Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 30 novembre 2015, n. 47256
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2013/13 della Corte di appello di Catanzaro, del 20 novembre 2013;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GENTILI Andrea;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SALZANO Francesco, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresi’, per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), del foro di (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso, chiedendo che, in estremo subordine, sia dichiarata la prescrizione del reato contestato.
RITENUTO IN FATTO
(OMISSIS), rinviato a giudizio per rispondere di fronte al Tribunale di Cosenza del reato di cui all’articolo 81 cpv. cod. pen. e Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, per avere omesso il versamento all’Inps delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni versate ai propri dipendenti, ammontanti a complessivi euro 1.109,00, e’ stato in detta sede, essendo ivi stata riconosciuta la sua penale responsabilita’, condannato, con sentenza del 20 novembre 2013, alla pena di mesi 1 di reclusione ed euro 450,00 di multa.
Avendo il prevenuto interposto appello, la Corte di Catanzaro, con sentenza del 16 dicembre 2014, in parziale riforma della decisione assunta dal giudice di prime cure, dichiarava il reato contestato al (OMISSIS) estinto per prescrizione con riferimento alle mensilita’ contributive relative al quarto bimestre dell’anno 2006 ed al primo bimestre dell’anno 2007, confermando, invece la dichiarazione di penale responsabilita’ relative alle omissioni contributive concernenti i restanti periodi, cioe’ il secondo ed il quarto bimestre del 2007, riducendo la sanzione inflitta a giorni 25 di reclusione ed euro 250.00 di multa.
Ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS), tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo, in sostanza, in primo luogo il mancato raggiungimento della prove della colpevolezza dei prevenuto, essendo stato provato il reato de quo in forza di una prova meramente presuntiva quale e’ quella costituita dell’analisi dei modelli DM 10, ed in secondo luogo la inosservanza od erronea applicazione della legge penale, in considerazione della mancata assoluzione del ricorrente stante la ritenuta inoffensivita’ della condotta a lui ascritta, come emergente dalla modestia della somma della quale e’ stato omesso il versamento in favore dell’ente previdenziale, cio’ anche tenuto conto del principi elaborati sull’argomento dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 2014.
Con successiva memoria, depositata in data 14 aprile 2015, il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, richiamando, oltre agli argomenti gia’ ricordati, anche l’applicazione del nuovo articolo 131-bis cod. pen., introdotto a seguito della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 2015, il quale ha introdotto l’istituto della non punibilita’ laddove sia ravvisabile nel reato contestato la caratteristica della particolare tenuita’ del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato dal prevenuto, risultato infondato, deve, pertanto, essere rigettato.
Osserva, infatti, il Collegio, con riferimento al primo motivo di impugnazione – riguardante il fatto che la Corte di appello abbia ritenuto provato il reato contestato sulla base della produzione da parte della pubblica accusa dei modelli DM 10 attestanti l’avvenuto versamento dei corrispettivi ai lavoratori dipendenti del prevenuto – che effettivamente, ai fini della integrazione del reato in questione e’ necessario non soltanto che l’imputato abbia omesso di versare all’INPS i contributi previdenziali ed assistenziali su di lui gravanti in relazione ai corrispettivi dovuti ai dipendenti, ma e’ altresi’ necessario che questi abbia realmente versato ai propri dipendenti i corrispettivi loro dovuti in forza della prestazione lavorativa dai medesimo offerta.
Cio’ in quanto la struttura materiale del reato, consistente nel mancato versamento all’ente previdenziale delle ritenute operate sulle retribuzioni erogate, impone logicamente che non possa essere operata una ritenuta senza il preventivo pagamento della somma dovuta al creditore (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 23 giugno 2003, n. 27641; idem Sezione 3 penale, 16 settembre 2003, n. 35498; idem Sezione 3 penale, 6 novembre 2003, n. 42378).
Va, tuttavia, rilevato che in piu’ occasione la Corte ha affermato che la prova dell’avvenuto versamento ai dipendenti del prevenuto dei corrispettivi puo’ essere assolta anche tramite la produzione da parte della pubblica accusa della copia dei modelli DM 10 redatti dal datore di lavoro, gravando, in siffatta ipotesi, sull’imputato dimostrare la mancata corrispondenza a verita’ della situazione rappresentata dalle denunzie retributive inoltrate dal datore di lavoro all’ente previdenziale (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 9 settembre 2014, n. 37330; idem Sezione 3 penale, 19 febbraio 2014, n. 7772).
Nel caso in questione alla produzione dei modelli DM 10 non e’ stato opposto alcunche’ da parte del ricorrente, sicche’ correttamente la Corte territoriale ha ritenuto dimostrata la materialita’ del reato contestato al (OMISSIS).
Parimenti infondata e’ la doglianza avente ad oggetto la pretesa inoffensivita’ del fatto contestato al prevenuto.
Invero, deve essere preliminarmente precisato che la affermazione richiamata dal ricorrente, contenuta nella sentenza n. 139 del 2014 della Corte costituzionale, secondo la quale “resta precipuo dovere del giudice di merito di apprezzare alla stregua del generale canone interpretativo offerto dal principio di necessaria offensivita’ della condotta concreta se essa, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, sia, in concreto, palesemente priva di qualsiasi idoneita’ lesiva dei beni giuridici tutelati”, sebbene sia stata espressa in una decisione avente ad oggetto la pretesa illegittimita’ costituzionale del Decreto Legge n. 463 del 1983, articolo 2, comma 1-bis, convertito con motivazioni con Legge n. 638 del 1983 (illegittimita’, peraltro, ritenuta infondata data la eterogeneita’ rispetto alla disposizione scrutinata del tertium comparationis, costituito secondo il rimettente dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis), deve intendersi riferita non specificamente a siffatta normativa, riguardando essa, invece, il complessivo corpus normativo penale.
Ed a tale proposito rileva il Collegio come questa Corte abbia ritenuto, nella concreta attivita’ di garanzia della uniforme di interpretazione del diritto che le e’ dall’ordinamento attribuita, che sia possibile parlare di condotta inoffensiva solo laddove il vulnus che la condotta posta in essere ha arrecato al bene interesse tutelato sia effettivamente irrilevante o inesistente, trattandosi di condotte non idonee a cagionare la predetta lesione (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 26 gennaio 2015, n. 3562; idem, Sezione 3 penale, 6 marzo 2006, n. 7820), ovvero tali da realizzarla in misura talmente lieve che, se l’evento caratterizzante il reato si fosse determinato secondo una diversa modalita’, esso sarebbe stato espressamente qualificato come non idoneo ad integrare il reato (Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 30 luglio 2014, n. 33835, fattispecie in materia di coltivazione di piante di canapa indiana la cui potenzialita’ produttiva era inferiore alla quantita’ di stupefacente detenibile in quanto destinata all’uso personale) o nelle quali il danno arrecato sia stato compensato da una vantaggio, derivante dalla medesima condotta, avente valore non inferiore al primo (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 10 dicembre 2013, n. 49787).
Nel caso in esame, invece, per quanto emerge dalla stessa sentenza del giudice di appello, sebbene l’ammontare delle contribuzioni previdenziali ed assistenziali omesse dal prevenuto sia di importo piuttosto contenuto, si tratta, infatti, di un’omissione di poco superiore a 1.100,00 euro, tuttavia lo stesso non appare essere tale da non cagionare un, sia pur limitato, vulnus alla gestione delle risorse finanziarie cui le contribuzioni omesse avrebbero dovute accedere.
Dovendosi, per le ragioni in precedenza esposte, escludere la pronunzia di una sentenza tale da comportare l’ampio proscioglimento del prevenuto dalla contestazione a lui mossa, deve, a questo punto, passarsi all’esame dei restanti profili di impugnazione, cioe’ la eccezione di prescrizione e la richiesta, formulata con la memoria depositata in data 14 aprile 2015, di concessione del beneficio della dichiarazione di non punibilita’ per la particolare tenuita’ del fatto ai sensi dell’articolo 131-bis cod. pen..
A tale proposito rileva la Corte sotto il profilo metodologico, concordando con la prima giurisprudenza formatasi sulla recentissima normativa in materia, che sia possibile promuovere l’eccezione avente ad oggetto la dichiarazione di particolare tenuita’ del fatto anche di fronte a questo giudice di legittimita’; la natura certamente sostanziale della disposizione in questione, la quale evidentemente introduce un trattamento piu’ favorevole rispetto al precedente delle fattispecie sussumibili nell’ambito di sua operativita’, ne comporta la applicazione, in base alla generale retroattivita’ della lex poenalis mitior, anche alle condotte gia’ poste in essere e la sua applicabilita’ anche nei giudizio gia’ in corso, non esclusi quelli gia’ pendenti in grado di legittimita’ (in tal senso si veda, infatti, Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 15 aprile 2015, n. 15449).
L’esame di siffatta eccezione, tuttavia, comportando il suo eventuale accoglimento un trattamento del reo deteriore rispetto a quello che ne deriverebbe laddove il medesimo reato ritenuto rientrare nell’ambito del fatto di particolare tenuita’ fosse dichiarato estinto per prescrizione (atteso che la dichiarazione di prescrizione comporta la estinzione del reato laddove l’affermazione della particolare tenuita’ del fatto ne presuppone, sia pure sotto il profilo solamente storico il suo accertamento), deve intervenire solo subordinatamente all’eventuale infruttuosa verifica della avvenuta prescrizione del reato contestato.
Nel caso in esame, ricordata la dichiarazione di prescrizione parziale dei reati di cui in contestazione contenuta gia’ nella sentenza di appello oggi impugnata, dichiarazione riferita alle condotte poste in essere sino al primo trimestre 2007 (in tale senso dovendosi emendare l’imprecisione contenuta nel dispositivi della sentenza della Corte di appello di Catanzaro laddove si parla di bimestre invece che di trimestre, come, invece, correttamente indicato nel capo di imputazione), rileva la Corte che, tenuto conto del periodo di 42 giorni decorso fra il 4 novembre 2014 ed il 16 dicembre 2014 nel corso del quale la prescrizione e’ rimasta sospesa, il reato contestato al (OMISSIS) si sarebbe prescritto, con riferimento alla omissione contributiva riguardante il secondo trimestre dell’anno 2007, solo il prossimo 28 maggio 2015, mentre il successivo periodo riguardante il quarto trimestre 2007 si sarebbe prescritto addirittura il 28 novembre 2015.
La relativa eccezione come formulata dal ricorrente e’, pertanto, infondata.
Con riferimento alla dedotta non punibilita’ del fatto per effetto della sua particolare tenuita’, osserva, sempre preliminarmente, la Corte che non appare ostativa alla verifica della fondatezza della richiesta come formulata dalla difesa del ricorrente la circostanza che tale difesa non sia munita di procura speciale ad hoc, avendo essa agito sulla base della ordinaria procura ad litem.
Rileva, infatti, la Corte che la gia’ considerata natura sostanziale della eccezione, afferendo questa ad una caratteristica obbiettiva del fatto addebitato al prevenuto, rende, in linea di principio, apprezzabile ex officio la sussistenza della particolare causa di non punibilita’. Ne e’, d’altra parte, un indice normativamente inequivocabile la disciplina contenuta nell’articolo 411 c.p.p., comma 1-bis, il quale prevede la possibilita’ della archiviazione della notizia di reato, laddove il Pm abbia rilevato la particolare tenuita’ del fatto, non nel caso in cui l’indagato abbia aderito alla richiesta in tal senso rivolta dal Pm al Gup, ma semplicemente laddove questi non si sia opposto a tale ragione di archiviazione; ne’, infine, la opposizione dell’indagato e’ ostativa alla dichiarazione di non punibilita’ ex articolo 131-bis cod. pen., comportando la espressione di tale opposizione solamente l’aggravamento della procedura, non potendo il giudice disporla de plano e senza formalita’, ma essendoci, invece, la necessita’ della convocazione delle parti in camera di consiglio, nella forme di cui all’articolo 127 cod. proc. pen., siccome richiamate dall’articolo 409 c.p.p., comma 2.
Pertanto, la possibilita’ di procedere di ufficio alla dichiarazione di non punibilita’ del fatto per la sua speciale tenuita’, rende evidentemente non necessario in capo al difensore che, invece, intenda sollecitare al giudice del dibattimento siffatta pronunzia la titolarita’ di procura speciale ad hoc, trattandosi di atto che non comporta la disposizione di diritti personali dell’imputato e che non presuppone la conclusione di alcun negozio processuale da parte di quest’ultimo.
Cio’ posto osserva la Corte che per effetto della entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 2015 e’ stato inserito ex novo nel codice penale l’articolo 131-bis, il quale – come recentemente compendiato da questa stessa Sezione della Suprema Corte nella citata sentenza n. 15449 del 2015 – al comma primo, riserva preliminarmente il proprio ambito di applicazione ai soli reati per i quali e’ prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. I criteri di determinazione della pena sono indicati dal comma quarto, il quale precisa che non si tiene conto delle circostanze del reato, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato in questione e di quelle ad effetto speciale. In tale ultimo caso non si tiene conto del giudizio di bilanciamento di cui all’articolo 69 cod. pen.. Il comma 5, inoltre, chiarisce che la non punibilita’ si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuita’ del danno o del pericolo come circostanza attenuante.
La rispondenza ai predetti limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilita’, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento.
Il primo degli indici-criteri (cosi’ li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena richiamati (particolare tenuita’ dell’offesa) si articola, a sua volta, in due indici-requisiti (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalita’ dell’azione, gravita’ del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensita’ del dolo o grado della colpa).
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due indici-requisiti della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 c.p., comma 1, sussista l’indice-criterio della particolare tenuita’ dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualita’ del comportamento.
Solo in questo caso si potra’ considerare il fatto di particolare tenuita’ ed escluderne, conseguentemente, la punibilita’.
Con particolare riferimento all’indice-criterio della non abitualita’ del comportamento il legislatore ha chiarito, al comma 3 della disposizione in questione, che si intende abituale il comportamento, costituente reato, di chi gia’ sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche se gli stessi atomisticamente considerati possano essere ritenuti di particolare tenuita’, ovvero se si tratti di condotte plurime, abituali o reiterate.
Cosi’ delimitato il campo di applicazione della normativa in questione, rileva la Corte che nel caso in questione sussistano piu’ ragioni per escludere la sua pertinenza alla fattispecie attualmente in esame.
Posto, infatti, che il legislatore ha espressamente escluso dal novero dei fatti di particolare tenuita’ tutte le fattispecie nelle quali la condotta si caratterizzi per essere plurima, abituale o reiterata deve escludersi la possibilita’ di sussumere nell’ambito del fatto di particolare tenuita’ le ipotesi di reato continuato costituite: a) dalla reiterazione di reati fra loro omogenei (posto che la reiterazione presuppone la identicita’ sostanziale degli atti ripetuti); b) dalla sussistenza di almeno tre condotte autonomamente atte ad integrare il reato se si tratta di reati fra loro disomogenei (la nozione di condotta plurima, infatti, si discosta semanticamente da quella di condotta plurale, per la quale e’ sufficiente la mera duplicita’ degli atti, richiedendo rispetto ad essa almeno un’ulteriore presenza di condotta criminosa).
Invero nell’ipotesi di reato continuato, infatti, la fattispecie, ancorche’ fittiziamente, e per altro non a tutti i fini (si veda a titolo di esempio, infatti, l’attuale regime della prescrizione), unificata dal vincolo derivante dalla unicita’ del disegno criminoso, si caratterizza sotto il profilo della condotta penalmente rilevante per essere costituito da una pluralita’ di azioni.
Parimenti esulante dalla fattispecie del fatto di particolare tenuita’ ai fini di cui all’articolo 131-bis cod. pen. e’ il reato commesso da chi gia’ abbia commesso piu’ reati della stessa indole, cioe’ sia, nel senso sopra indicato, gia’ pregiudicato con sentenza oramai passata in giudicato per fatti aventi la medesima indole di quelli per i quali si procede attualmente.
La natura formale del riscontro della sussistenza dell’indice-criterio della mancata commissione di piu’ reati della stessa indole in capo all’individuo che intenderebbe giovarsi della speciale ipotesi di non punibilita’ del fatto, parrebbe precludere al giudicante, diversamente da quanto avviene ad esempio in tema di recidiva, un apprezzamento sostanziale della sintomaticita di tale dato, dovendosi, invece, immediatamente escludere la particolare tenuita’ del fatto laddove esso sia stato commesso da chi gia’ abbia commesso piu’ reati della stessa indole.
Cosi’ brevemente ricostruito, nei limiti della funzionalita’ alla presente decisione, l’innovativo meccanismo normativo, osserva la Corte che, riguardo alla posizione del (OMISSIS) non puo’ dirsi sussistere l’indice-criterio della non abitualita’ del comportamento, sulla base degli elementi sintomatici dianzi evidenziati.
Infatti, per un verso, la contestazione ora mossa nei confronti del ricorrente e’ relativa a piu’ condotte di omissione dei versamenti delle ritenute previdenziali ed assistenziali accertate a carico del medesimo in continuazione fra loro; per altro verso egli gia’ e’ stato condannato, con sentenza passata in giudicato in data 12 aprile 2006, per altre condotte reiterate concernenti l’omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali; ed infine il (OMISSIS) gia’ ha riportato nel passato un’ulteriore sentenza di condanna, divenuta definitiva in data 23 giugno 1998, il cui avvenuto condono non ne esclude la rilevanza agli effetti diversi dalla estinzione della sola pena (Corte di cassazione, Sezione 1 penale, 6 febbraio 2015, n. 5689), per reati inerenti l’omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, da considerarsi della stessa indole di quello per cui ora si procede, dovendo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ritenersi accomunati da tale caratteristica non solamente quelli che violano una medesima disposizione di legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, presentano nei casi concreti – per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – caratteri fondamentali comuni (Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 23 dicembre 2014, n. 53590; idem Sezione 2 penale, 12 novembre 2010, n. 40105).
Nel caso in questione la identita’ di indole e’ ravvisabile nel fatto che il fine di ambedue i reati e’ l’intento di sottrarsi all’adempimento dei doveri finanziari imposti, da ragioni lato sensu solidaristiche, dalla appartenenza alla comunita’ nazionale.
Il ricorso presentato da (OMISSIS) deve essere, per quanto sopra esposto, rigettato e questi deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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