Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 6 marzo 2014, n. 5240
Svolgimento del processo
.1 – Con sentenza in data 13 marzo 1998 il Tribunale di Benevento condannò M.P. e l’Aurora Assicurazioni S.p.A. a pagare in solido, a titolo di risarcimento danni da sinistro stradale, a favore di D.P.G. e di C.M. , in proprio e quali genitori della minore D.P.C. , investita dal M. , la complessiva somma di circa 300 milioni di lire.
.2 – Pronunciando sui contrapposti gravami, con sentenza in data 20 aprile 2001 la Corte d’Appello di Napoli dichiarò la nullità dei capi della sentenza del Tribunale relativi a D.P.C. e liquidò diversamente il risarcimento spettante a D.P.G. e ad C.A. ..
3 – La Corte di Cassazione – sentenza n. 29291 del 14 dicembre 2004 – accolse parzialmente sia il ricorso principale della Milano, sia il ricorso incidentale di D.P.C. .
.4 – La Corte d’Appello di Napoli, pronunciando in sede di rinvio con sentenza 29 aprile – 21 maggio 2009, condannò il M. e la Milano Assicurazioni a corrispondere in solido a D.P.C. la somma di Euro 190.520,95.
La Corte territoriale osservò per quanto interessa: non sussiste automatismo tra lesione della salute, anche di non modesta entità, e diminuzione della capacità di guadagno; non era provato che la D.P. avesse subito una diminuzione della capacità di guadagno, conseguentemente occorreva escludere la somma liquidata a tale titolo dalla precedente sentenza di appello.
.5 – Avverso la suddetta sentenza D.P.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con successiva memoria.
M.P. ha proposto ricorso incidentale.
La Milano Assicurazioni S.p.A. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Preliminarmente i due ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, sono riuniti ex art. 335 c.p.c.
.2 – L’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per tardività, sollevata dai due resistenti, è manifestamente infondata, poiché alla specie si applica il testo originario dell’art. 327 c.p.c. (la decadenza dall’impugnazione un anno dopo la pubblicazione della sentenza impugnata) e non il nuovo testo, che riduce il termine utile a sei mesi, poiché esso si applica, ai sensi dell’art. 58, comma primo, della legge 18 giugno 2009 n. 69, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. n. 17060 del 2012).
La notifica del ricorso alla Milano è regolare.
.A) Ricorso principale D.P. .
.3.1 – Il primo motivo adduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697 e 2729 c.c..
La censura attiene alla negata corresponsione del risarcimento del danno da lucro cessante per riduzione della capacità lavorativa specifica conseguente alle rilevanti lesioni alla salute dalla stessa patite a causa del sinistro all’origine della controversia.
Assume la ricorrente che la sentenza impugnata ha disatteso le regole e i principi fissati dalla Suprema Corte omettendo di basarsi sul criterio presuntivo e richiedendo una prova rigorosa. Aggiunge che non era stato tenute dalla dovuta considerazione quanto risultante dalla C.T.U..
.3.2 – Il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alla medesima statuizione, con la quale è stato negato alla ricorrente il risarcimento del danno patrimoniale, pretermettendo qualsiasi indagine su natura ed entità delle lesioni patite, risultanti dalla C.T.U..
.3.3 – Le due censure, che possono essere esaminate congiuntamente stante l’evidente connessione, risultano rispettose del dettato dell’art. 366-bis c.p.c. e fondate.
La sentenza di annullamento, accogliendo il ricorso sul punto della Milano Assicurazioni, aveva affermato che la menomazione dell’integrità psico – fisica della persona danneggiata da luogo di per sé a danno biologico, che come tale va provato e risarcito indipendentemente dal fatto che da esso sia derivata anche una perdita patrimoniale; pertanto la stessa riduzione della capacità lavorativa generica, vista in sé e non per l’effetto di un mancato guadagno, è risarcibile sotto il profilo del danno biologico; qualora, invece, a detta riduzione della capacità lavorativa generica si associ una riduzione della capacità lavorativa specifica, che, a sua volta, dia luogo ad una riduzione della capacità di guadagno, detta diminuzione integra un danno patrimoniale; ne consegue che non può farsi discendere in modo automatico dall’invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, derivando esso solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica; detto danno patrimoniale da invalidità deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto svolgesse – o, trattandosi di persona non ancora dedita ad attività lavorativa, presumibilmente in futuro avrebbe svolto – un’attività lavorativa produttiva di reddito; la relativa prova incombe al danneggiato, e può essere anche presuntiva, purché sia certa la riduzione della capacità lavorativa specifica.
La suddetta sentenza esprime il costante orientamento della Corte, negando che l’accertata esistenza di postumi, anche di rilevante entità, comporti automaticamente la riduzione della capacità lavorativa specifica e, quindi, della capacità di guadagno, occorrendo al riguardo un accertamento in concreto effettuato sulla base delle allegazioni e delle prove offerte dalla parte danneggiata, che allo scopo ben può avvalersi, soprattutto nel caso di minore non ancora introdotto nell’attività lavorativa, della prova presuntiva.
Pertanto ha demandato al giudice di rinvio di valutare, in relazione a quanto dedotto e provato dalle parti e anche avvalendosi di presunzioni, se D.P.C. avrebbe intrapreso una attività lavorativa e se in ragione del tipo di lesioni riportate e dei postumi accertati avrebbe presumibilmente subito una diminuzione di guadagno in relazione ad una attività lavorativa futura.
Anche recentemente questa stessa Sezione ha ribadito (Cass. Sez. III, n. 2644 del 2013) che il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, è da valutare su base prognostica e il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici. Pertanto, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività o presumibilmente la svolgerà; tuttavia, l’aggravio in concreto nello svolgimento dell’attività già svolta o in procinto di essere svolta deve essere dedotto e provato dal danneggiato.
La Corte territoriale sostanzialmente ha addebitato alla D.P. l’omessa dimostrazione di non aver potuto svolgere, malgrado l’integralità delle sue capacità di critica e il titolo di studio conseguito, la relativa attività lavorativa in conseguenza delle sue condizioni psichiche.
Una tale affermazione è viziata sia sotto il profilo della corretta applicazione della normativa vigente, sia sotto il profilo motivazionale.
Per quanto riguarda la prima violazione, essa si sostanzia:
a) nell’erronea attribuzione alla persona danneggiata dell’onere di fornire una prova negativa, cioè della riconducibilità causale della propria non occupazione dopo il conseguimento del diploma alle lesioni patite; b) nella omessa utilizzazione della prova presuntiva.
Quanto al vizio di motivazione, è noto che essa si rivela insufficiente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione.
La stessa sentenza riferisce (pag. 5) che dalla C.T.U. è risultato che alla D.P. residuarono postumi permanenti consistiti in “nevrosi fobica strutturata, con marcate condotte da evitamento fobico e con dipendenza dalla figura materna”.
Tale elemento fattuale non è stato assolutamente tenuto presente ai fini della decisione, centrata esclusivamente sulla considerazione, pure tratta dalla consulenza tecnica, che la D.P. conservò intatte le capacità di critica.
Certamente è quest’ultimo un dato logicamente rilevante ai fini della decisione, ma la sentenza impugnata ha trascurato di verificare la valenza dell’altro elemento sopra indicato, nonostante la accertata nevrosi fobica sia potenzialmente idonea ad influire sulla capacità della D.P. di relazionarsi con le altre persone e, quindi, di esplicare attività lavorativa.
Questa disamina dovrà essere compiuta dal nuovo giudice di rinvio, che si indica nella medesima Corte d’Appello in diversa composizione.
.4.1 – Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 324 e 394 c.p.c..
L’assunto è che il giudice di rinvio non si è limitato a rigettare il capo della domanda relativa al danno patrimoniale, ma ha illegittimamente provveduto alla rideterminazione dell’intero risarcimento, trattando questioni precluse.
.4.2 – La censura rimane assorbita nell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso e formerà oggetto di esame in esito alla decisione di merito sulla questione precedente.
.B) Ricorso incidentale M. .
.5 – Il M. ha depositato, dopo averlo ritualmente notificato ai contraddittori, “controricorso e ricorso incidentale” ma l’atto non contiene alcun motivo interpretabile, appunto, come ricorso incidentale. Anche le sue conclusioni recitano testualmente: “Voglia l’On.le Suprema Corte di Cassazione dichiarare inammissibile, e, in subordine, rigettare il ricorso proposto dalla sig.na D.P.C. . Vittoria di spese, competenze ed accessori”.
Non è stato, dunque, prospettato alcun motivo riconducibile a quelli consentiti dall’art. 360 c.p.c. volto ad ottenere l’annullamento della sentenza per ragioni favorevoli al M. .
.6 – Pertanto il ricorso incidentale è inammissibile.
.7 – Il giudice di rinvio, come sopra designato, provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie per quanto di ragione il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
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