Cassazione toga rossa

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 7 aprile 2014, n. 15463

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente –
Dott. GRILLO Renato – Consigliere –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

– S.M., n. (OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d’Appello di LECCE in data 20/02/2013;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcelia;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza;

udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. Angelo Schiano, sostituto processuale dell’avv. A. M. La Scala del Foro di Bari, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. S.M. ha proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di LECCE in data 20/02/2013, depositata in data 26/02/2013, confermativa della sentenza 17/11/2010 emessa dal medesimo Tribunale, sez. dist. Casarano, con cui il medesimo è stato condannato, con il beneficio della non menzione, alla pena sospesa di mesi tre di arresto ed Euro 516,00 di ammenda per il reato di cui alla L. n. 401 del 1989, art. 4, commi 1, 4 bis e 4 ter, commesso in (OMISSIS), per avere, quale presidente dell’associazione culturale ricreativa LAS VEGAS, abusivamente svolto sul territorio nazionale un’attività organizzata all’accettazione ed alla raccolta per via telematica di scommesse su eventi sportivi accettate dalla GI.LU.PI s.r.l., senza la prescritta concessione, autorizzazione e licenza ex art. 88 TULPS, e senza essere in possesso della prescritta autorizzazione del Ministero dell’Economia e Finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, all’uso dei mezzi telematici per la raccolta di scommesse.

2. Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato per mezzo del difensore fiduciario cassazionista, proponendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce il ricorrente, con un primo motivo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e).

Si duole, in particolare, il ricorrente per aver rigettato il tribunale la richiesta difensiva di escussione dei testi di cui alla propria lista testimoniale; rileva il ricorrente che, all’ud.

4/11/2010, il giudice monocratico, richiamando i poteri di cui all’art. 495 c.p.p., comma 4, dopo aver sentito le parti, revocava l’ordinanza ammissiva delle prove testimoniali a difesa; la relativa eccezione veniva sollevata dalla difesa all’atto della pronuncia dell’ordinanza di revoca ed eccepita ritualmente nei motivi di appello, ove veniva dedotta la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 4; difetterebbe, tuttavia, nella sentenza impugnata, qualsiasi motivazione da parte della Corte territoriale in ordine a tale eccezione; in particolare, il giudice avrebbe fatto cattivo uso del potere di revoca, consentito solo se le prove risultano superflue, avendo ritenuto che la deposizione di un solo teste del PM e l’esame dell’imputato fossero sufficienti per decidere il processo; rileva, diversamente, il ricorrente che sarebbe stato necessario sentire il teste della difesa o, quantomeno, il perito tecnico M. Se., che, quale esperto settore, avrebbe potuto chiarire se l’attività dell’imputato si fosse concretizzata in una vera e propria attività di mediazione tra il singolo scommettitore ed il bookmaker; il giudice, invece, revocando l’ordinanza, avrebbe anticipato un giudizio sulla valutazione della prova introdotta dalla difesa, da esprimersi invece necessariamente solo dopo l’assunzione della stessa.

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c), d) ed e).

Si duole il ricorrente per aver la Corte territoriale disatteso genericamente la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 c.p.p., comma 1, ritenendo superflua e meramente esplorativa la richiesta di rinnovazione dibattimentale per l’audizione del Se., qualificato come esperto del settore, senza tuttavia individuare alcun elemento sulla cui base evincere che questi avrebbe potuto chiarire se l’attività dello S. si fosse concretizzata o meno in un’attività di intermediazione tra singolo scommettitore e broker; tale motivazione, oltre che illegittima, sarebbe totalmente illogica, in quanto il predetto Se. era stato indicato nella lista depositata ex art. 468 c.p.p., al n. 6, con la qualifica di perito tecnico elettronico;

inoltre l’ordinanza sarebbe viziata per mancata assunzione di prova decisiva, in quanto, attraverso l’audizione del Se., la difesa avrebbe voluto dimostrare che il ricorrente non aveva posto in essere alcuna attività illecita poichè ogni giocatore era intestatario di un conto nominativo ad esso intestato, dotati di proprio esclusivo Username e PW, attraverso cui il giocatore poteva giocare in qualsiasi momento e da qualsivoglia postazione internet.

2.3. Deduce poi, con il terzo motivo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

Si duole il ricorrente per aver la Corte d’appello ritenuto la sua penale responsabilità in quanto questi non si limitava alla semplice vendita di ricariche di conto gioco, ma interferiva nelle attività di scommessa del cliente e, segnatamente, nella scelta dell’evento sportivo e nell’individuazione della relativa quota, oltre che nella contabilizzazione del denaro che gli veniva consegnato in contanti, dietro rilascio della ricarica del conto di gioco; diversamente, ritiene il ricorrente di non aver svolto alcuna attività di intermediazione, ma di aver svolto solo la vendita di ricariche utilizzate successivamente al fine di giocare, in quanto le giocate avvenivano sui conti intestati ai singoli clienti, dotati di proprie credenziali di accesso, conformemente a quanto stabilito dal decreto direttoriale dell’AAMS 21/03/2006, disciplinante in maniera articolata le cosiddette offerte a distanza mediante appositi centri di commercializzazione e alla nota 8/06/2006, prot.

2006/19783/Giochi/UD; ciò emergerebbe anche dalle deposizioni dei testi e dell’imputato assunti in dibattimento (dep. Manco), che hanno confermato che il ricorrente si occupava solo della vendita della ricarica del conto gioco, mentre il giocatore poteva poi giocare da casa o da qualsiasi punto internet; la circostanza per la quale, in qualche caso, le giocate venivano effettuate sui computer del ricorrente non ne determinerebbe alcuna responsabilità, in quanto le giocate avvenivano sempre sui conti personali dei giocatori.

2.4. Deduce infine, con un quarto motivo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

Si duole il ricorrente per non aver il tribunale riconosciuto le attenuanti generiche, per la mancanza di elementi positivi suscettibili di riconoscimento, non potendo derivare dalla semplice assenza di precedenti penali, motivazione ripresa dalla Corte d’appello nel confermare tale diniego, essendo il rispetto della legge un preciso dovere di ogni persona; lamenta la difesa che tale motivazione sarebbe apparente, in quanto la Corte d’appello si sarebbe limitata, per relationem, a ripetere pedissequamente quanto affermato dal primo giudice, a fronte della indicazione nei motivi di appello di ulteriori elementi a sostegno della richiesta, quali lo scarso allarme sociale dell’episodio e la complessità della normativa.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato per le ragioni di cui si dirà oltre.

4. Quanto al primo motivo di ricorso, ritiene il Collegio che lo stesso sia fondato. Ed infatti, ha evidenziato il ricorrente che il tribunale monocratico aveva rigettato la richiesta difensiva di escussione dei testi di cui alla propria lista testimoniale; in particolare, all’ud. 4/11/2010, il giudice monocratico, richiamando i poteri di cui all’art. 495 c.p.p., comma 4, dopo aver sentito le parti, revocava l’ordinanza ammissiva delle prove testimoniali a difesa. La relativa eccezione veniva sollevata dalla difesa all’atto della pronuncia dell’ordinanza di revoca ed eccepita ritualmente nei motivi di appello (motivo di appello n. 1), ove veniva dedotta la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 4; nessuna motivazione, tuttavia, conterrebbe la sentenza impugnata in ordine a tale eccezione.

La lettura della motivazione della sentenza, rende ragione della fondatezza dell’eccezione; la Corte territoriale, infatti, pur essendo stato proposto motivo di appello (v. atto di appello, motivo n. 1, pagg. 2/3), non ha fornito alcuna motivazione in ordine a detto profilo di censura, limitandosi solo a motivare circa il mancato esercizio del potere di disporre la rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen., senza però nulla dire in ordine all’eccezione sollevata concernente la violazione dell’art. 495, comma quarto, cod. proc. pen. Sul punto, merita ricordare che è viziata da nullità l’ordinanza con la quale il giudice disponga la revoca dell’ammissione di un teste a discarico dell’imputato, nonostante le insistenze del difensore per la sua ammissione; tuttavia, detta nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182 c.p.p., comma 2, con la conseguenza che in caso contrario essa è sanata (Sez. 5, n. 18351 del 17/02/2012 – dep. 14/05/2012, Biagini, Rv. 252680).

4.1. Sul punto, peraltro, deve merita approfondimento la puntuale questione sollevata dal Procuratore Generale di udienza che, nel chiedere l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza, ha richiamato non soltanto i principi fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ma anche recente giurisprudenza di questa Corte che ha fatto coerente applicazione di tali principi (Sez. 5, Sentenza n. 51522 del 2013, non massimata), cui questa Sezione ritiene di dover dare continuità.

Orbene, può convenirsi con la prospettazione difensiva secondo cui viola i diritti difensivi ed è da ritenersi nulla, la decisione del giudice di revocare il provvedimento di ammissione dei testi della difesa, in assenza del requisito, debitamente argomentato, della loro superfluità, secondo il disposto dell’art. 495 c.p.p., comma 4.

Ed invero, il potere officioso di escludere le prove già ammesse ma successivamente rivelatesi superflue, previsto dall’art. 495 c.p.p., comma 4, è dipendente e costituisce null’altro che un limite del principale diritto della parte di difendersi provando, sancito dal precedente comma 2 anche come riflesso processuale del diritto-dovere che le parti del processo hanno a provare i fatti che si riferiscono alla imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena oltre a quelli dai quali dipende la applicazione delle norme processuali (art. 187 c.p.p.).

E il diritto stabilito dall’art. 495 c.p.p., comma 2, corrisponde e ben può essere oggetto di una interpretazione conforme al principio della “parità delle armi” che è sancito dall’art. 6, comma 3, lett. d) della CEDU, a sua volta ripreso anche dall’art. 111 Cost., comma 2, in tema di contraddittorio tra le parti, e che consiste, come è scritto nel precetto sovranazionale, nel diritto dell’accusato ad ottenere non solo la citazione ma anche l’interrogatorio dei testimoni a discarico, a pari condizioni dei testimoni a carico. Ne consegue che l’ulteriore principio del contraddittorio sul terreno della prova, affermato dall’art. 111 Cost., comma 4, sebbene compatibile anche con limitazioni legislative – come quella sul potere di revoca della prova divenuta superflua – che integrano la riserva costituzionale in tema di ragionevole durata, non è per questa via sostanzialmente sopprimibile, pena la implicita abrogazione del diritto stesso.

Anche la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (C. Eur., sent. 22 Febbraio 1996, Bulut e. Austria) pone in evidenza che il principio della parità della armi implica che a ciascuna delle parti debba essere consentita una ragionevole opportunità di presentare la sua posizione, incluse le prove, in condizione tale da non risultare collocata in sostanziale svantaggio rispetto al suo contraddittore. In altri termini, la “superfluità” della prova è l’effetto di un giudizio comparativo che il giudice è ammesso ad esercitare – perchè il contraddittorio con parità delle armi sia assicurato – in relazione ad una istruttoria già espletata quale espressione del diritto di entrambe le parti di concorrere alla formazione della prova anche mediante mezzi autonomi, volti anche soltanto a migliorare la qualità della decisione e comunque ad agevolare la accettazione del risultato decisionale da parte dell’imputato che non è soltanto oggetto del processo ma suo protagonista.

Non può essere, viceversa, quel giudizio, reso in relazione alla istruttoria che deriva dall’esaurimento delle prove indotte dalla sola controparte. Perchè, in tale ultimo caso, a meno che i mezzi di prova indotti dalla accusa e dalla difesa coincidano, non potrebbe dirsi superflua e revocarsi la prova indotta da una parte non ancora posta nelle condizioni di esercitare il proprio diritto difensivo.

Certamente non potrebbe, per principio, dirsi esaurita – e quindi superflua la prova ulteriore – la istruttoria condotta sulla base delle sole prove indotte dalla accusa, dovendosi considerare che queste, anche se tendenzialmente esaustive, non coprono necessariamente tutti gli elementi rilevanti ai fini del decidere e, in particolare, le cause di giustificazione, quelle di non punibilità, le circostanze attenuanti e quelle situazioni di fatto che la giurisprudenza, condiscendente con la prova per presunzione, relega nell’ambito dell’onere probatorio o comunque di allegazione della parte.

Si è dunque prodotta la nullità denunciata dal ricorrente.

5. Procedendo nell’ordine logico e non cronologico di valutazione dei motivi, dev’essere, altresì ritenuta la fondatezza del quarto motivo di ricorso.

Ed invero, la difesa del ricorrente ha eccepito che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe apparente, in quanto la Corte d’appello si sarebbe limitata, per relationem, a ripetere pedissequamente – come riferimento al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche – quanto affermato dal primo giudice, a fronte della indicazione nei motivi di appello di ulteriori elementi a sostegno della richiesta, quali lo scarso allarme sociale dell’episodio e la complessità della normativa.

Anche tale profilo di doglianza è fondato, atteso che, effettivamente, la Corte d’appello si limita a richiamare il profilo dell’incensuratezza quale elemento, di per sè, sostanzialmente neutro, riferendosi poi all’assenza di elementi positivi suscettibili di valutazione. La motivazione appare non adeguatamente motivata, atteso che difetta qualsiasi valutazione in ordine alla rilevanza degli altri fattori attenuanti indicati nei motivi di impugnazione.

E’ stato infatti condivisibilmente affermato da questa Corte che è illegittima la motivazione della sentenza d’appello che, nel confermare, il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell’adeguatezza della pena in concreto inflitta, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi d’impugnazione (v., in termini: Sez. 6, n. 46514 del 23/10/2009 – dep. 03/12/2009, Tisci, Rv. 245336). Anche detto motivo di ricorso è fondato.

6. Merita, poi, di essere trattato, al fine di circoscrivere l’ambito cognitivo del giudice di rinvio, il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente sostiene di non aver svolto alcuna attività di intermediazione, ma di aver svolto solo la vendita di ricariche utilizzate successivamente al fine di giocare, con conseguente esclusione della configurabilita dell’ipotizzato reato per la mancanza di attività di intermediazione.

Il motivo è infondato.

Ed infatti, la Corte d’appello, sul punto, ha adeguatamente motivato in ordine allo svolgimento da parte del ricorrente dell’attività di intermediazione; se, da un lato, emerge che effettivamente il ricorrente provvedeva alla vendita delle ricariche per il conto di gioco (attività consentita, in quanto l’art. 7 del decreto direttoriale del 21 marzo 2006 prevede che: “il titolare di sistema può consentire l’acquisto di ricariche presso la propria sede, anche mediante interconnessione telematica o telefonica nonchè presso le sale dei concessionari e presso i punti di commercializzazione25. Il pagamento può essere effettuato con gli strumenti di pagamento finanziari, bancari e postali, ovvero per contanti”) rilevante, in senso sfavorevole al ricorrente, è la circostanza che questi interferisse nella scelta dell’evento sportivo e nell’individuazione della quota, attività che integra una forma di intermediazione illecita, non esaurentesi in un’attività di mero supporto tecnico a beneficio dello scommettitore.

E’, infatti, configurabile il reato di attività organizzata per l’accettazione e la raccolta, per via telematica, di scommesse senza autorizzazione, “suo specie” di illecita intermediazione, nella condotta del gestore di un centro di servizio il quale, anzichè limitarsi a svolgere un’attività di mero supporto tecnico a beneficio dello scommettitore, titolare del contratto di conto di gioco con il concessionario, interferisca nell’attività di scommessa del cliente (Sez. 3, n. 42077 del 06/10/2011 – dep. 16/11/2011, P.M. in proc. Barretta, Rv. 251311).

7. L’accoglimento del primo motivo di ricorso esime questa Corte dall’affrontare, invece, il secondo motivo di ricorso (v., supra, 2.2.), atteso che trova applicazione, nel caso in esame, il disposto dell’art. 627 c.p.p., comma 1, con conseguente facoltà per la parte, se ne farà richiesta, di ottenere la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per l’assunzione della prova non potuta esperire in primo grado per la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 4.

8. La sentenza dev’essere, conseguentemente, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2014.

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