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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  6 ottobre 2014, n. 21025

Svolgimento del processo

Con atto notificato nel 2000, E.M. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Portoferraio, l’Azienda Usl n. 6 della Regione Toscana chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.
Deduceva l’attore che in data 26 maggio 1996 aveva riportato, a seguito di una caduta, la frattura del femore destro; era stato ricoverato presso l’ospedale di Portoferraio dove era stato sottoposto ad intervento chirurgico di osteosintesi con placca a vite e scivolamento; perdurando i dolori alla gamba, si era poi sottoposto ad ulteriori accertamenti ed aveva rilevato che, mentre la situazione pre intervento non presentava alcuno spostamento dei frammenti, la situazione post operatoria evidenziava, invece, un vistoso e grave spostamento della zona di frattura, determinato dall’invasività della vite e dalla forza di coartazione che essa sviluppava; si era sottoposto a nuovi controlli nei mesi successivi da cui era stato evidenziato lo “spostamento della frattura”.
Il Tribunale adito, con sentenza del 25 giugno 2004, rigettava la domanda.
Avverso tale decisione l’E. proponeva appello, cui resisteva l’Azienda appellata.
La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 7 maggio 2010, rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese. Affermava la Corte territoriale che l’appellante non aveva provato l’aggravamento della frattura ed evidenziava che il consulente tecnico, con indagine motivata, dettagliata e convincente, aveva accertato che l’E. aveva riportato, a seguito della caduta, una frattura laterale dell’estremità superiore del femore, che la radiografia effettuata il giorno seguente alla caduta era relativa solo a proiezioni anteroposteriori e non consentiva, quindi, una valutazione del grado effettivo di scomposizione e una diagnosi di frattura composta, valutabile solo dalla proiezione laterale, non eseguita nella fattispecie, e che nulla consentiva di affermate che vi erano stati difetti di tecnica, essendo ben spiegabili gli esiti della frattura riscontrati, con le caratteristiche stesse di tale lesione fratturativi, non risultando dall’indagine anamnestico-clinica effettuata alcun rapporto concausale iatrogeno al quadro clinico riscontrato. Riteneva la Corte di merito che da tanto non poteva “neppure porsi il problema se dal fatto di una terapia medica non corretta” potesse ricavarsi la prova presuntiva di un aggravamento della patologia.
Avverso la sentenza della Corte di merito l’E. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, sulla base di due motivi. Ha resistito con controricorso l’Azienda USL n. 6 della Regione Toscana.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c. n. 3 in relazione agli artt. 1176, 2236, 1228, 2697 c.c.”.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’onere di provare l’aggravamento della frattura rispetto alla causa naturale (caduta), “nel senso che la frattura del femore da composta prima dell’intervento era divenuta frattura scomposta del femore dopo ed in conseguenza dell’intervento”; non era stato da lui assolto pur essendo tale onere posto a suo carico.
Assume l’E. di essere tenuto a provare soltanto l’aggravamento della patologia consistente nella pluriframmentazione del collo del femore e nell’accorciamento dell’arto con le difficoltà di deambulazione ad esso collegate e di aver assolto tale onere. Pertanto, la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere pienamente provato l’aggravamento della patologia ed affermare l’onere dell’Azienda di provare che i predetti esiti – nell’ambito di una operazione chirurgica di routine e di non particolare difficoltà – erano dipesi non dall’intervento ma dalle caratteristiche originarie della frattura. Ad avviso del ricorrente, per escludere il nesso di causalità, l’attuale controricorrente avrebbe dovuto dimostrare quali fossero le caratteristiche della frattura prima dell’intervento e, quindi, provare non tanto che la frattura era scomposta anche prima dell’intervento quanto piuttosto che la frattura era pluriframmentaria già prima dell’intervento, onere nella specie non assolto, non avendo la struttura sanitaria eseguito la radiografia in proiezione laterale, sicché la Corte di merito avrebbe dovuto attribuire la responsabilità dell’evento in capo alla convenuta Azienda.
2. Con il secondo motivo rubricato “errata, insufficiente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art 360 c.p.c. n. 5 in relazione agli artt. 115, 116 196 e 231 c.p.c. (per contraddittorietà della consulenza tecnica, ingiusto diniego della rinnovazione della consulenza tecnica, illegittima integrazione del parere del ct.)”, l’E. sostiene che la Corte di merito avrebbe “omesso di motivare come la pluiriframmentazione della testa del femore e l’accorciamento dell’arto fossero preesistenti all’intervento chirurgico, facendo propria l’uguale omissione compiuta dal CTU e rifiutandosi di dare ingresso ad un nuovo accertamento peritale, così affermando immotivatamente che nella fattispecie non sussistevano difetti di tecnica operatoria chirurgica”.
3. Il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione.
Nella sentenza impugnata si afferma che l’E. non ha provato, come era suo onere, l’aggravamento della frattura rispetto alla sua causa naturale (caduta) sul rilievo che il CTU ha acclarato che nella caduta l’attuale ricorrente aveva riportato la frattura laterale dell’estremità superiore del femore e che la radiografia del 27 maggio 1996 era relativa solo a proiezioni antero-posteriori, il che non consentiva una valutazione del grado effettivo di scomposizione e, quindi, una diagnosi di frattura composta, valutabile solo dalla proiezione laterale, non eseguita nella fattispecie.
Come più volte affermato da questa Corte, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno da attività medico – chirurgica, l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) ed allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, rimanendo a carico del medico convenuto e/o della struttura sanitaria dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno – (Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. 12 settembre 2013, n. 20904 e Cass. 12 dicembre 2013, n. 27855). A tale principio, che va ribadito in questa sede, non si sono attenuti i Giudici del merito, pur avendolo richiamato espressamente nella sentenza impugnata.
Era, infatti, onere dell’Azienda provare che non vi fosse stato inadempimento, tenuto conto delle condizioni del paziente al momento dell’ingresso nella struttura sanitaria e delle attività curative ivi praticate; al riguardo, pertanto, la Corte di merito dovrà procedere al riesame della fattispecie, prendendo posizione anche sulle censure sollevate dall’attuale ricorrente ed attinenti ai non completi esami diagnostici effettuati (v. ricorso p. 14).
Ogni altra questione proposta con il motivo in parola resta assorbita dall’accoglimento della censura in ordine al profilo appena esaminato. 4. Il parziale accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo motivo.
5. Alla luce di quanto precede, l’impugnata sentenza va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio – anche per le spese del presente giudizio di cassazione – alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che si uniformerà al suddetto principio di diritto e a quanto sopra evidenziato.

P.Q.M.

La Corte accoglie in parte il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione.

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