Le massime
In caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacchè essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994);
I parimenti il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorchè essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754);
Non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finchè il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);
In caso di morte di un congiunto, la stessa nozione di risarcimento per equivalente – e cioè di un intervento a carico del danneggiante che serva a rimettere il patrimonio del soggetto leso nella situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse intervenuto l’atto illecito – ha senso solo con riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece la funzione consolatoria dell’erogazione pecuniaria (non a caso tradizionalmente definita denaro del pianto), inattuabile, per forza di cose, nei confronti del defunto (confr. Cass. civ. 6754/2011 e 7632/2003 cit.).
Il testo integrale
Suprema Corte di Cassazione
Sezione III Civile
Sentenza 28 giugno 2011, n. 14259
Svolgimento del processo
I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
Il (OMISSIS) Z.V., mentre alla guida della sua autovettura transitava sulla carreggiata sud dell’autostrada (OMISSIS), andò a collidere contro lo spigolo posteriore destro di un autotreno di proprietà della società Beauvier Rhon Alpes s.r.l., condotto da G.L., fermo in avaria sulla sua stessa corsia di marcia. Nell’urto la guidatrice riportò lesioni gravissime che ne determinarono rapidamente la morte.
I genitori della vittima Z.L. e F.L., la sorella Z.E. e la nonna D.L.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Torino il proprietario e il conducente dell’autotreno nonchè l’UCI -Ufficio Centrale Italiano – s.p.a. chiedendo di essere risarciti dei danni subiti.
Si costituì in giudizio la sola società assicuratrice che contestò l’avversa pretesa.
Con sentenza del 22 novembre 2002 il giudice adito, ritenuta la esclusiva responsabilità del G. nella causazione del sinistro, condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 104.832,34 in favore di ciascuno dei genitori; di quella di Euro 32.217,40, in favore della sorella; e della somma di euro 23.079,19, in favore di D.L.A., oltre interessi legali da computasi sui predetti importi dalla data della sentenza al saldo.
Su gravame principale degli attori e incidentale di UCI la Corte d’appello di Torino, in data 22 ottobre 2008, ha condannato gli appellati in solido al pagamento delle ulteriori somme di Euro 10.406,80 e di Euro 22.756,80, in favore, rispettivamente, di Z.L. e di F.L., mentre ha rigettato l’appello incidentale. Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione Z.L., F.L. ed Z.E., formulando un unico motivo.
Resiste con controricorso UCI s.p.a. – Ufficio Centrale Italiano – che propone altresì ricorso incidentale affidato a un solo mezzo
Motivi della decisione
1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da Z.L., F.L. ed Z.E., nonchè da UCI s.p.a. avverso la stessa sentenza.
2 Ragioni di ordine logico impongono di partire dall’esame del ricorso incidentale.
Con esso si denunciano vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla affermazione della esclusiva responsabilità del G. nella causazione del sinistro.
Erroneamente il giudice di merito avrebbe invero ritenuto l’incidente addebitabile al conducente dell’autotreno, sulla base delle dichiarazioni da questi rese in sede di interrogatorio, senza neppure chiarire quali fossero i fatti a sè sfavorevoli, e favorevoli alla controparte, dallo stesso ammessi.
Il decidente avrebbe in realtà fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito, dimostrativo del fatto che la Z. viaggiava a velocità elevata e che proprio tale circostanza le aveva impedito di porre tempestivamente in essere la manovra necessaria a evitare l’impatto con l’autotreno, fermo per avaria sulla corsia di emergenza.
3 Le critiche non hanno pregio.
La Corte territoriale ha ritenuto l’incidente addebitale al G., in ragione dell’assoluta pericolosità della condotta di guida dallo stesso osservata. Secondo quanto affermato in sede di interrogatorio, infatti, il convenuto, constatata l’avaria dell’autotreno, anzichè attendere i soccorsi in un’area in cui non avrebbe creato intralcio per la circolazione, si era spostato sulla corsia di marcia e, al momento dell’impatto, neppure aveva ancora posizionato il triangolo, essendo intento a parlare a telefono. Ha anche escluso il decidente la sussistenza di elementi che potessero far ritenere la responsabilità concorrente della Z. nella causazione del sinistro, considerato che la vittima non aveva potuto spostarsi sulla corsia di sorpasso per essere questa occupata da un’altra autovettura.
4 Osserva il collegio che, contrariamente all’assunto del ricorrente, l’iter argomentativo attraverso il quale il giudice di merito ha motivato la scelta decisoria adottata è conforme ai principi giuridici che governano la materia della circolazione stradale, logicamente corretto ed esente da aporie o da contrasti disarticolanti tra emergenze fattuali e soluzione giuridica adottata.
La ricostruzione della fattispecie concreta, basata su una lettura del materiale istruttorie estremamente analitica e improntata a massime di esperienza ampiamente condivisibili, è del tutto plausibile, essendo semmai apodittica l’affermazione di una concorrente responsabilità della vittima nella causazione del sinistro.
L’assoluta congruità dell’apparato motivazionale rende insindacabile in sede di legittimità l’accolta versione delle modalità del sinistro e la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi furono coinvolti, in quanto giudizi di merito, sottratti al sindacato di guesta Corte (confr. Cass. civ. 23 febbraio 2006, n. 4009).
Il ricorso è conseguentemente respinto.
5 Passando all’esame dell’impugnazione principale, nell’unico motivo gli impugnanti lamentano violazione dell’art. 2059 cod. civ. e art. 2 Cost. ex art. 360 c.p.c., n. 3. Senza contestare che, in base alla ricostruzione delle modalità del sinistro accolta dal giudice di merito, la morte della loro congiunta fu praticamente immediata, sostengono i ricorrenti che, in base ai più recenti arresti delle sezioni unite del Supremo Consesso, il danno non patrimoniale patito dalla danneggiata sarebbe comunque ad essi dovuto, essendo ravvisabili, nella condotta del conducente dell’autotreno, gli estremi del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale. Deducono quindi che in sede di gravame proprio di tale pregiudizio, spettante alla loro dante causa e nella cui titolarità essi erano subentrati in qualità di successori, avevano chiesto l’attribuzione.
6 Anche tali critiche sono infondate.
L’affermazione del giudice di merito, secondo cui, considerata l’eziologia dell’incidente, non era stato provato il consolidarsi in capo alla Z. di un proprio danno morale, come tale trasmissibile agli eredi, di talchè nulla poteva essere riconosciuto agli attori iure hereditatis, è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, dalla quale il collegio non intende discostarsi.
Questa Certe ha invero a più riprese ribadito:
a) che in caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacchè essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994);
b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorchè essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754);
c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finchè il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);
A ben vedere, a monte di tali opzioni ermeneutiche, e soprattutto dell’ultima, vi è l’elementare considerazione che, in caso di morte di un congiunto, la stessa nozione di risarcimento per equivalente – e cioè di un intervento a carico del danneggiante che serva a rimettere il patrimonio del soggetto leso nella situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse intervenuto l’atto illecito – ha senso solo con riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece la funzione consolatoria dell’erogazione pecuniaria (non a caso tradizionalmente definita denaro del pianto), inattuabile, per forza di cose, nei confronti del defunto (confr. Cass. civ. 6754/2011 e 7632/2003 cit.).
Dirimente è in proposito la considerazione della irriducibile a somma disomogeneità tra bene inciso e mezzo attraverso il quale ne viene attuata la reintegrazione e, prima e ancor più, dell’impossibilità fisica di erogare la tutela in favore del soggetto che di quel bene era titolare.
8 In definitiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati. L’esito complessivo del giudizio consiglia compensarne integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
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