Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 9 dicembre 2015, n. 48460
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 3/2/2015, il Tribunale di Cagliari giudicava S.E. colpevole della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. e la condannava alla pena di 200 euro di ammenda; alla stessa era contestato di non aver impedito lo strepitio del proprio cane, pastore tedesco, così disturbando le occupazioni ed il riposo dei residenti.
2. Propone ricorso per cassazione la E., a mezzo dei proprio difensore, deducendo due motivi:
– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. II Tribunale avrebbe condannato la E. pur in difetto di qualsivoglia accertamento tecnico, oggettivo, volto a verificare il superamento della soglia di normale tollerabilità;
– violazione dell’art. 659 cod. pen., difetto motivazionale. La condanna della ricorrente sarebbe stata fondata esclusivamente su tre deposizione e – come già indicato – senza alcun riscontro tecnico; non vi sarebbe alcuna prova, pertanto, del potenziale disturbo ad un numero indeterminato di persone, tali non potendosi ritenere tre soli soggetti
Considerato in diritto
3. II ricorso è manifestamente infondato.
II Tribunale di Cagliari, infatti, ha riconosciuto la responsabilità della E. in ragione di plurimi elementi istruttori e, in particolare, delle deposizioni rese da tre testimoni (A.M., G. e G.M.) che – senza alcun motivo di astio o risentimento verso la ricorrente – avevano confermato quanto contestato ex art. 659 cod. pen.; in particolare, che il cane di proprietà della E. era solito abbaiare di giorno e quasi tutte le notti, con grande frequenza, sì da disturbare il sonno, reso quasi impossibile, e recare evidente disturbo al riposo degli stessi, tutti abitanti nelle immediate adiacenze. Di seguito, la sentenza ha esaminato gli elementi di prova indotti dalla difesa, ma – con motivazione logica e congrua – ne ha affermato l’inattendibilità (i testi O. e S. erano ex fidanzati della ricorrente); fino a precisare – emergenza non contestata neppure in questa sede – che la stessa E. aveva ammesso che il cane abbaiava, anche se «non così continuamente come mi si accusava … anche perché il cane dorme, non è che stava 24 ore ad abbaiare di continuo».
Orbene, in forza di questa motivazione – che si apprezza per completezza, congruità e logicità – la sentenza ha richiamato 1) il costante principio secondo cui l’affermazione di responsabilità per la fattispecie de qua non implica, attesa la natura di reato di pericolo presunto, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato (per tutte, Sez. 3, n. 8351 del 24/6/2014, Calvarese, Rv. 262510); 2) l’ulteriore principio, del pari consolidato, per cui l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo o le occupazioni delle persone non va necessariamente accertata mediante perizia o consulenza tecnica, di tal ché il Giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità (per tutte, Sez. 3, n. 11031 dei 5/2/2015, Montoli, Rv. 263433, a mente della quale in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete); 3) la piena attendibilità delle deposizioni assunte, invero non contestata con argomenti concreti neppure nel presente gravame.
Sì da manifestarsi la piena infondatezza degli argomenti dedotti e, in particolare, l’invocata necessità di esperire comunque accertamenti di natura tecnica, nonché di provare il numero indeterminato di soggetti potenzialmente danneggiati, non risultando a ciò sufficienti tre persone.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese dei procedimento nonché quello dei versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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