Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 4 ottobre 2013, n. 22755
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 29 aprile 1995 C.P. ha convenuto davanti al Tribunale di Lecce la s.p.a. ANAS, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti dal suo frutteto e dalla relativa rete di recinzione, zincata, a causa di quattro incendi sviluppatisi dalla cunetta di servizio della S.S. (omissis) , fra il (omissis) e il (omissis) , a causa di sterpaglia ed erba secca, non rimosse.
L’ANAS ha resistito alla domanda ed, esperita l’istruttoria anche tramite CTU, il Tribunale ha accolto la domanda attrice, condannando l’ANAS al risarcimento dei danni per oltre L. 30 milioni, con l’aggiunta di rivalutazione monetaria ed interessi.
Proposto appello dalla soccombente, la Corte di appello di Lecce – con sentenza non definitiva 7 ottobre 2005 n. 631, e con sentenza definitiva 13 luglio/20 settembre 2007 n. 568 – ha confermato la decisione di primo grado.
L’ANAS propone tre motivi di ricorso per cassazione.
Resiste l’intimato con controricorso.
Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli art. 2043 cod. civ. e 14, 1 comma lett. a) d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 – Codice della strada, sul rilievo che Anas ha l’obbligo di provvedere alla manutenzione delle strade e delle banchine solo in funzione di quanto occorre allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale. Non è invece tenuta alla manutenzione del terreno confinante e del ciglio erboso, indipendentemente dalle esigenze della viabilità. Tale obbligo grava esclusivamente a carico dei proprietari del terreno.
2.- Il motivo non è fondato.
La Corte di appello ha fondato la sua decisione sulla base dei rilievi dell’ATP e della CTU acquisite al giudizio, le quali hanno accertato che gli incendi si sono propagati dall’erba secca accumulatasi sulla banchina stradale, perché non asportata dopo la falciatura; che detti accumuli di erba e sterpi si trovavano al di fuori del fondo del C. , recintato da una rete metallica, ben tenuto ed irrigato.
Questa Corte ha già avuto occasione di rilevare che l’ente proprietario di una strada ha l’obbligo di provvedere alla relativa manutenzione (art. 16 legge n. 2248 del 1865, all. F; art. 14 cod. strada; art. 28 legge n. 2248 del 1865, all. F; per i Comuni, art. 5 r.d. 15 novembre 1923, n. 2506) nonché di prevenire e, se del caso, segnalare ogni situazione di pericolo o di insidia inerente non solo alla sede stradale ma anche alla zona non asfaltata sussistente ai limiti della medesima (“banchina”), tenuto conto che essa fa parte della struttura della strada, e che la relativa utilizzabilità, anche per sole manovre saltuarie di breve durata, comporta esigenze di sicurezza e prevenzione analoghe a quelle che valgono per la carreggiata (Cass. civ. Sez. 3, 14 marzo 2006 n. 5445).
È appena il caso di ricordare che anche l’incendio che si propaghi da una banchina può mettere in pericolo la sicurezza della circolazione e provocare incidenti (cfr. per esempio il caso deciso da Cass. civ. Sez. 3, 27 gennaio 1979 n. 620), sicché i motivi addotti dalla ricorrente allo scopo di dimostrare l’insussistenza del suo dovere di manutenzione non appaiono in termini.
Va soggiunto che la stessa ricorrente ammette di avere provveduto alla falciatura dell’erba (Ricorso, p. 3), mostrando così di essere consapevole del suo dovere di provvedere alla manutenzione delle banchine, ma ha abbandonato il lavoro a metà, evitando di rimuovere l’erba tagliata. Ciò ha trascurato, nonostante il ripetersi di più episodi di incendio nel corso di un solo anno, sicché neppure può addurre a sua discolpa l’imprevedibilità del pericolo.
3.- Con il secondo motivo, denunciando violazione degli art. 892, 1227, 2043, 2051 cod. civ.; 3 e 16 1 comma n. 3 d.lgs. 285/1992, cit.; 26 d.p.r. 495/1992, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia escluso ogni concorso di colpa a carico del danneggiato, derivante dal fatto che gli alberi siti sul terreno dello stesso non sarebbero stati a distanza regolamentare dal confine.
3.1.- Il motivo è manifestamente infondato, se non anche inammissibile.
La Corte di appello ha accertato – con valutazione di merito adeguatamente motivata, che non presta il fianco a censure di sorta – che il mancato rispetto della distanza legale, peraltro circoscritto solo ad alcune piante, non ha avuto alcuna rilevanza causale in ordine all’esistenza ed all’entità dei danni.
Ha accertato che solo la violenza dell’incendio ha provocato l’avvampamento delle chiome degli alberi frangivento, dai quali non si sono propagate agli altri alberi dell’agrumeto:
il che esclude il nesso causale fra la loro posizione e i danni da incendio, danni che hanno riguardato anche la rete metallica e l’impianto di irrigazione.
Trattasi di valutazioni di merito e di accertamenti in fatto, non suscettibili di riesame in questa sede.
4.- Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo, che denuncia vizi di motivazione nella quantificazione dei danni:
in particolare per avere la Corte di appello riconosciuto al C. il diritto alla sostituzione dell’intera rete metallica, sebbene essa fosse arrugginita e solo in parte danneggiata dalle fiamme e sebbene non sia stata di fatto sostituita.
Anche a voler sorvolare sull’inammissibilità del motivo ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., per l’omessa formulazione di un momento di sintesi delle censure di vizio di motivazione, analogo al quesito di diritto, contenente l’indicazione riassuntiva del fatto controverso ovvero delle ragioni per cui la motivazione sarebbe viziata o comunque inidonea a giustificare la decisione (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652; 7 aprile 2008 n. 8897 e 14 marzo 2013 n. 6549, fra le tante), la stessa natura delle censure proposte – che richiederebbe il riesame degli accertamenti in fatto su cui si basa la sentenza impugnata – ne manifesta l’inammissibilità in questa sede di legittimità.
Inoltre, le consulenze tecniche e le ulteriori acquisizioni istruttorie che la ricorrente richiama a supporto delle sue censure, sono menzionate senza specificare se siano state prodotte in questa sede, come siano contrassegnate e come siano reperibili fra gli altri atti e documenti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., ed oggi anche dall’art. 366 n. 6 dello stesso codice. Donde ulteriore ragione di inammissibilità delle censure (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966; Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova).
Anche a non voler ricordare – riassuntivamente, con riferimento a tutti i motivi di ricorso – che il succedersi di tre o quattro incendi sugli stessi alberi e manufatti, senza che il soggetto tenuto alla manutenzione intervenga a rimuoverne le cause, giustifica oggettivamente il contenuto della sentenza impugnata, sia per quanto concerne il carattere grave ed assorbente della responsabilità dell’ANAS, sia per quanto attiene all’incidenza degli eventi sull’entità e sulla quantificazione dei danni.
5.- Il ricorso deve essere rigettato.
6.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per spese ed Euro 1.800,00 per compensi; oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.
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