SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 8 ottobre 2013, n. 41486
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 21/01/2013 la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia di condanna di G.A. alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione per i reati di cui agli artt. 572, 582, 585 e 609 bis c.p. nei confronti della moglie D.M.L. .
2. Ha presentato ricorso l’imputato tramite il proprio difensore. Dopo avere analiticamente riepilogato lo svolgimento del processo in primo grado ed in grado di appello esponendo anche il contenuto delle rispettive sentenze, con un primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per mancata individuazione dei singoli fatti – reato di violenza sessuale. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, secondo cui la denunciante avrebbe contestualizzato sufficientemente nello spazio e nel tempo una parte degli amplessi non voluti, lamenta che l’unico episodio concreto riportato, in un arco temporale di due anni e mezzo di patite violenze, in tutta la sentenza è quello del 01/07/2005, richiamato per di più a titolo esemplificativo; da parte sua la Corte territoriale, senza aggiungere altro, si è limitata a condividere quanto asseritamente argomentato in dettaglio dal primo giudice in tal modo incorrendo in contraddittorietà della motivazione. La mancata esatta individuazione dei fatti di reato sia temporalmente che spazialmente sia con riguardo alle modalità, individuazione concretamente esigibile, ha pertanto impedito il compiuto svolgimento delle prerogative difensive, tanto più essendo invece la parte lesa stata assai dettagliata con riguardo ai meno gravi fatti di maltrattamento e tanto più che i rapporti violenti si sarebbero alternati a quelli consensuali.
Con un secondo motivo si duole della violazione dell’art. 533, comma 2, c.p.p. e del vizio di motivazione con riguardo alla disciplina del reato continuato posto che alla predetta mancata individuazione è seguita la mancata individuazione del reato più grave e della pena base nonché di quella irrogata a titolo di aumento per i reati satelliti.
Con un terzo motivo lamenta il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta credibilità della persona offesa in particolare contestando gli indici elencati dalla Corte territoriale a conforto della veridicità delle dichiarazioni della stessa e segnatamente riportati. In particolare contesta la ritenuta linearità del racconto, la interpretazione data alle ragioni della denuncia, la ritenuta irrilevanza connessa al mancato riscontro di accuse di attenzioni particolari verso la figlia, al mancato racconto delle violenze subite alla sorella e alla madre, alla gelosia nutrita verso il marito, al mancato accertamento medico delle violenze. Lamenta inoltre il mancato raffronto delle dichiarazioni della parte lesa in dibattimento con quelle rese al consulente tecnico del P.M. la cui valutazione avrebbe dovuto rientrare nell’esame della Corte.
Con un quarto motivo lamenta la mancata concessione dell’attenuante ex art. 609, comma 3, c.p. e delle circostanze attenuanti generiche ricollegandosi alle doglianze già svolte in punto di pluralità dei fatti di violenza, posti dalla Corte a base della negata attenuante speciale, e di difetto di motivazione sulla credibilità della parte civile. Evidenzia inoltre a tal fine la lievità del danno cagionato attesa la reale percezione dei fatti da parte della vittima, che ha ritenuto di porre sul medesimo piano la propria esigenza morale di compensazione del torto subito attraverso la richiesta di sanzione penale e il trasferimento di residenza coniugale o, in subordine, l’accoglimento di condizioni favorevoli in sede di separazione. Di qui la violazione dell’art. 133, comma 1, n. 2, c.p.. Censura per le medesime ragioni la esclusione delle circostanze attenuanti generiche tenuto anche conto dello stato di incensuratezza e delle sue condizioni di vita.
Con un quinto motivo lamenta la sussistenza dei medesimi vizi sopra indicati con riferimento alla condanna per i reati di lesioni e maltrattamenti.
3. In data 10/09/2013 il Difensore del ricorrente ha depositato memoria con cui ribadisce il contenuto dei motivi di ricorso.
Considerato in diritto
4. Il primo motivo di ricorso è infondato: a fronte della contestazione del reato continuato di cui all’art. 609 bis c.p. operata al capo d) dell’imputazione specificamente ricondotta ad un arco temporale racchiuso tra il (OMISSIS) e caratterizzata espressamente da una frequenza giornaliera ed anche per più volte nella stessa giornata, il Tribunale ha, in sentenza, espressamente ricordato la descrizione dettagliata da parte della persona offesa degli abusi subiti, appunto, ‘con frequenza quasi quotidiana, spesso più volte nel corso della stessa giornata e perfino durante la gravidanza’ (pag. 12), aggiungendo in particolare quanto ulteriormente riferito circa il fatto che il marito la svegliasse, talvolta, nel cuore della notte pretendendo rapporti sessuali e, esemplificativamente, circa quanto accaduto il primo luglio del 2005, allorquando, il giorno stesso del suo ricovero per partorire, C. l’aveva costretta a subire un rapporto sessuale completo. Da ciò lo stesso Tribunale ha tratto la sufficiente contestualizzazione nello spazio e nel tempo di almeno una parte degli amplessi non voluti.
Va pertanto esente da censure l’argomentazione della Corte che, disattendendo il motivo volto a sostenere una generica collocazione dei fatti, ancorati, come già detto, in primis, dalla sentenza di primo grado allo specifico contesto temporale indicato in imputazione, ha correttamente ritenuto, richiamando la sentenza del Tribunale, il resoconto testimoniale circostanziato e lineare, e ha ribadito, appunto, come la persona offesa abbia spiegato che nel corso della vita coniugale sono stati numerosi gli episodi di violenza sessuale anche con scansione pressoché quotidiana. Né si vede, una volta preso atto proprio della specifica indicazione, in imputazione, di condotte pressoché quotidiane, quale maggiore specificazione avrebbe potuto apportare, rispetto ad una narrazione che in tali termini temporali si è esattamente mantenuta, una meramente formale indicazione di giorni e di mesi (che in tal senso finisce per risolversi, a ben vedere, la doglianza circa l’omessa collocazione temporale).
5. Il secondo motivo, attinente alla violazione della disciplina del reato continuato e delle modalità di individuazione del reato base e dei reati satelliti, è inammissibile ex art. 606, comma 3, c.p.p., attenendo a censura che non è stata specificamente sollevata a suo tempo con l’atto di appello, ivi essendosi unicamente lamentate, quanto al trattamento sanzionatorio, la mancata concessione dell’attenuante speciale e delle attenuanti generiche nonché la entità della pena irrogata in primo grado.
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Va ricordato che la tenuta logica e argomentativa della decisione impugnata deve essere correlata al complessivo costrutto del percorso motivazionale sicché eventuali omesse risposte o risposte, financo, manifestamente illogiche su censure investenti singoli aspetti della decisione impugnata in tanto possono assumere rilievo in quanto incidano in maniera determinante e decisiva sull’assetto motivazionale della pronuncia. Né, del resto, la sentenza di merito è tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente (Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, Caruso e altro, Rv. 250900; Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992, Chirico ed altri, Rv. 191488). Infatti la denunzia di minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto. Al contrario, e1 solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 18163 del 22/04/2008, Ferdico, Rv. 239789; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716). Allo stesso tempo va ricordato che alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260); resta dunque esclusa, pur dopo la modifica dell’art. 606, lett. e), c.p.p. la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 dell’ 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Nella specie, a fronte di sentenza che, condividendo l’analisi svolta dal Tribunale, ha sottoposto, da pag. 3 a pag. 10, a puntuale valutazione il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, dando logica e argomentata motivazione della credibilità della stessa (specie in relazione ai tempi di maturata decisione di formalizzazione della denuncia, sporta per la insostenibilità ulteriore della situazione, già in precedenza informalmente segnalata alle forze dell’ordine) e della attendibilità di quanto dichiarato anche in relazione agli elementi di riscontro esterni (in particolare quelli rappresentati dalla deposizione della sorella D.M.K. in ordine alle confidenze ricevute in ordine a rapporti che, se pure non riferiti nelle loro precise modalità, si caratterizzavano come violenti), il ricorrente pretenderebbe, in realtà, da questa Corte non già un sindacato sulla logicità e compiutezza della motivazione, bensì, mediante il costante riferimento alla erronea considerazione di indici di riscontro, una rinnovata valutazione dei mezzi di prova, operazione, questa, tuttavia, per quanto già detto sopra, del tutto non consentita in questa sede; e ciò a fronte, comunque, di una idonea spiegazione data dalla Corte anche con riguardo a singoli profili evidenziati dal ricorrente quali altrettanti indici di inattendibilità: così è a dirsi per le pretese accuse al marito di attenzioni particolari verso la figlia, in realtà ricollegate dalla Corte, con l’ausilio tecnico del consulente del P.M., alla manifestazione di sintomi provocati nella minore dalle scene di violenza cui ella aveva assistito (pagg. 4 e 7), al mancato accertamento medico delle violenze, rettamente considerato inconferente in particolare in relazione alle modalità dei fatti accaduti in prossimità del ricovero in ospedale per il taglio cesareo (pag. 6), e alle pretese manifestazioni di gelosia della donna, ritenute irrilevanti anche in relazione ai tempi di accadimento dei fatti (pag. 8).
Né può apprezzarsi la censura volta a denunciare una pretesa ‘apodittica selezione del materiale ritenuto univoco’, senza spiegazione del perché lo stesso dovesse ritenersi prevalente su quello conducente ‘verso altri approdi e in ultima analisi verso l’esistenza di un dubbio rilevante’; anche in tal caso, infatti, null’altro si pretenderebbe se non una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
7. Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.
Va ricordato che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, ai fini dell’accertamento della diminuente del fatto di minore gravità prevista dall’art. 609 bis, comma 3, c.p. deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonché al danno arrecato alla parte lesa, anche e soprattutto in considerazione dell’età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi (tra le tante, Sez. 3, n. 45604 del 13/11/2007, Mannina, Rv. 238282).
Nella specie, la Corte territoriale, facendo corretta applicazione del principio appena enunciato, ha ritenuto, con motivazione non sindacabile, che la pluralità degli abusi sessuali, compiuti anche durante la gravidanza ed in prossimità del parto, in un incalzante contesto di sopraffazione e di pieno annullamento della libertà di autodeterminazione della vittima, che doveva soggiacere alle morbosità dell’uomo, ostino alla ravvisabilità del fatto di minore gravità.
Parimenti infondata è la doglianza circa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, stante anche in tal caso la corretta valorizzazione della protrazione nel tempo degli abusi, della pervicacia peculiare dimostrata e dell’assenza di freni inibitori nelle violente aggressioni perpetrate anche in presenza della figlia di pochi mesi. Del resto, costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il fatto che le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale ‘concessione’ del giudice ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen. e che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare considerazione ai fini della quantificazione della pena (cfr. Sez. 6, n. 8668 del 28/05/1999, Milenkovic e altro), considerazione nella specie correttamente non rinvenuta dai giudici di merito.
8. Infine, anche il quinto motivo di ricorso è manifestamente non fondato posto che le argomentazioni della sentenza impugnata, sia con riguardo alle doglianze in ordine alla mancata individuazione dei fatti – reato, sia con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, sia infine con riguardo al negato riconoscimento delle attenuanti generiche, sono state rese, oltre che con riferimento al reato di cui all’art. 609 bis c.p. anche con riferimento agli ulteriori reati contestati.
9. Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali del grado nonché, in favore della parte civile costituita, alla rifusione delle spese di lite da questa sostenute e liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado ed alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile nel grado e liquidate in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.
Leave a Reply