Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 24 ottobre 2013, n. 24109
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data il 25.6.1999 la signora O.B.A. e il sig. D..B. convenivano in giudizio l’Istituto di Ricovero e Cura “(omissis) ” esponendo che all’O. , la quale aveva portato a termine in precedenza due gravidanze ((omissis) ) entrambe con taglio cesareo, in occasione di un ulteriore parto, in data (omissis), pure col taglio cesareo, era stata consigliata presso la divisione ostetricia del …, la sterilizzazione chirurgica consistente nella legatura delle tube uterine. La sig.ra O. si era quindi sottoposta all’operazione nel corso del parto del 28.2.1997, dopo essere stata informata dell’esito irreversibile della sterilizzazione e rassicurata circa l’impossibilità di ulteriori gravidanze. Pertanto, certa di non poter più restare gravida, l’attrice non aveva adottato in seguito alcuna misura anticoncezionale. Fatto sta che, nonostante l’intervento, era restata nuovamente incinta ed in data (omissis), dopo una gestazione difficile e dolorosa, presso la divisione di Ostetricia, aveva avuto un parto bigemellare. Nel corso dell’intervento era emerso che, mentre la tuba di destra risultava occlusa, la tuba di sinistra presentava “nel tratto distale, i fili della sterilizzazione” visibilmente dislocati. Gli attori erano quindi venuti a trovarsi con cinque figli a carico, versando in una situazione di grave disagio economico, anche a causa della sopravvenuta necessità, per l’attrice, di lasciare il lavoro. Nel corso del giudizio, in cui si costituiva l’Istituto (omissis) , venivano chiamate in causa le Dott.sse P. e D. , l’anestesista St. nonché la Milano Assicurazioni, la RAS Spa e la Meie Assicurazioni Spa. In esito, il Tribunale adito rigettava le domande attrici e compensava le spese di lite, fatta eccezione per quelle sostenute dalla St. , poste a carico del convenuto. Avverso tale decisione proponevano appello, in via principale, gli originari attori ed, in via incidentale, l’Istituto (omissis) . In esito al giudizio, la Corte di Appello di Trieste con sentenza depositata in data 13 giugno 2007 e pubblicata il 13 agosto 2007, respingeva entrambe le impugnazioni. Avverso la detta sentenza i coniugi B. hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi ed illustrato da memoria. Resistono l’Istituto (omissis) , la D. , la P. , la Milano Assicurazioni, la Spa Allianz, l’Aurora Assicurazioni con distinti controricorsi. L’Allianz, la D. e la P. hanno altresì depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1176 e 2697 cc, parte ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello posto a base della decisione, erroneamente, il fatto che gli attori non avessero provato il contenuto dell’obbligazione assunta dai sanitari, in occasione del contratto intercorso, avente ad oggetto l’esecuzione dell’intervento di sterilizzazione tubarica.
Ed infatti la Corte aveva trascurato – così continuano i ricorrenti – che, in caso di responsabilità medica per inesatto adempimento della prestazione, è a carico del paziente-danneggiato solo la prova dell’esistenza del contratto, del danno e del nesso di causalità con la condotta dei sanitari mentre resta a carico di questi ultimi provare che gli esiti dannosi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile.
Con la seconda doglianza, svolta per violazione e falsa applicazione dell’art.1176 cc, i ricorrenti lamentano che la Corte avrebbe trascurato l’inadempimento dei sanitari per carenza di consenso informato, avendo fatto sottoscrivere all’attrice uno scarno modulo in cui era scritto che l’intervento di sterilizzazione tubarica avrebbe comportato un esito irreversibile e permanente, senza alcuna avvertenza che l’intervento avrebbe potuto anche non presentare un esito positivo definitivo così da impedire per il futuro la ricanalizzazione tubarica ed il possibile recupero della fertilità.
Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la terza doglianza, articolata sotto il profilo del vizio motivazionale – la Corte territoriale sarebbe incorsa in una contraddittoria e insufficiente motivazione circa la sussistenza di un consenso informato da parte della paziente, dapprima affermando che l’obbligo informativo era stato puntualmente adempiuto dalla struttura sanitaria facendo sottoscrivere un modulo nel quale gli attori venivano informati della irreversibilità dell’intervento di sterilizzazione, e quindi osservando che, se fossero stati informati circa il rischio di insuccesso dell’intervento, i due coniugi avrebbero adottato le opportune cautele anche dopo l’intervento medesimo.
I motivi in questione, che vanno trattati congiuntamente, proponendo profili di censura fondati sul comune presupposto dell’inesatto adempimento dell’obbligazione assunta,da parte dei sanitari,sia per aver eseguito un intervento di sterilizzazione, rivelatosi inidoneo ad impedire la successiva ricanalizzazione tubarica, sia per aver omesso di informare la paziente su tale possibile ricanalizzazione con conseguente recupero della fertilità, colgono nel segno e meritano quindi di essere accolti.
A riguardo, mette conto di richiamare l’attenzione sulla peculiarità della vicenda sanitaria che ci occupa, posto che, nel caso di specie, non si verte nell’ipotesi, assai più ricorrente nella realtà giudiziaria in cui il paziente allega di aver patito un danno alla salute in conseguenza di azioni od omissioni del medico ovvero di non avere conseguito alcun miglioramento delle proprie condizioni di salute nonostante il suo intervento, ma si verte invece nell’ipotesi, assolutamente diversa, in cui una paziente, premesso di aver concordato con medici, l’esecuzione, in occasione di un parto cesareo, di un intervento volto a scongiurare gravidanze indesiderate, previa legatura delle tube, lamenta l’assoluta inefficacia dell’intervento, così da essere restata nuovamente incinta a distanza di pochi mesi, in quanto, come accertato in occasione dell’ulteriore parto gemellare, mentre la tuba di destra risultava occlusa, la tuba di sinistra presentava “nel tratto distale i fili della sterilizzazione visibilmente dislocati”.
Ora, se il mancato raggiungimento del risultato non determina l’inadempimento, ove non sia consequenziale alla non diligente prestazione o alla colpevole omissione dell’attività sanitaria, deve tenersi presente che l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) consiste nell’aver tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiesta, non solo con riguardo alla corretta esecuzione della prestazione sanitaria ma anche con riferimento a quei doveri di informazione e di avviso, definiti prodromici e integrativi dell’obbligo primario della prestazione.
La considerazione torna utile perché la peculiarità dell’intervento convenuto in relazione alla sua specifica e particolare funzione, mirante ad impedire ulteriori, temute gravidanze (l’O. aveva già subito due parti cesarei e si accingeva ad affrontarne un terzo) comportava necessariamente che l’obbligo prodromico di informazione, assunto dai sanitari, non si esaurisse nel fornire alla paziente generiche informazioni sull’intervento, che si intendeva eseguire, e sul carattere “irreversibile” della sterilizzazione, ma investisse altresì e soprattutto, in ragione dell’obbiettivo specificamente perseguito dalla paziente, i profili di incertezza che invece gravavano sulla definitività della sterilizzazione.
E ciò, specialmente in considerazione del particolare contesto temporale in cui l’intervento veniva eseguito, rientrando nel comune patrimonio delle conoscenze di un ginecologo – ma non anche di una paziente – che la legatura delle tube, eseguita in occasione di un parto cesareo, essendo i tessuti edematosi, non assicura l’irriversibilità della sterilizzazione e può risultare inadeguata ad impedire la discesa dell’ovulo quando i tessuti medesimi tornano in condizioni di normalità.
L’adempimento di tale obbligo informativo, da parte dei sanitari, avrebbe non solo evitato la violazione del diritto all’autodeterminazione della paziente, resa consapevole circa la non definitività della sterilizzazione ed informata quindi, in maniera completa ed esaustiva, sul bilancio rischi-vantaggi derivante dall’intervento – non sussistendo alcuna valida autodeterminazione, senza l’informazione cui la paziente aveva diritto – ma le avrebbe altresì consentito di adottare, nel successivo decorso del tempo, le opportune misure nonché gli utili accertamenti e controlli clinici, atti ad impedire ulteriori gravidanze non volute.
Nella specie, non risulta invece, che tale informazione sia stata fornita. Anzi, dalla compiuta istruttoria risulta la circostanza esattamente contraria, vale a dire che ai due coniugi fu fatto sottoscrivere “un modulo nel quale i due coniugi….venivano informati della irreversibilità dell’intervento di sterilizzazione” (v. pag.31 della sentenza impugnata).
Ed è appena il caso di sottolineare che tale informazione era non solo inesatta ma, anche e soprattutto, fuorviante così da incidere in maniera determinante sul valido e corretto processo formativo della volontà dei due coniugi in relazione alla scelta del momento – e del contesto operatorio – in cui eseguire la legatura delle tube.
Peraltro, sia il fatto che la sterilizzazione con il metodo Madlener in sede di taglio cesareo presentasse un’alta probabilità di insuccesso sia il fatto che di ciò fosse stata informata la O. costituiscono circostanze, le quali in realtà sono riferite soltanto dalla Dott.ssa P. e dalla dr.ssa D. nel corso del libero interrogatorio ma è evidente che tali dichiarazioni non possono avere alcun rilievo probatorio poiché nessuna parte può testimoniare a favore di se stessa. Al contrario, nessuno dei testi esaminati nel corso dell’istruttoria ha mai riferito che l’O. fu specificamente ed esaustivamente informata sui rischi di insuccesso della legatura delle tube eseguite nel corso di un parto cesareo, rischio legato allo stato di edema delle tube, la cui successiva risoluzione – giova ripeterlo – poteva favorire, come poi effettivamente avvenne, lo scivolamento del cappio di filo di sutura utilizzato per lo strozzamento delle tube.
Ed invero, i testi si sono limitati ad accennare solo ad una prassi secondo cui le pazienti sarebbero state abitualmente avvertite in ordine al rischio di un insuccesso, senza fornire però alcun elemento di necessaria certezza sul fatto che tale obbligo di informazione, assolutamente indispensabile nel caso di specie, dati la peculiarità ed il fine dell’intervento convenuto, fosse stato effettivamente assolto nel caso di specie. Né la Corte di merito ha compiuto alcun specifico accertamento su tale profilo, invero fondamentale, della vicenda, limitandosi in motivazione ad avanzare la mera ipotesi che l’informazione giusta, sulla possibilità di insuccesso, potrebbe esserci stata, senza chiarire però da quali precisi elementi avesse tratto tale ipotesi e per quale ragione tali elementi avessero valenza probatoria (v. pag. 32 della sentenza).
Tutto ciò premesso, mette conto ora di sottolineare che, riguardo al riparto dell’onere della prova, le Sezioni Unite di questa Corte hanno enunciato il principio secondo cui il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento (Sez. Un. (30.10.2001, n. 13533).
Analogo principio è stato enunciato con riguardo all’inesatto adempimento, rilevando che al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.
Applicando questo principio all’onere della prova nelle cause di responsabilità professionale del medico deve affermarsi che il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve soltanto provare il contratto e allegare l’inadempimento del sanitario. L’allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento, anche sotto il profilo dei doveri prodromici, come quello di informazione, e dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno, (v. Sez. Un. n.577/2008).
Ciò posto, considerato il mancato assolvimento di tale onere probatorio, da parte dei debitori, le censure in esame meritano di essere accolte, restando in esse assorbite le successive doglianze, dovendosi, all’uopo, precisare che, come deducono gli stessi ricorrenti, “mai è stato richiesto al giudice un risarcimento per la nascita dei due gemelli” (p. 32, ricorso).
Il ricorso per cassazione, siccome fondato, deve essere quindi accolto in relazione e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata.
Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia da condursi nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
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