SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 6 dicembre 2012, n.47220
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 27.9.010 il GUP del Tribunale di Trieste, all’esito di giudizio abbreviato, ha ritenuto P.M. colpevole del reato di violenza sessuale, commesso ai danni di due allieve della scuola media ove egli svolgeva la sua attività di insegnante di lettere, e, con la diminuente del rito, ritenuta la continuazione, lo condannava alla pena di anni sei di reclusione oltre pene accessorie come per legge Con sentenza in data 27.9.2010 il GUP del Tribunale di Trieste, all’esito di giudizio ed oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili costituite.
Proposto appello avverso detta sentenza da parte dell’imputato, la Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 1.12.2011, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, qualificati i fatti contestati al P. ai sensi dell’art. 609 quater cp, rideterminava la pena inflitta in quella di anni cinque di reclusione e sostituiva la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella dell’interdizione dagli stessi per cinque anni. Confermava nel resto l’impugnata sentenza.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il P. per i motivi di seguito esposti.
Al fine della comprensione della vicenda processuale è opportuno esporre sinteticamente i fatti che hanno dato luogo al procedimento. Esso tre origine dalla segnalazione pervenuta all’autorità giudiziaria della relazione anche di carattere sessuale fra la minore C..R. , di anni tredici, alunna della classe seconda media dell’istituto (OMISSIS) , dove il P. era insegnante supplente di lettere per l’intero anno scolastico in corso, e lo stesso. La giovane studentessa, sentita a s.i.t. rivelava che il P. era riuscito, con il suo modo di fare suadente ed accattivante, a conquistare la simpatia e la fiducia incondizionata dell’intera classe, e in particolare era riuscito a catturare l’attenzione della giovane allieva con la quale aveva instaurato un ottimo rapporto amicale. Tale simpatia si era presto trasformata in una relazione con connotazioni sessuali. In particolare, in occasione di una gita scolastica, al termine di una passeggiata serale con tutta la scolaresca durante la quale vi erano stati già degli approcci, il P. , al rientro in albergo, aveva portato la giovane alunna nella sua camera dove l’aveva fatta distendere sul letto e, infilando la mano sotto gli indumenti, le aveva ripetutamente il toccato il seno e la vagina, infilando un dito in quest’ultima, e aveva posto la mano destra della ragazza sul suo organo genitale in erezione, tenendola ferma con la sua mano per vincere la resistenza, fino a quando la ragazza si liberava dalla presa manifestando l’intenzione di uscire dalla camera. Dopo quell’episodio la relazione continuò e la giovane studentessa prese a frequentare, dietro suo invito, la casa del P. ove si recò svariate volte avendo in quell’occasione altri contatti sessuali.
Sottoposta la sua utenza telefonica di intercettazione, risultò che il P. , quasi subito dopo la fine della sua relazione con la R. , o in concomitanza con questa, aveva allacciato altra relazione di analoga natura con altra alunna dell’istituto (OMISSIS) , questa volta della terza classe, G..K. , di anni quattordici, avendo anche con lei circa sei incontri nella sua abitazione con la scusa di farle fare delle traduzioni in inglese, remunerati dal pagamento di schede telefoniche; in quelle occasioni compiva atti sessuali con la minore baciandola ripetutamente in bocca con la lingua, toccandole il seno, il pube; una volta, prendendo di sorpresa la ragazza, afferrava la mano e riusciva a porla sopra l’organo genitale in erezione (sopra gli indumenti), trattenendola contro la volontà della minore, che impaurita riusciva a liberarsi dalla presa.
1 – col primo motivo del ricorso, il P. , premesso che con la sentenza di appello il fatto originariamente contestato come reato di cui all’art. 609 bis cp, sia al capo A) (fatti commessi ai danni della minore C..R. ) che al capo B) (fatti commessi ai danni della minore G..K. ), è stato diversamente qualificato come reato ex art. 609 quater cp, ha dedotto l’inconfigurabilità, per gli episodi ai danni della minore G..K. , di detta fattispecie criminosa, così come diversamente qualificata rispetto all’originaria imputazione.
Osserva in proposito la difesa del ricorrente l’assenza del requisito dell’affidamento per ragioni di istruzione richiesto dalla norma suindicata in quanto il prof P. non era insegnante di ruolo dell’istituto scolastico frequentato dalla K. , ma solo supplente, e neppure della sua classe; la ragazza non era dunque una sua alunna e i fatti si sono svolti dopo la fine della scuola, fuori dal contesto scolastico, per cui non è ravvisabile alcun rapporto di custodia e/o affidamento del minore all’insegnante;
2 – Col secondo motivo censura l’entità della pena irrogata contestando i criteri di determinazione, in particolare gli indici rilevatori della ritenuta gravità del fatto, ovvero la capacità di affabulazione e di persuasione, in quanto descritte con connotazione negative da una sua sola alunna a fronte delle altre testimonianze di
stima e di apprezzamento delle qualità umane e di docente dell’imputato, e l’intensità del dolo.
Ulteriore motivo di doglianza riguarda la mancata riduzione, da parte dei giudici di appello, del risarcimento del danno liquidato alla parti civili, per effetto dell’esclusione del più grave reato di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p.p., operata con la sentenza di secondo grado.
Considerato in diritto
Il primo motivo è fondato
La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha diversamente qualificato i fatti, originariamente contestati al P. ai sensi dell’art. 609 bis c.p., come reato punibile ai sensi dell’art. 609 quater c.c.. Il bene giuridico protetto da detta norma non è la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale in quanto si ritiene che il minore non abbia ancora raggiunto la. capacità di esprimere un valido consenso nell’ambito sessuale, che dunque è irrilevante, ma, proprio in vista del raggiungimento di tale obiettivo, la norma tutela l’integrità psicofisica del minore con riguardo alla sfera sessuale in vista di un corretto sviluppo della propria sessualità, proteggendolo dal rischio di approcci erotici che potrebbero incidere negativamente sul processo di maturazione. E lo fa modulando gli interventi a tutela di questo bene in modo articolato, avendo riguardo al diverso livello di maturità che caratterizza le fasi della crescita, distinguendo tre diversa fasce di età: età inferiore a dieci anni, età compresa tra dieci e quattordici anni, età compresa fra quattordici e i sedici anni. Infatti il legislatore ritiene che fino all’età di quattordici anni il minore non ha ancora raggiunto uno stadio di sviluppo e di maturità psico – fisica necessari per intendere, coscientemente le manifestazioni e valutare le conseguenze legate alla sfera sessuale, sicché il delitto di cui all’art. 609 quater c.p., tutela il corretto sviluppo della personalità sessuale del minore attraverso una sua assoluta intangibilità sessuale (art. 609 quater primo comma n. 1A ed ultimo comma). Nella fascia di età ricompresa fra i quattordici anni e i sedici (art. 609 quater comma 1 n.2 c.p.p.) la tutela apprestata è relativa in quanto si tiene conto che il minore, ha già acquisito un certa libertà sessuale, tuttavia non ha raggiunto la completa maturità per cui potrebbe essere condizionato nell’adesione all’atto sessuale dall’esistenza di rapporti fiduciari o di autorità, quali quelli indicati dall’art. 609 quater comma primo n.2 c.p.p.. Di conseguenza il reato è configurabile ai danni di minori di età ricompresa nella suindicata fascia, solo qualora l’agente sia persona che abbia col minore un rapporto di affidamento per ragioni di cura, istruzione, educazione, vigilanza, custodia, o un rapporto di parentela o di convivenza. Si ritiene difatti che, proprio perché si è sempre in presenza di un adolescente che non ha ancora raggiunto la piena capacità di autodeterminazione, certi tipi di rapporto non sono compatibili con il compimento di atti sessuali, stante il rischio di una strumentalizzazione della fiducia riposta dal minore stesso, ciò in ragione della peculiare relazione esistente fra soggetto attivo e passivo del reato, della soggezione anche morale in cui si trova il minore nei confronti di determinate persone e dell’influenza che le stesse possono esercitare su di lui, in modo da poter agevolare il consenso o, comunque, impedirne un rifiuto. (v in tal senso Sez. 3, 13/05/2004-08/07/2004, Rv. 229358, Sez. 3, 25/02/2004-30/03/2004. Rv. 228610, Sez. 3, 27/05/2010 – 24/06/2010 Rv. 247289).
In entrambe le ipotesi il reato sussiste indipendentemente da alcuna forma di coercizione, in presenza della quale ricorre il diverso reato di all’art. 609 bis c.p., nell’ipotesi aggravata, trattandosi di minori, prevista dall’art. 609 ter c.p.p., Anzi la fattispecie in esame presuppone il consenso del minore, sia pure condizionato dal particolare rapporto fiduciario con l’agente. In definitiva l’ambito di operatività della norma in esame, che la distingue dalla diversa fattispecie di cui all’art. 609 bis comma 2 c.p.p., è circoscritto a situazioni caratterizzate da una condizione di preminenza, di autorevolezza del soggetto attivo sul minore, in ragione della relazione fiduciaria intercorrente con esso, idonea a condizionare e a suggestionare il minore stesso, inducendolo a prestare un consenso agli atti sessuali agevolato dalla specifica qualità dell’agente senza tuttavia che costui ne faccia un uso strumentale per costringere il minore, come è invece richiesto per la configurabilità del diverso reato di violenza sessuale con abuso di autorità ex art. 609 bis co 2 c.p..
Nella norma di cui all’art. 609 quater primo comma n. 2 c.p. ciò che rileva è la ruolo ricoperto; il reato ricorre per il solo fatto della posizione rivestita dall’agente, che ingenera la presunzione di un consenso del minore condizionato dalla relazione di affidamento esistente fra i due soggetti, mentre nell’altro previsto dall’art. 609 bis c.p., l’”abuso di autorità’ comporta un uso strumentale della stessa per costringere il minore a subire, senza consenso, gli atti sessuali.
Discende all’articolato sistema di tutela predisposto dalla norma in esame, che, mentre per i minori degli anni quattordici, il reato di atti sessuali con minorenne è configurabile sulla sola base del dato anagrafico, per i minori che li hanno già compiuti ma che non abbiano ancora compiuto gli anni sedici, occorre il concorso di un ulteriore requisito afferente la qualità dell’agente, e cioè che costui sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore o altra persona cui per ragioni di cura, educazione istruzione vigilanza, custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza.
Venendo al caso in esame, ritiene questa corte che tale ulteriore requisito, segnatamente l’affidamento del minore infrasedicenne per ragioni di istruzione, manchi nella relazione instaurata fra il P. e la minore G..K. .
Come emerso dalle sentenze di merito, la K. frequentava la scuola media (OMISSIS) ma in una sezione diversa da quella dove insegnava l’imputato, che non era dunque il suo professore.
Tale circostanza non è di per sé sola idonea ad escludere la fattispecie criminosa in esame in quanto, secondo consolidato indirizzo di questa Corte ‘La condizione di affidamento per ragioni di istruzione, di vigilanza o di custodia prevista per il reato di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater, comma primo, n. 2, cod. pen.) può avere carattere temporaneo o occasionale, potendo configurarsi anche quando il soggetto attivo non sia l’insegnante diretto del minore, ma appartenga comunque alla stessa struttura scolastica, all’interno della quale venga a diretto contatto con la vittima in ragione dell’incarico di svolgere lezioni o sostituzioni nelle varie classi (Cass sez. 3, 14/03/2012 – 10/07/2012 Rv. 253053, Sez. 3 22/05/2007 – 05/06/2007 Rv. 236735).
Benché non sia richiesto che l’agente svolga stabilmente le funzioni di insegnante della classe frequentata dal minore, potendo anche essere un mero supplente che abbia rivestito occasionalmente tale ruolo, è tuttavia necessario che il contatto fra lo studente infrasedicenne e l’agente avvenga in ambito scolastico e in ragione della docenza, perché, diversamente, non sarebbe configurabile il rapporto di affidamento per ragioni di istruzione educazione vigilanza richiesto dall’art. 609 quater comma 1 n 2c.p.p..
Ebbene, tale condizione non ricorre nel caso in esame.
Il P. , oltre a non essere l’insegnante titolare della classe frequentata dalla parte offesa, non era neppure supplente di quella classe e non aveva mai svolto, neppure occasionalmente, attività di insegnamento che lo ponessero a contatto con la minore K.G. . Egli apparteneva, si, in qualità di insegnante supplente di altra classe, alla struttura scolastica frequentata dalla minore, ma non era mai stato il suo insegnante, neppure occasionalmente.
L’incontro fra l’imputato e la studentessa era avvenuto quando l’anno scolastico era da poco terminato, fuori dal contesto scolastico, in occasione di un raduno sulla, spiaggia, organizzato, per festeggiare la fine della scuola, dagli alunni del P. insieme allo stesso, incontro cui la ragazza aveva partecipato pur non appartenendo a quella classe. Peraltro, avendo la K. terminato la terza media, dopo la parentesi estiva non avrebbe più ripreso a frequentare l’istituto scolastico ove insegnava l’imputato.
Non pare condivisibile la tesi sostenuta dai giudici di appello secondo cui il rapporto di docenza aveva avuto prosecuzione anche nella fase estiva, in cui si sono svolti i fatti contestati, sia pure in forma diversa presso l’abitazione del professore, ove la K. si recava per svolgere per suo conto della traduzioni in lingua inglese; che quindi il P. avesse conservato tale ruolo nei confronti della minore allorché si sono svolti gli accadimenti contestati.
La qualità di insegnante della giovane studentessa non può riconoscersi al P. neppure con riferimento a tale attività. Il fatto che la ragazza traesse dalle traduzioni una remunerazione, sia pure modesta, vale ad escludere che esse venissero svolte nell’ambito di un rapporto di docenza.
In definitiva, come è dato di desumere dalla pacifica ricostruzione dei fatti contenuta nelle sentenze di merito, il ricorrente non ha mai svolto la funzione di insegnante, sia pure solo occasionalmente e temporaneamente, nei confronti della parte offesa K.G. , né durante l’anno scolastico né durante la pausa estiva.
Deve dunque essere disattesa la sentenza impugnata in punto di sussistenza di un rapporto di affidamento per ragioni di istruzione fra l’imputato e la minore G..K. . Discende da ciò l’inconfigurabilità del reato di cui all’art. 609 quater comma 1 n. 2 c.p.p. contestato al capo B).
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente al capo B) con, eliminazione della relativa pena.
2-è invece infondato il secondo motivo concernente la misura il trattamento sanzionatorio.
Si richiamano in proposito i principi costantemente espressi dalla Suprema Corte, secondo cui le statuizioni in ordine all’entità della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione. Proprio perché la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen. anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati, nell’art. 133 cod. pen. e, qualora la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, anche adoperando espressioni come ‘pena congrua’, ‘pena equa’, ‘congruo aumento’, ovvero richiamandosi alla gravità del, reato o alla personalità del reo. (Cass. Sez. III, Sentenza del 29/05/2007 RV 237402, Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004 Rv. 230278).
Tanto premesso, la Corte di Appello, in sede di rideterminazione della pena a seguito della diversa qualifica giuridica data ai fatti e alla conseguente esclusione dell’aggravante in equivalenza della quale erano state poste le generiche, ha apportato innanzitutto una riduzione per effetto della esclusone della fattispecie della violenza sessuale e ha fornito una convincente argomentata e logica motivazione delle ragioni della determinazione della pena irrogata. Altrettanto infondata è la censura relativa alla mancata riduzione del risarcimento del danno (riguardante il solo capo A essendosi costituiti parte civile solo i genitori della minore R.C. ), che avrebbe dovrebbe conseguire alla, eliminazione della fattispecie di reato più grave, l’art. 609 bis, esclusa dalla Corte di Appello.
E difatti il danno subito dalla minore R.C. , indipendentemente dalla esclusione della fattispecie criminosa ex art. 609 bis per effetto della riqualificazione dei fatti come reato di cui all’art. 609 quater c.p.p, rimane inalterato in quanto discende dalla condotta complessiva dell’imputato; esso è altrettanto grave se si considerano gli effetti negativi derivanti dall’opera di persuasione posta in essere dal prevenuto per convincere la minore, approfittando della fiducia incondizionata riposta in lui, attraverso manifestazioni di innamoramento, a compiere gli atti sessuali, impedendole di coglierne la reale portata, condizionandone la maturazione psico fisica, distorcendo la percezione di certi fondamentali valori, quale il rapporto insegnante – discente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) perché il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di anni uno di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
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