere constatare ulteriori sintomi di resipiscenza o di dissociazione, quando il piu’ importante di essi e’ dato proprio dalla lunga assenza di altre manifestazioni criminose nonostante il lungo periodo di totale liberta’.
2) inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 274 c.p.p., lettera c). Osserva che il pericolo di reiterazione deve essere tuttora sussistente e concreto. E nella specie concreto e’ solo il dato della constatata, risalente e prolungata inerzia criminale per tutto il lungo periodo di piena liberta’. Di contro, il tribunale del riesame ha in realta’ profilato una eventualita’ meramente astratta e teorica, oltre che improbabile, di recidivanza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso e’ fondato perche’ esattamente il ricorrente lamenta manifesta illogicita’ della motivazione, la quale mostra di ritenere la misura quasi come una sorta di inammissibile anticipazione della pena piuttosto che una misura preventiva eccezionale, che puo’ consentire la privazione della liberta’ personale, in assenza di una sentenza definitiva di condanna, solo in presenza di un concreto, attuale e grave pericolo di reiterazione di reati della stessa specie (o delle altre previste esigenze cautelari).
Innanzitutto, il ricorrente esattamente ricorda che l’ordinanza impugnata, per rimarcare la rilevante gravita’ dei fatti e il pericolo di recidivanza, si riferisce ad “un complesso progetto criminoso coinvolgente un numero consistente di societa’ e di persone”, ed a “modalita’ strutturate e sofisticate”, nonche’ al “contributo fiduciario di altri soggetti parimenti intranei ad ambienti dediti a condotte di frode ed evasione fiscale”, dando altresi’ atto del “sopravvenuto sequestro dei mezzi strumentali al perseguimento degli scopi illeciti” e del “correlato smantellamento delle imprese riconducibili al prevenuto”, nonche’ della “risa-lenza (a circa due anni) delle fattispecie di ultima realizzazione”. Date queste premesse, l’ordinanza impugnata pero’ non spiega poi la ragione per la quale ritiene “sostanzialmente recessivo ed irrilevante” quest’ultimo dato e tuttora attuali e concrete le esigenze cautelari. In particolare, dopo avere dato atto, da un lato, del rapporto di interdipendenza tra la consumazione dei reati e la sofisticata e complessa struttura personale ed aziendale che l’ha consentita e, da un altro lato, del suo risalente smantellamento nonche’ dalla pari risalenza della “fattispecie di ultima realizzazione”, l’ordinanza impugnata non spiega per quale ragione il venir meno di tale struttura non abbia determinato la cessazione delle attivita’ criminose che la stessa ha potuto consentire e non spiega, soprattutto, perche’ sia irrilevante la “risalenza (a circa due anni) delle fattispecie di ultima realizzazione” nonostante il lungo periodo di liberta’ e perche’ questa situazione non incida sulla attualita’ e concretezza del pericolo di recidivanza.
L’ordinanza impugnata e’ altresi’ manifestamente illogica laddove richiede la presenza di “oggettivi sintomi di resipiscenza, ovvero di dissociazione del contesto illecito di riferimento”, senza spiegare perche’ esclude che possa considerarsi tale la lunga assenza di sospette manifestazioni criminose nonostante l’altrettanto lungo periodo di totale liberta’.
Giustamente il ricorrente lamenta che manca una logica ed adeguata spiegazione del motivo per il quale il pericolo di recidivanza sarebbe attuale e concreto, mentre l’unico dato concreto sarebbe invece costituito dalla constatata, risalente e prolungata inerzia criminale durante tutto il lungo periodo nel quale l’indagato, dopo l’intervento della polizia giudiziaria e sino all’emissione della misura cautelare, ha goduto di piena liberta’. Altrettanto esattamente il ricorrente rileva che la pretesa di surrogare la necessaria concretezza del pericolo con il fatto che sarebbe “ben profilabile una nuova commissione di reati della stessa specie magari con l’ausilio di taluni degli individui (rimasti esenti da provvedimenti di coercizione personale) dimostratisi nel corso delle indagini in stretti legami di collaborazione e cointeressenza”, altro non significa che profilare una eventualita’ astratta e teorica (peraltro finora non verificatasi) e non accertare la presenza di un pericolo attuale e concreto idoneo ad incidere sulla fondamentale liberta’ costituzionalmente tutelata.
Al contrario, il fatto stesso che la misura cautelare sia stata disposta dopo ben due anni dalle perquisizioni e dall’accertamento del novembre 2011, e quindi con riferimento a condotte risalenti nel tempo, richiedeva una motivazione sull’attualita’ e concretezza del pericolo di recidivanza particolarmente specifica ed approfondita.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Brescia, in diversa composizione.
Innanzitutto, il ricorrente esattamente ricorda che l’ordinanza impugnata, per rimarcare la rilevante gravita’ dei fatti e il pericolo di recidivanza, si riferisce ad “un complesso progetto criminoso coinvolgente un numero consistente di societa’ e di persone”, ed a “modalita’ strutturate e sofisticate”, nonche’ al “contributo fiduciario di altri soggetti parimenti intranei ad ambienti dediti a condotte di frode ed evasione fiscale”, dando altresi’ atto del “sopravvenuto sequestro dei mezzi strumentali al perseguimento degli scopi illeciti” e del “correlato smantellamento delle imprese riconducibili al prevenuto”, nonche’ della “risa-lenza (a circa due anni) delle fattispecie di ultima realizzazione”. Date queste premesse, l’ordinanza impugnata pero’ non spiega poi la ragione per la quale ritiene “sostanzialmente recessivo ed irrilevante” quest’ultimo dato e tuttora attuali e concrete le esigenze cautelari. In particolare, dopo avere dato atto, da un lato, del rapporto di interdipendenza tra la consumazione dei reati e la sofisticata e complessa struttura personale ed aziendale che l’ha consentita e, da un altro lato, del suo risalente smantellamento nonche’ dalla pari risalenza della “fattispecie di ultima realizzazione”, l’ordinanza impugnata non spiega per quale ragione il venir meno di tale struttura non abbia determinato la cessazione delle attivita’ criminose che la stessa ha potuto consentire e non spiega, soprattutto, perche’ sia irrilevante la “risalenza (a circa due anni) delle fattispecie di ultima realizzazione” nonostante il lungo periodo di liberta’ e perche’ questa situazione non incida sulla attualita’ e concretezza del pericolo di recidivanza.
L’ordinanza impugnata e’ altresi’ manifestamente illogica laddove richiede la presenza di “oggettivi sintomi di resipiscenza, ovvero di dissociazione del contesto illecito di riferimento”, senza spiegare perche’ esclude che possa considerarsi tale la lunga assenza di sospette manifestazioni criminose nonostante l’altrettanto lungo periodo di totale liberta’.
Giustamente il ricorrente lamenta che manca una logica ed adeguata spiegazione del motivo per il quale il pericolo di recidivanza sarebbe attuale e concreto, mentre l’unico dato concreto sarebbe invece costituito dalla constatata, risalente e prolungata inerzia criminale durante tutto il lungo periodo nel quale l’indagato, dopo l’intervento della polizia giudiziaria e sino all’emissione della misura cautelare, ha goduto di piena liberta’. Altrettanto esattamente il ricorrente rileva che la pretesa di surrogare la necessaria concretezza del pericolo con il fatto che sarebbe “ben profilabile una nuova commissione di reati della stessa specie magari con l’ausilio di taluni degli individui (rimasti esenti da provvedimenti di coercizione personale) dimostratisi nel corso delle indagini in stretti legami di collaborazione e cointeressenza”, altro non significa che profilare una eventualita’ astratta e teorica (peraltro finora non verificatasi) e non accertare la presenza di un pericolo attuale e concreto idoneo ad incidere sulla fondamentale liberta’ costituzionalmente tutelata.
Al contrario, il fatto stesso che la misura cautelare sia stata disposta dopo ben due anni dalle perquisizioni e dall’accertamento del novembre 2011, e quindi con riferimento a condotte risalenti nel tempo, richiedeva una motivazione sull’attualita’ e concretezza del pericolo di recidivanza particolarmente specifica ed approfondita.
L’ordinanza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo esame al tribunale di Brescia, in diversa composizione.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Brescia.
annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Brescia.
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