Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 30 settembre 2015, n. 19520
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7314/2012 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS) difensore di se’ medesimo;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) RELLA giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il provvedimento N. 1612/2011 del TRIBUNALE di LECCE, del 15/07/2011, R.G.N. 1643/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con ordinanza del 15 luglio 2011 il Tribunale di Lecce, decidendo sul ricorso proposto dall’avvocato (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) ai sensi della Legge n. 794 del 1942, articoli 28 e 29, ha liquidato in favore del primo, per l’attivita’ svolta in un giudizio relativo ad azione revocatoria, la somma complessiva di euro 3.683,50, oltre accessori, compensando tra le parti le spese del procedimento.
Il Tribunale ha applicato il Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 6, comma 2, avendo riguardo non al valore del credito alla cui tutela era diretta l’azione revocatoria – reputato criterio applicabile soltanto nella liquidazione giudiziale a carico della parte soccombente in giudizio – bensi’ al valore effettivo della controversia – reputato criterio applicabile nella liquidazione degli onorari a carico del cliente. Ha inoltre ritenuto che, nel caso di specie, non fosse determinabile il valore effettivo della causa, avente ad oggetto la declaratoria di inefficacia degli atti di donazione di immobili del (OMISSIS) (richiesta dalla curatela del fallimento della societa’ Spa (OMISSIS) per un credito risarcitorio di dieci miliardi di lire, vantato e gia’ azionato da quest’ultima per la responsabilita’ del (OMISSIS) connessa alla negligente gestione societaria). Dato cio’, e tenuto conto dell’oggetto e della complessita’ della controversia, il Tribunale ha liquidato i diritti e gli onorari nella misura media, reputandola di valore indeterminato.
2.- L’avv. (OMISSIS) ricorre contro questo provvedimento con tre motivi, illustrati da memoria.
(OMISSIS) si difende con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Col primo motivo di ricorso e’ dedotta violazione degli articoli 10 e 14 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, e articolo 111 Cost., nonche’ omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
Il ricorrente richiama le disposizioni del codice di rito sulla determinazione del valore della controversia, ai fini della competenza, onde sostenere che sarebbe “carente di una attendibile motivazione” il provvedimento del Tribunale che ha ritenuto la controversia di valore indeterminato. Invece, il valore si sarebbe dovuto considerare pari a quello del credito alla cui tutela era preposta l’azione revocatoria (indicato nell’importo di lire 10 miliardi, cioe’ di euro 5.164.568,99).
In via subordinata, sostiene che il Tribunale avrebbe dovuto considerare il valore “nominale” degli immobili oggetto dell’azione revocatoria. Questo – a dire del ricorrente – avrebbe comportato l’applicabilita’ delle tariffe comprese nello scaglione fra euro 103.300,00 ed euro 258.300,00, piuttosto che di quelle relative alle cause di valore indeterminato.
1.1.- Col secondo motivo, e’ dedotta violazione delle norme e dei principi in materia di inderogabilita’ dei minimi tariffari, nonche’ delle norme della Legge n. 794 del 1942, articolo 24, e articolo 4 della tariffa civile e Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 2, comma 2, ed, ancora, violazione della disciplina di cui ai Decreto Ministeriale n. 127 del 1994, e Decreto Ministeriale n. 585 del 1994, ed omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Il ricorrente sostiene che vi sarebbe stata una violazione dei minimi tariffari e che vi sarebbe un vizio di motivazione in merito all’importanza ed al valore della causa trattata dal professionista, al pregio dell’opera professionale ed ai risultati e vantaggi conseguiti dal cliente. Sostiene, inoltre, che il Tribunale non avrebbe tenuto conto dell’attivita’ effettivamente svolta nel corso del giudizio.
2.- I motivi, che vanno trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono inammissibili.
Essi non censurano la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Questa consiste nell’affermazione del Tribunale secondo cui, nel caso di specie, trova applicazione, non il Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 6, comma 1, (per il quale “nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa e’ determinato a norma del codice di procedura civile, avendo riguardo nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, all’entita’ economica della ragione di credito alla cui tutela l’azione e’ diretta … “), bensi’ il secondo comma della stessa norma (per il quale “nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, puo’ aversi riguardo al valore effettivo della controversia, quando esso risulti manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile”).
Il ricorrente non contesta che la norma applicabile sia quella del Decreto Ministeriale n. 127 del 1994, articolo 6, comma 2, ed, in particolare, non censura l’affermazione del giudice di merito secondo cui il valore effettivo della controversia avente ad oggetto l’azione revocatoria nella quale l’avv. (OMISSIS) presto’ la propria attivita’ professionale “appare manifestamente inferiore all’entita’ del credito a tutela del quale l’azione revocatoria e’ stata esperita”.
Dato cio’, e considerato il tenore del Decreto Ministeriale n. 127 del 1994, articolo 6, commi 1 e 2, che distinguono tra il criterio di determinazione degli onorari a carico del soccombente ed il criterio di liquidazione degli onorari a carico del cliente, e’ corretto in diritto il provvedimento impugnato che – sulla base dell’apprezzamento in fatto del valore della controversia – ha escluso il ricorso alle presunzioni del codice di rito. Non e’ percio’ pertinente il richiamo delle norme degli articoli 10 e 14 c.p.c., effettuato dal ricorrente, cosi’ come non sono pertinenti i precedenti di legittimita’ richiamati in memoria, che riguardano la liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente nel giudizio di azione revocatoria (Cass. ord. n. 10089/14; cfr. anche Cass. n. 5402/04). Va infatti affermato il principio per il quale ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente ed a favore dell’avvocato che abbia prestato la sua opera in un giudizio relativo ad azione revocatoria, qualora il valore della controversia sia manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice civile, esso si determina non gia’ sulla base del credito a tutela del quale si e’ agito in revocatoria, ma sulla base del valore effettivo della controversia, in applicazione del Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, articolo 6, comma 2.
2.1.- Il ricorrente, come detto, non censura la motivazione per la quale, secondo il Tribunale, “sulla scorta dei prezzi correnti nel mercato immobiliare,… il valore dei predetti immobili (id est, degli immobili oggetto delle donazioni di cui era chiesta la dichiarazione di inefficacia) e’ di gran lunga inferiore ad euro 5.164.568,99” (vale a dire, al valore del credito da tutelare).
Piuttosto, sostiene che il valore degli immobili sarebbe stato determinato (o determinabile), sicche’, in via subordinata, il valore della controversia sia sarebbe dovuto rapportare a questo valore e sarebbe errato il riferimento che la Corte d’Appello ha fatto allo scaglione relativo alle cause di valore indeterminato.
Cosi’ come formulata, la censura e’ inammissibile.
Ed invero, per un verso, non e’ criticata l’affermazione del giudice di merito secondo cui non sarebbero stati presenti in giudizio “elementi certi in ordine al valore dei predetti immobili”. Si tratta di una lacuna istruttoria sulla quale nulla e’ detto in ricorso.
Per altro verso, il ricorrente si riferisce ad un “valore nominale” degli stessi immobili – che assume essere compreso fra euro 103.300,00 ed euro 258.300,00 – rispetto al quale il ricorso e’ del tutto privo di autosufficienza. Manca infatti qualsivoglia indicazione in merito agli immobili di che trattasi ed agli elementi di riscontro del valore asserito.
2.2.- Infine, e’ inammissibile il secondo motivo, nella parte in cui denuncia la violazione dei minimi tariffari poiche’ il superamento, da parte del giudice, dei limiti minimi e massimi della tariffa forense nella liquidazione delle spese giudiziali configura un vizio “in iudicando” e, pertanto, per l’ammissibilita’ della censura, e’ necessario che nel ricorso per cassazione siano specificati i singoli conteggi contestati e le corrispondenti voci della tariffa professionale violate, al fine di consentire alla Corte il controllo di legittimita’, senza dover espletare un’inammissibile indagine sugli atti di causa (cosi’, da ultimo, Cass. n.22983/14).
Rientra inoltre nel potere discrezionale del giudice di merito la determinazione della misura degli onorari tra i minimi ed i massimi tariffari, sicche’ non e’ censurabile il provvedimento che, come nel caso di specie, abbia applicato la misura media, in relazione all’oggetto ed alla complessita’ della controversia.
3.- Col terzo motivo e’ dedotta violazione delle norme e dei principi in materia di ripartizione dell’onere della prova con riferimento alle attivita’ professionali espletate e riconosciute dalle tariffe civili, nonche’ violazione dell’articolo 2697 c.c., e dell’articolo 91 c.p.c..
Si censura l’ordinanza nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto non provato l’espletamento di talune attivita’ professionali, mentre, secondo il ricorrente, queste si sarebbero potute desumere dall’esame del fascicolo d’ufficio ovvero si sarebbero dovute presumere sulla base delle disposizioni del codice di procedura civile o ritenere non contestate dalla controparte.
Si censura inoltre la decisione di compensazione delle spese del procedimento, assumendosi che non vi sarebbero state “gravi ed eccezionali ragioni” in tal senso.
3.1.- Nessuno dei due profili nei quali il motivo e’ articolato merita di essere accolto.
Quanto al primo, e’ sufficiente rilevare che e’ corretta la decisione del giudice di merito di liquidare diritti ed onorari soltanto per l’attivita’ professionale specificamente documentata dall’avvocato nell’ambito del procedimento iniziato ai sensi della Legge n. 794 del 1942, articolo 28.
E’ inammissibile la censura secondo la quale il Tribunale avrebbe dovuto tenere conto di quanto risultante dal fascicolo d’ufficio o di quanto non contestato dalla controparte.
Parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre di avere prodotto la parcella contenente le voci relative alle attivita’ svolte, rispetto alla quale soltanto avrebbe potuto invocare la presunzione di veridicita’ riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n.8160/2001, nonche’ Cass. S.U. n. 14699/10, secondo cui “La parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicita’, in quanto l’iscrizione all’albo del professionista e’ una garanzia della sua personalita’; pertanto, le poste o voci in essa elencate, in mancanza di specifiche contestazioni del cliente, non possono essere disconosciute dal giudice”). Se la parcella non e’ prodotta in giudizio ovvero non e’ completa, la parte richiedente non puo’ pretendere dal giudice del procedimento finalizzato alla liquidazione degli onorari il compimento di un’indagine officiosa (eventualmente mediante l’acquisizione del fascicolo d’ufficio) volta a colmare lacune istruttorie imputabili alla stessa parte.
Nella specie, dal ricorso non si evince se in sede di merito fosse stata prodotta una parcella e/o quali fossero le attivita’ difensive ivi indicate, quindi quali fossero quelle sulle quali si sarebbe avuta la non contestazione della parte resistente.
Il ricorso non rispetta, sul punto, il disposto dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, essendo privo della necessaria autosufficienza.
3.2.- Quanto al secondo profilo, va rilevato che la decisione di compensazione delle spese processuali e’ stata motivata dal Tribunale con la constatazione che la somma liquidata per diritti ed onorari, nell’importo complessivo di euro 3.683,50, “e’ enormemente inferiore a quella… richiesta” (pari ad euro 45.387,79).
In proposito, va ribadito il principio per il quale la nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (articolo 92 c.p.c., comma 2), sottende – anche in relazione al principio di causalita’ – una pluralita’ di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti ovvero anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorche’ essa sia stata articolata in piu’ capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri ovvero quando la parzialita’ dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo (cosi’ Cass. ord. n. 22381/09 e n. 21684/13).
Pertanto, malgrado sia improprio il riferimento alle gravi ed eccezionali ragioni contenuto nell’ordinanza impugnata, il giudice ha comunque correttamente esercitato il potere discrezionale riconosciutogli dall’articolo 92 c.p.c., comma 2.
Poiche’ il principio di causalita’ va inteso non in senso assoluto, ma nel senso – relativo a ciascun procedimento-sopra specificato, non merita accoglimento la censura del ricorrente, secondo cui le spese del procedimento non sarebbero state compensabili, per essere stato egli costretto ad instaurare il giudizio “in conseguenza del silenzio dell’interlocutore”. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente, nell’importo complessivo di euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese processuali, IVA e CPA come per legge.
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