como calcio

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  8 aprile 2014, n. 8153

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 26 maggio 2003 la s.p.a. Como Calcio ha convenuto davanti al Tribunale di Milano la s.p.a. Temporary, chiedendone la condanna al pagamento di Euro 178.218,67, a saldo del corrispettivo promessole tramite un contratto di sponsorizzazione.
La Temporary – società di fornitura di lavoro temporaneo – ha resistito alla domanda, chiedendo in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice, alla quale imputava di avere omesso di esporre il logo Temporary sui biglietti di ingresso e in una serie di altri luoghi pattuiti; di avere esposto il logo di altra impresa accanto al suo sulle maglie dei giocatori ed in servizi fotografici, e di avere dato pessima prova di sé nel corso del campionato 2002-2003, vanificando lo scopo da essa perseguito di ritrarre dalla sponsorizzazione anche vantaggi di immagine e di promozione dei suoi servizi. Donde anche domanda di risarcimento dei danni.
Nel corso del giudizio è subentrato alla soc. Como Calcio, dichiarata fallita, il curatore del fallimento. Con sentenza n. 4903/2006 il Tribunale ha condannato la convenuta a pagare la somma richiesta, oltre interessi e spese di lite, rigettando ogni altra domanda.
Proposto appello principale da Temporary e incidentale dal curatore del fallimento, con sentenza 9-24 febbraio 2010 n. 518 la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado, ponendo a carico dell’appellante principale anche le spese di appello.
Temporary propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste il Fallimento della Como Calcio con controricorso e con memoria.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha ritenuto non dimostrati gli inadempimenti della Como Calcio senza prendere in esame i capitoli di prova testimoniale e per interrogatorio formale da essa dedotti, la cui mancata ammissione nel giudizio di primo grado aveva costituito oggetto di specifica doglianza.
Assume che la motivazione addotta dalla sentenza impugnata, fondata sul fatto che essa Temporary non ha prodotto in appello il suo fascicolo di primo grado, contenente i documenti prodotti, è insufficiente e non significativa, poiché l’ampio capitolato di prova testimoniale da essa dedotto ben avrebbe potuto fornire adeguato fondamento alle sue censure, ed integra violazione delle norme citate in epigrafe, che impongo al giudice di assumere la sua decisione sulla base di tutte le allegazioni probatorie delle parti.
1.1.- Il motivo non è fondato.
In primo luogo la Corte di appello ha richiamato in motivazione l’impossibilità di conoscere “in mancanza di qualsivoglia allegazione documentale, né quali siano le dichiarazioni del Presidente P. , onde valutare la dedotta valenza denigratoria del marchio Temporary, né il contenuto della videocassetta, che attesterebbe la scarsa qualità delle scritte sui rotor, né le pubblicazioni dei quotidiani riportanti foto di calciatori con magliette raffiguranti il marchio di altro sponsor, né quali siano i marchi di altre ditte (neppure indicate) esposti dallo sponsee in violazione del diritto di esclusiva”.
Ha quindi specificato la natura e la rilevanza dei documenti mancanti, ai fini della valutazione della fondatezza della domanda e al fine di poter emettere un giudizio sulle censure rivolte alla sentenza di primo grado: sentenza che, peraltro, ha ritenuto comunque irrilevanti i predetti documenti al fine di dimostrare gli inadempimenti della Como Calcio. In secondo luogo, la sentenza di appello (cfr. pag. 10) ha preso in esame le prove orali dedotte dall’appellante, ma le ha ritenute inammissibili, sul rilievo che i capitoli di prova a suo tempo dedotti “hanno contenuto generico-valutativo o sono superflui, riguardando la conferma di documenti” [peraltro non prodotti in appello, n.d.r.].
In relazione a questo capo della sentenza impugnata la ricorrente non propone in questa sede alcuna censura, neppur nei limiti in cui dette censure sarebbero ammissibili in questa sede, considerato che le valutazioni del giudice di merito sulla genericità e l’irrilevanza delle prove attengono a valutazioni in fatto, non suscettibili di riesame in sede di legittimità, se non sotto il profilo dei vizi di motivazione o del richiamo di principi giuridici errati (Cass. civ. 10 settembre 2004 n. 18222; Cass. civ. 26 ottobre 2005 n. 20682).
Né la Corte di appello poteva prescindere, nel valutare la correttezza o meno della decisione di primo grado sull’ammissibilità e la rilevanza delle prove orali, dalla considerazione delle complessive risultanze istruttorie acquisite al processo, ivi inclusi i documenti prodotti.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 9 del contratto concluso fra le parti il 17.7.2002 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sul rilievo che la Corte di appello ha escluso l’inadempimento della Como Calcio, sebbene la citata clausola obblighi la società sponsorizzata a fornire all’impresa sponsor una dotazione di tre abbonamenti in tribuna d’onore e di due abbonamenti in tribuna centrale ed essa abbia in realtà ricevuto solo posti in tribuna in posizione decentrata.
2.1.- Premesso che la violazione di clausole contrattuali non rientra fra i motivi per i quali l’art. 360 cod. proc. civ. ammette la proponibilità di ricorso per cassazione, sicché il motivo, così come formulato, è inammissibile, analogo giudizio di inammissibilità si impone anche a voler considerare ciò che la ricorrente in realtà voleva dire: cioè che sarebbero state violate, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., le norme di legge che impongono alle parti di rispettare gli impegni contrattualmente presi (art. 1321, 1372, 1218, ecc. cod. civ.).
Ed invero, la Corte di merito ha respinto le censure dell’appellante sulla base di una data interpretazione della citata clausola, secondo cui sarebbe stato attribuito alla sponsor il diritto ai posti in tribuna di onore e in tribuna centrale, ma non necessariamente ai posti centrali delle suddette tribune.
Le censure della ricorrente si sarebbero dovute quindi indirizzare nei confronti della suddetta interpretazione della clausola, denunciandone l’erroneità. Ma è noto che, in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà degli stipulanti e dell’ambito di applicazione dei loro accordi si traduce in un’indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata, da non consentire la ricostruzione dell’iter logico in base al quale il giudice è giunto alla sua conclusione; oppure quando sia ravvisabile la violazione delle specifiche norme di legge che il giudice è tenuto a rispettare nell’esercizio dell’attività interpretativa (art. 1362 ss. cod. civ.). Ciò richiede la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti principi, in mancanza di che la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si tradurrebbe nel sollecitare alla Corte di cassazione una diversa interpretazione: richiesta inammissibile in sede di legittimità (cfr., fra le altre, Cass. civ. Sez. III, 27 gennaio 2003 n. 1192; Cass. civ., Sez. II, 5 ottobre 2001 n. 12518).
3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli art. 1175 e 1375 cod. civ., ed ancora omessa od insufficiente motivazione, nel capo in cui la Corte di appello ha disatteso la sua domanda di risarcimento dei danni all’immagine conseguenti alla cattiva prova data dalla Como Calcio nella stagione 2001-2002, nel corso della quale il campo è stato squalificato per intemperanze dei tifosi ed il Presidente ha rilasciato ai giornali interviste discutibili, all’esito delle quali la squadra è stata retrocessa in serie B.
Richiama l’art. 19 del contratto di sponsorizzazione, che le attribuiva il diritto di recedere anticipatamente dalla sponsorizzazione in caso di ritiro o sospensione della società cedente dal campionato di serie A, e i doveri di correttezza e buona fede che impongono allo sponsorizzato di astenersi da comportamenti sconvenienti e da dichiarazioni denigratorie della società sponsorizzata, tali da mettere in pericolo i vantaggi commerciali e di immagine che lo sponsor si ripromette di ritrarre dal rapporto.
Assume che la gestione poco felice del Presidente P. ha comportato per la Como Calcio un buco di sei milioni di Euro, con il conseguente fallimento e l’imputazione di bancarotta fraudolenta, e che essa sponsor ha effettivamente subito un consistente calo dei profitti di impresa, a decorrere dal gennaio 2003, subito dopo la squalifica del campo del Como Calcio.
4.- Il motivo è inammissibile sia perché non congruente con la motivazione della sentenza impugnata, sia perché non sufficientemente specifico.
La Corte di appello ha respinto la domanda di risarcimento dei danni non sulla base di considerazioni di principio, ma perché ha ritenuto non dimostrati i fatti da cui deriverebbero i lamentati danni all’immagine dell’impresa sponsor. Le affermazioni del ricorrente circa i comportamenti del Presidente della squadra e le sorti del campionato possono costituire fatto notorio fra i tifosi di calcio, ma non necessariamente in altri ambiti.
Né la ricorrente ha dedotto e dimostrato, nelle competenti sedi di merito, l’effettiva sussistenza ed entità delle sue perdite di profitti e soprattutto il nesso causale fra dette perdite e le vicende della Como Calcio: il mero diffondersi di notizie clamorose, anche in negativo, attinenti alla società sponsorizzata, non è detto che abbia sempre e necessariamente effetti negativi per lo sponsor, sul piano pubblicitario. Il clamore e la notorietà fanno comunque circolare il nome e i segni distintivi associati al soggetto di cui si parla, in un mondo – qual è quello della pubblicità – ove non rileva tanto che si parli bene, ma che si parli, di chi vuoi essere conosciuto e ricordato.
La clausola 19 del contratto prevedeva il diritto di recesso in relazione ad una sola e specifica circostanza – la retrocessione della squadra dalla serie A – recesso che peraltro essa sponsor non ha esercitato.
È vero che dal contratto di sponsorizzazione nasce un rapporto caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, nell’ambito del quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede di cui agli art. 1175 e 1375 cod. civ., e che tali doveri possono indurre a individuare obblighi ulteriori o integrativi rispetto a quelli tipici del rapporto (Cass. civ. 29 maggio 2006 n. 12801).
Ma non è sufficiente allo scopo richiamare generici doveri di salvaguardia degli interessi e dell’immagine dello sponsor, senza alcuna specificazione e prova dei comportamenti pregiudizievoli, della loro accessorietà rispetto all’accordo di sponsorizzazione e dei loro concreti effetti lesivi per lo sponsor, al fine di poterli considerare oggetto di obblighi di comportamento patrimonialmente valutabile ai sensi dell’art. 1174 cod. civ., tali da giustificare una richiesta di risarcimento dei danni.
3.- Il ricorso non può che essere rigettato.
4.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

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