SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 agosto 2013, n. 19591
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. UCCELLA Fulvio – Presidente –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4188-2008 proposto da:
FONDIARIA SAI S.P.A. (OMISSIS) (già SAI SOCIETA’ ASSICURATRICE INDUSTRIALE S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA ANTONIETTA, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
D.B., D.C.;
– intimati –
avverso il provvedimento n. 32/2007 del TRIBUNALE DI TERAMO SEZIONE DISTACCATA DI ATRI, depositata il 26/03/2007 R.G.N. 752/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/05/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato CARLA SILVESTRI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del 1 e 2 motivo e accoglimento del 3 motivo di ricorso.
Svolgimento del processo
1. D.C. e D.B., nelle rispettive qualità di conducente e proprietario, citavano a giudizio, davanti al Giudice di pace di Notaresco, la SAI s.p.a., nella qualità di impresa designata ai sensi della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19, per chiedere il risarcimento dei danni conseguenti ad un sinistro stradale con un veicolo rimasto non identificato, verificatosi lungo la strada statale 16 in territorio di Roseto degli Abruzzi.
Il Giudice di pace respingeva la domanda.
2. Gli attori proponevano appello e il Tribunale di Teramo, Sezione distaccata di Atri, con sentenza del 26 marzo 2007, in riforma della pronuncia di primo grado condannava la SAI s.p.a. a pagare a D.C. la somma di Euro 1.822 a titolo di danno morale ed a D.B. la somma di Euro 3.181 per danni all’autovettura, il tutto con rivalutazione ed interessi e con compensazione delle spese del grado.
Osservava il Tribunale che il D. aveva provveduto a denunciare il sinistro poche dopo che lo stesso si era verificato e che la Polizia stradale aveva compiuto le verifiche in loco alcuni giorni dopo, sicchè ogni traccia dell’incidente era ormai andata perduta. Dall’espletata c.t.u., però, era emerso un quadro dei danni riportati dalla vettura di proprietà di D.B. compatibili con la dinamica dell’incidente descritta da D. C., sia pure in un ordine di probabilità di circa il 60 per cento. Anche le lesioni refertate a quest’ultimo presso l’ospedale di Atri risultavano compatibili con quanto dal medesimo riferito.
3. Avverso la sentenza d’appello propone ricorso la Fondiaria SAI s.p.a., con atto affidato a tre motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, art. 19, lett. a), degli artt. 2054, 2697 e 2700 cod. civ. e dell’art. 116 cod. proc. civ., oltre a vizio di motivazione.
Rileva la società ricorrente che la richiesta di risarcimento avanzata nei confronti del Fondo di garanzia delle vittime della strada non esime il danneggiato dall’onere di provare che il sinistro si è verificato per fatto doloso o colposo di altro veicolo; oltre a questo, il danneggiato è tenuto a collaborare con le autorità competenti, anche con presentazione di denuncia o querela, onde consentire l’identificazione del responsabile.
Nel caso specifico, il D. ha presentato denuncia otto ore dopo il presunto incidente, fornendo alla Polizia la propria versione dell’accaduto. L’accertamento dei danni riportati dalla vettura, analogamente all’ispezione dei luoghi, sono stati svolti solo una settimana dopo, tanto che il verbale della Polizia da conto della sostanziale impossibilità di ricostruire la dinamica dell’incidente.
Anche la relazione del c.t.u. nominato nel giudizio di primo grado, poi, si presenta in termini altamente dubitativi, in quanto pone in evidenza che i danni patiti dalla vettura erano compatibili con l’urto contro un altro mezzo, ma anche con l’urto contro un ostacolo fisso.
Il motivo è supportato dai seguenti quesiti di diritto:
nell’ipotesi di sinistro cagionato da veicolo non identificato costituisce onere probatorio a carico del danneggiato la dimostrazione della presenza e della condotta colposa o dolosa del conducente dell’altro veicolo rimasto sconosciuto.
L’efficacia di piena prova fino a querela di falso di un verbale di accertamento di un incidente stradale redatto da organi di polizia sussiste riguardo ai meri giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale redigente.
La c.t.u. costituisce un mezzo di prova o uno strumento di valutazione della prova già acquisita agli atti.
In ogni caso, la c.t.u. può essere intesa come un mezzo sostitutivo dell’onere della prova incombente sulla parte.
La presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 cod. civ. è applicabile anche nel caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato”.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2697 c.c..
Si rileva, a sostegno, che la sentenza del Tribunale ha riconosciuto che le lesione riportate da D.C. sono perfettamente compatibili con l’evento dannoso in questione. In realtà, invece, il D. si è recato presso gli uffici della Polizia stradale circa otto ore dopo l’accaduto, senza fare menzione alcuna delle lesioni asseritamente subite; solo due giorni dopo egli è andato all’ospedale di Atri dove gli è stato diagnosticato un trauma contusivo pregresso al gomito destro e la presenza di un corpo estraneo nell’occhio sinistro. Osserva la società ricorrente che un simile referto, per di più redatto due giorni dopo il presunto incidente, non può costituire prova dell’esistenza di un danno alla salute conseguente al fatto per cui è causa, mancando la prova del nesso di causalità.
Il motivo è supportato dal seguente quesito di diritto:
“il danneggiato da incidente stradale deve fornire la prova, oltre che dell’esistenza del danno lamentato, anche del nesso di causalità tra tale danno ed il comportamento doloso o colposo del danneggiante, cioè della riconducibilità del danno al fatto del danneggiato”.
3. Rileva il Collegio che il presente ricorso si colloca, ratione temporis, nel periodo di vigenza dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale imponeva che ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di vizio di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale si assumeva che la motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria.
3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il quesito di diritto deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. E’ inammissibile, perciò, il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo (Sez. Un., sentenza 11 marzo 2008, n. 6420). Il quesito di diritto deve essere risolutivo del punto della controversia e non può risolversi nella richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (sentenza 3 agosto 2007, n. 17108); esso, infatti, dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di comprendere dalla sua sola lettura l’errore asseritamente compito dal giudice di merito e la regola applicabile (sentenza 7 marzo 2012, n. 3530).
3.2. Quanto, invece, alle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), questa Corte ha in più occasioni rilevato l’inammissibilità della censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per mancata formulazione del cd. quesito di fatto, in ossequio alla ratio che sottende la disposizione indicata, secondo cui la Corte di legittimità deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (sentenza 18 novembre 2011, n. 24255). Tale motivo di ricorso per cassazione, perciò, deve contenere un momento di sintesi omologo al quesito di diritto, costituente una parte che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, che ne circoscriva puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., S.U., 18 giugno 2008, n. 16528, seguita, fra le altre, di recente, dalle sentenze 4 dicembre 2012, n. 21663, e 18 dicembre 2012, n. 23363).
4. Alla luce dei criteri ora richiamati, i primi due motivi di ricorso sono inammissibili.
Essi, infatti, contengono, in relazione alle censure di violazione di legge, quesiti che non sono tali, poichè si risolvono nella formulazione di domande la cui risposta è ovvia in senso affermativo, ma che non sono di alcuna utilità ai fini della decisione, perchè non valgono a scardinare la motivazione della sentenza impugnata. Tali quesiti, in realtà, mascherano una richiesta di riesame del merito che è evidentemente preclusa in sede di legittimità, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di responsabilità derivante da sinistri stradali, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente ed al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta insindacabile in sede di legittimità quando sia adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e da errori giuridici, e ciò anche per quanto concerne il punto relativo alla prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ. (sentenza 10 agosto 2004, n. 15434, ribadita dalle sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, e 25 gennaio 2012, n. 1028).
Quanto alla censura in termini di vizio di motivazione, manca del tutto il necessario momento di sintesi idoneo a circoscrivere il punto sottoposto al giudice di legittimità.
5.1. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione della L. n. 990 del 1969, art. 19 e dell’art. 113 cod. proc. civ., in relazione al tipo di danno per il quale il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento.
La sentenza impugnata, infatti, contravvenendo al chiaro dettato del menzionato art. 19, ha riconosciuto non solo il risarcimento dei danni alla persona, ma anche di quelli alla vettura, mentre il testo della legge prevede, in caso di responsabilità dell’impresa designata dal Fondo di garanzia, che il risarcimento sia limitato ai danni personali.
5.2. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, infatti, con evidente violazione di legge, ha disposto in favore di D.B., nella qualità di proprietario del veicolo incidentato, il risarcimento del danno alla vettura nella misura di Euro 3.181.
Alla luce del chiaro testo della L. n. 990 del 1969, art. 19, comma 2, invece, in caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato la responsabilità del Fondo di garanzia delle vittime della strada, attraverso l’impresa a ciò designata, è limitata ai danni alla persona, sicchè non poteva in alcun modo essere riconosciuto il risarcimento del danno alla vettura. Simile disposizione, tra l’altro, è stata sostanzialmente riprodotta nel D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, art. 283, comma 2, oggi vigente.
6. In conclusione, vanno dichiarati inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, mentre va accolto il terzo.
La sentenza impugnata è cassata per quanto di ragione e, poichè non sono necessari, sotto questo profilo, ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, rigettando la domanda di risarcimento danni all’autovettura proposta da D.C. e D.B..
La sentenza d’appello, peraltro, va confermata sotto il profilo della compensazione integrale delle spese. Quanto al giudizio di cassazione, D.B., siccome soccombente in riferimento all’odierna decisione, deve essere condannato al pagamento delle medesime, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal D.M. 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata per quanto di ragione e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di risarcimento dei danni all’autovettura proposta da D.C. e D.B.; compensa integralmente le spese del giudizio di appello; condanna D.B. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.500, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 17 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2013.
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