www.studiodisa.it

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 24 settembre 2013, n. 21834

Svolgimento del processo

La notte del (omissis) Do..Ro. percorreva l’autostrada A8 in direzione nord, alla guida di un’automobile di proprietà della s.p.a. TNT Traco quando, all’altezza di …, andò ad urtare contro l’autocarro Scania, fermo sulla corsia di sorpasso, di proprietà dell’Impresa edile F.lli Piccolo s.n.c., che stava eseguendo lavori di manutenzione della corsia autostradale.
Il Ro. è deceduto e la vedova, V..B. , in proprio e quale rappresentante legale delle figlie minori, R.V. e F. , i genitori e il fratello del defunto, R.D. , C..G. e M..R. , nonché la TNT, in relazione ai danni all’automezzo, hanno convenuto davanti al Tribunale di Milano la s.n.c. Piccolo, la s.p.a. Pavimental, la s.p.a. Autostrade, la s.p.a. Cattolica di Assicurazioni e la s.c.r.l. Aristea, chiedendone la condanna in via solidale al risarcimento dei danni, assumendo che i lavori in corso e l’automezzo fermo sulla corsia non erano stati adeguatamente segnalati.
I convenuti hanno resistito alle domande, contestando ogni responsabilità.
Il Tribunale ha respinto tutte le domande attrici e la Corte di appello di Milano – con la sentenza impugnata in questa sede – ne ha confermato la decisione, ritenendo di poter accertare che, contrariamente a quanto dichiarato dagli attori sulla base delle deposizioni di due testimoni, l’impresa Piccolo aveva segnalato i lavori in corso. Ha richiamato in proposito gli accertamenti compiuti dalla Polizia stradale, giunta in luogo 20-30 minuti dopo il sinistro.
I soccombenti propongono 4 motivi di ricorso per cassazione.
Resistono con controricorso le s.p.a. Autostrade per l’Italia, Pavimental e Cattolica di Assicurazioni, nonché la s.c.a.r.l. Manutencoop, subentrata alla Aristea.
Hanno depositato memorie i ricorrenti, la s.p.a. Autostrade, la s.p.a. Pavimental.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo, denunciando violazione dell’art. 2697 cod. civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nel capo in cui ha ritenuto per certo che le segnalazioni del cantiere fossero quelle di cui al rapporto della polizia stradale, disattendendo la loro eccezione – fondata sulle deposizioni di due testimoni – secondo cui i lavori in corso non erano segnalati. Assumono che il personale de cantiere ha avuto il tempo di alterare lo stato dei luoghi, prima dell’arrivo della polizia (anche al fine di prevenire ulteriori incidenti), considerato che l’impresa disponeva di mezzi di trasporto in luogo; che l’accensione delle luci di segnalazione richiedeva solo che fosse schiacciato un pulsante controllato dal cantiere e che il tempo trascorso fra l’incidente e l’arrivo degli agenti indicato dalla Corte di appello in venti o trenta minuti – non è attendibile, perché risulta solo dalle dichiarazioni degli addetti all’impresa responsabile dei lavori.
2.- Con il secondo motivo, denunciando ancora violazione di legge (non meglio specificata) e vizi di motivazione, i ricorrenti lamentano che la Corte di appello abbia disatteso le deposizioni rese da due testimoni che si trovavano su di un’automobile superata da quella del Ro. pochi attimi prima del sinistro, i quali hanno dichiarato di non avere notato alcuna illuminazione della sede del cantiere o dell’autocarro in sosta e di non aver visto alcun segnale di chiusura della corsia di sorpasso; di avere intravisto i birilli di delimitazione della corsia solo perché rifrangenti ed illuminati dai fari dell’auto che li precedeva.
Assumono che, a fronte di tali deposizioni testimoniali, è da ritenere illogica ed inattendibile la tesi della Corte di appello secondo cui l’incidente si sarebbe verificato a causa di un’improvvisa ed inspiegabile deviazione dell’automobile del Ro. – che percorreva la corsia di sorpasso normale – sulla corsia di sorpasso veloce, interessata dai lavori; che la stessa traiettoria dell’auto, che scarrocciò sulla sinistra girandosi di 180 gradi e l’accensione delle luci di stop prima dell’urto, manifestano che il conducente era cosciente e padrone di sé, e sono in netto contrasto con l’ipotesi di un suo malore.
Ricordano che il teste T..L. , denunciato penalmente per falsa testimonianza (pur avendo reso dichiarazioni coincidenti con quelle rese dall’altro teste, L.V. ), è stato prosciolto dal GIP da ogni accusa, perché il fatto non costituisce reato. Soggiungono che l’onere di fornire la prova di avere adeguatamente segnalato il cantiere era a carico dei convenuti.
3. – I due motivi – che vanno congiuntamente esaminati perché connessi – pur denunciando anche violazioni di legge, contengono in realtà solo addebiti di insufficiente od illogica motivazione, addebiti che non possono essere accolti. In tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità dell’incidente ed al comportamento delle persone alla guida dei veicoli coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto, insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato e immune da vizi logici e da errori giuridici (Cass. 2/03/2004, n. 4186; Cass. 25/02/2004, n. 3803; Cass. 30/01/2004, n. 1758; Cass. 05/04/2003, n. 5375). La Corte di appello ha rilevato che le deposizioni testimoniali appaiono in contrasto con quanto risulta dal rapporto della Polizia stradale.
I testi hanno infatti dichiarato che la loro auto marciava sulla corsia centrale dell’autostrada (definita dalla polizia stradale come corsia di sorpasso) e che l’incidente si è verificato allorché il Ro. si è spostato sulla corsia di sinistra (corsia di sorpasso veloce, secondo la terminologia del rapporto di polizia) per superare la loro autovettura, andando così a sbattere contro l’autocarro.
La polizia ha invece accertato che l’auto del Ro. percorreva la corsia centrale (di sorpasso) e che da questa si sono diramate tracce di deviazione dei pneumatici verso sinistra, conclusesi sulla corsia di sorpasso veloce in corrispondenza del punto di impatto con l’autocarro.
Ne ha dedotto che l’auto del Ro. , che viaggiava sulla corsia centrale, ha deviato verso sinistra per cause sconosciute: forse per avere il conducente perso il controllo della vettura o per un malore.
Ha soggiunto la Corte che il teste T..L. è stato prosciolto dal GIP per mancanza di dolo, avendo il GIP rilevato che l’obiettiva discordanza fra il contenuto della deposizione testimoniale e lo stato dei luoghi non è di per sé sufficiente a giustificare un’affermazione di responsabilità penale. Quanto alla segnalazione del cantiere ed allo stato dei luoghi al momento del sinistro, la Corte di appello ha fondato la sua decisione sugli accertamenti compiuti dalla Polizia stradale, la quale – nell’informativa inviata al Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio – ha premesso che il tratto dell’autostrada interessato dal sinistro è “vincolato dal limite di velocità di 60 km/h, mediante segnaletica mobile, posta ai margini della carreggiata, limitazione dovuta alla presenza di cantiere mobile”; che la chiusura della corsia al traffico veicolare “…era regolarmente presegnalata mediante collocazione di idonea segnaletica temporanea mobile, integrata da dispositivi a luce lampeggiante gialla…., segnaletica che, con inizio dal km. 17+100, tratto di strada in piano, si estendeva per 550 metri…”, con vari cartelli segnalanti i lavori in corso, 500, 400, 150 e 100 metri prima; che 100 metri prima del cantiere, sulla corsia di sorpasso veloce, era collocato lo sbarramento obliquo costituito da tre frecce direzionali con la scritta “passaggio obbligato a destra” integrato da quattro dispositivi a luce lampeggiante gialla in progressione… alimentate da un gruppo autonomo di batterie.
La Corte ha poi ritenuto inattendibile la tesi degli appellanti, secondo cui lo stato dei luoghi sarebbe stato immutato dopo l’incidente, considerato il breve tempo trascorso prima del sopraggiungere della polizia, la mancanza di mezzi di trasporto tramite i quali apporre la segnaletica a cominciare da 500 metri prima.
Trattasi di valutazioni attendibili ed assistite da ampia motivazione, che non appaiono suscettibili di censura, in mancanza di ogni elemento idoneo a conferire concreto supporto alle supposizioni dei ricorrenti circa tempi e modi in cui gli addetti al cantiere avrebbero potuto immutare lo stato dei luoghi.
Le censure del ricorrente propongono quindi, nella sostanza, solo una diversa lettura degli atti processuali, che è notoriamente inammissibile in questa sede di legittimità.
4.- Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 2051 cod.civ. ed ancora vizi di motivazione, i ricorrenti assumono che i convenuti non hanno fornito la prova del caso fortuito, tenuto anche conto degli art. 21, 2 comma, cod. strad. e 30, 4 comma, d.p.r. n. 495 del 1992, secondo cui le segnalazioni dei lavori in corso debbono essere dislocate in modo idoneo. Assumono che non è stato effettuato alcun accertamento né alcuna indagine sull’idoneità della segnaletica e che in corso di causa è stata dimostrata solo l’esistenza di cartelli, senza alcun rilievo tecnico sulla visibilità dei cartelli medesimi, sulle luci e sui tempi di frenata.
4.1.- Il motivo non è fondato.
La CA ha ritenuto che il fatto si sia verificato esclusivamente per il comportamento colposo del danneggiato: comportamento che di per sé costituisce caso fortuito, quando sia stato da solo sufficiente a produrre l’evento (Cass. Civ. 7 aprile 2010 n. 8229; Cass. Civ. 5 dicembre 2008 n. 28811, fra le tante) e – nel suo discrezionale potere di valutazione delle risultanze probatorie acquisite al giudizio – ha ritenuto superfluo disporre ulteriori accertamenti, a fronte di quanto già acclarato nell’immediatezza del fatto.
5.- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. ed erronea, insufficiente od illogica motivazione, sia nella parte in cui la Corte di appello ha riformato la sentenza di primo grado quanto alla compensazione delle spese; sia nella parte in cui ha posto a loro carico anche le spese di appello, liquidate “ad un valore incredibilmente sanzionatorio e afflittivo, sia per la TNT, sia per i familiari della vittima”. La motivazione è da ritenere illogica nella parte in cui ha disposto che nella specie non sussisteva alcuna difficoltà valutativa, mentre vi erano le concordi deposizioni di due testimoni in favore dei danneggiati. Richiamano il principio enunciato da questa Corte, per cui la valutazione sull’opportunità della compensazione delle spese processuali è censurabile, qualora siano stati addotti motivi erronei od illogici (Cass. civ. 22 gennaio 1990 n. 320).
5.1.- Il motivo è fondato.
La Corte di merito ha escluso la compensazione delle spese di primo grado, quindi implicitamente anche la compensazione delle spese di secondo grado, sul rilievo che “Il Tribunale è incorso in errore nel compensare le spese del giudizio in base alla peculiarità del caso, non ravvisandosi alcuna particolarità e difficoltà valutativa dei fatti. Non vi era quindi motivo perché il Tribunale non applicasse il principio della soccombenza”.
Sulla base di tali premesse, ha condannato gli stretti congiunti del defunto Ro. a pagare a titolo di rimborso delle spese processuali la somma complessiva di Euro 143.540,11, con l’aggiunta dell’IVA e del rimborso dei contributi previdenziali.
Rileva questa Corte che, in base all’originaria formulazione dell’art. 92 cod. proc. civ. – applicabile alla fattispecie ratione temporis – non era richiesta una specifica motivazione in merito al riparto delle spese processuali ed alla loro eventuale compensazione. Tuttavia, ove il giudice una tale motivazione avesse adottato, come nel caso in esame, era anche tenuto a rispettare i canoni di congruità e di non contraddittorietà di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (cfr. fra le tante, Cass. Civ. Sez. 1, 20 settembre 12431; Cass. Civ. Sez. 2, 14 novembre 2002 n. 16012; Cass. Civ. Sez. Lav. 1 settembre 2003 n. 12744).
Sotto questo profilo la motivazione della sentenza impugnata è senz’altro censurabile, nella parte in cui ha ritenuto che il caso non presentasse alcuna difficoltà di valutazione dei fatti, qualora si consideri che gli unici testimoni presenti all’incidente ne hanno concordemente reso una versione conforme alla tesi degli attori; che i diversi accertamenti posti a base della decisione sono frutto di rilievi effettuati dopo l’incidente (non si sa quanto tempo dopo, considerato che l’ora non è stata oggettivamente accertata, donde i comprensibili dubbi circa la possibilità che la situazione dei luoghi sia stata modificata) ; che la sentenza del GIP ha prosciolto il testimone dall’accusa di falso anche con la motivazione che “la segnalazione del cantiere non era demandata alla illuminazione dello stesso, bensì alla presenza di un’estesa e articolata segnaletica stradale” (cfr. sentenza impugnata, p. 9); che è stato possibile ricostruire le modalità dell’incidente solo a seguito di complesse ed articolate indagini tecniche, difficilmente accertabili a priori dai danneggiati, a fronte dei dati discordanti sopra indicati.
Tali circostanze non valgono ad infirmare le argomentazioni con cui la Corte di appello è pervenuta al rigetto delle domande attrici, nell’esercizio del suo discrezionale potere di accertare i fatti e di decidere la controversia in base al suo libero convincimento, con decisione non censurabile in questa sede di legittimità.
Valgono però a dimostrare tutta la problematicità del caso, in termini tali da dimostrare l’illogicità della motivazione circa l’insussistenza di difficoltà valutative dei fatti; quindi l’incongruenza della decisione relativa alla condanna degli attori al pagamento di tutte le spese processuali.
6.- In accoglimento del quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, nel capo relativo alla condanna degli odierni ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, 2 comma, cod. proc. civ..
Considerata la natura della controversia e delle questioni trattate; considerato il fatto che le risultanze probatorie non erano univoche, ma fra loro contrastanti e che le deposizioni testimoniali acquisite al giudizio, nonché le difficoltà inerenti all’accertamento dei fatti giustificavano la convinzione dei ricorrenti circa la fondatezza delle loro ragioni, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese dell’intero giudizio, ivi incluse quelle del presente grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta i primi tre motivi di ricorso ed accoglie il quarto motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, compensa le spese dell’intero giudizio.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *