SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
sentenza 4 ottobre 2012, n. 38719
Motivi di fatto e diritto
In riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Firenze con sentenza 31.3.2011 ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di A.M. in ordine al reato di cui all’art. 660 c.p. perché estinto per prescrizione, così riqualificata l’originaria imputazione di tentata violenza sessuale. Ha confermato invece le disposizioni civili della sentenza impugnata.
Per giungere a tale conclusione, la Corte di merito ha ritenuto che le azioni descritte nell’imputazione e ricordate dalla persona offesa K.L.G. nel corso del giudizio, ovvero le proposte oscene, i gesti volgari ed allusivi, il toccamento della gamba della donna nei tentativo di indurla a fermarsi, integrano il reato di molestie piuttosto che il tentativo di molestie sessuali, posto che si realizza un attentato alla tranquillità della persona piuttosto che la legione della sua sfera sessuale. Secondo la Corte fiorentina l’imputato, approfittando della situazione, ha provato a saggiare le reazioni della donna certamente recandole disturbo, mentre non può affermarsi l’inequivoca l’idoneità degli atti a far subire alla K. un congiungimento carnale sia per la dinamica del fatto, vista anche la condizione del luogo (interno di un autobus di linea condotto dall’imputato), sia per la mancanza di atti indirizzati verso una zona erogena giacché il toccamento della coscia è parso un atto volto a fermare la donna che si apprestava a scendere dal mezzo piuttosto che l’espressione di concupiscenza.
Per l’annullamento della sentenza, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per Cassazione a i sensi dell’art. 606 lett. b c.p.p. in particolare, rilevando che, secondo la giurisprudenza, il tentativo di violenza sessuale si configura quando, in assenza di contatto fisico tra soggetto passivo ed attivo, la condotta del primo (così testualmente, n.d.r) denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo della idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale: e nel caso in esame, l’intento di appagare il proprio desiderio sessuale da parte del M., pur in assenza di toccamenti in zone erogene (che peraltro avrebbero determinato la consumazione del reato), è ampiamente provato dai gesti e dalle parole dell’uomo e la idoneità del suo comportamento a violare la sfera di autodeterminazione della donna è palesata sia dal gesto di bloccare la porta allungandosi, sia dal tentativo di trattenere mentre ella cercava di scendere, prendendola per la gamba. È evidente – secondo il Pubblico Ministero – che la richiesta di sesso da parte del M. non ha tenuto in alcun conto la volontà della donna, la mancata positiva risposta alle sue manifeste intenzioni e che essa, lungi dal turbare genericamente la tranquillità della donna, ha turbato la stessa anche nella sfera sessuale.
Il motivo è fondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte (per tutte Cass. 12.5.2010 n. 2742; Cass. n 7369 del 2006), in tema di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), la condotta sanzionata comprende qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, pur se fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, ovvero in un coinvolgimento della sfera fisica di quest’ultimo, ponga in pericolo la libera autodeterminazione della persona offesa nella sfera sessuale.
Il reato di molestia sessuale (art. 660 c.p.), è invece integrato solo in presenza di espressioni volgari a sfondo sessuale ovvero di atti di corteggiamento invasivo ed insistito diversi dall’abuso sessuale (Cass. 12.5.2010 n. 2742 cit.).
Ancora, è configurabile il tentativo del delitto di violenza sessuale quando, pur in mancanza del contatto fisico tra imputato e persona offesa, la condotta tenuta dal primo denoti il requisito soggettivo dell’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale (Cass. Sez. 3 26.10.2011 n. 45698).
Nel caso di specie, l’imputato non si è limitato a meri atti di corteggiamento invasivo, perché – come accertato nel giudizio di merito – ha omesso di aprire la porta del mezzo di trasporto da lui condotto e, allungandosi, ha impedito il passaggio alla donna afferrandola altresì per la gamba nell’intento di trattenerla. Un tale comportamento materiale, accompagnato dai gesti volgari compiuti (strano movimenti con la lingua, toccamento dei propri pantaloni) e dalle parole oscene pronunciate (“mi diventa grosso e duro”, invito a dare “una trombata”), denota senz’altro l’intento di appagare il proprio desiderio violando nel contempo la sfera di autodeterminazione sessuale della donna.
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze.
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