Le massime
“Nella struttura delle opposizioni all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, artt. 617 e 619 c.p.c., emergente dalla riforma di cui alla L. n. 52 del 2006, nel senso dell’articolazione di una fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione e di una dovuta fase a cognizione piena davanti a quello stesso giudice o – per le sole opposizioni ex artt. 615 e 619 c.p.c. – davanti a quello competente nel merito, deve ritenersi che il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sè, tanto se in senso negativo, quanto se in senso positivo riguardo alla chiesta tutela sommaria (cioè, rispettivamente: a) con rigetto dell’istanza di sospensione nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 e rigetto della sospensione o dell’adozione dei provvedimenti indilazionabili nell’esecuzione ai sensi dell’art. 618 c.p.c.; b) con accoglimento dell’istanza di sospensione o – nell’opposizione agli atti – della richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 2) e nel contempo fissa il termine per l’introduzione del giudizio di merito o – nelle sole opposizioni ex artt. 615 e 619 c.p.c. – quello per la riassunzione davanti al giudice competente, debba provvedere sulle spese della fase sommaria. La relativa statuizione è ridiscutibile nell’ambito del giudizio di merito”.
“Qualora il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela emesso a chiusura della fase sommaria delle opposizioni di cui all’art. 615 c.p.c., comma 2, artt. 617 e 619 c.p.c., ometta di fissate il termine per l’introduzione del giudizio di merito (o – nelle opposizioni ex artt. 615 e 619) per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata, tanto se vi sia provvedimento sulle spese quanto se manchi, può alternativamente o chiedere al giudice dell’esecuzione la fissazione del termine con istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c. nel termine perentorio previsto da detta norma o introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito sempre nel detto termine, restando esclusa comunque l’esperibilità contro l’irrituale provvedimento del ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7”.
“La mancanza dell’istanza di integrazione nel termine di cui all’art. 289 c.p.c., ovvero dell’iniziativa autonoma della parte di introduzione del giudizio di merito nello stesso termine, determinano l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 307 c.p.c., comma 3, per mancata prosecuzione, con conseguente impossibilità di mettere in discussione il provvedimento sulle spese”.
Il testo integrale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 24 ottobre 2011, n. 22033
Svolgimento del processo
La ——- s.p.a., Agente della riscossione per le Province Siciliane ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, contro C.C. e nei confronti di M.F. e S.G., avverso l’ordinanza del 21 novembre 2008 con la quale il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in composizione collegiale ha dichiarato inammissibile con gravame di spese il reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c., da essa ricorrente proposto avverso l’ordinanza del 9 novembre 2007, con cui il Giudice dell’Esecuzione presso lo stesso Tribunale aveva disposto la sospensione – ai sensi dell’art. 586 c.p.c. – della vendita esattoriale n. Rep. 63838/07 effettuata dalla ———s.p.a. ai danni di C.C., ordinando altresì la restituzione agli aggiudicatari M.F. e S. G. delle somme versate in pagamento del prezzo.
Il reclamo era stato fondato dall’esattrice procedente sulla deduzione della inapplicabilità dell’art. 586 c.p.c., alle vendite disposte nell’esecuzione esattoriale, stante l’applicabilità del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 79, in tema di determinazione del prezzo di vendita alla stregua del valore catastale del bene, nonchè sulla carenza di motivazione in ordine ai presupposti del potere di cui allo stesso art. 586 c.p.c..
L’esecutata e gli aggiudicatari non hanno resistito al ricorso.
Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006. Ed essendosi ravvisate le condizioni per la sua trattazione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, veniva redatta relazione ai sensi di detta norma, che veniva notificata all’avvocato della ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.
Nell’adunanza del 7 luglio 2011 la Corte riteneva di disporre il rinvio alla pubblica udienza, ancorchè nessuno fosse comparso per la ricorrente. Il rinvio veniva disposto perchè risultava chiamata all’odierna udienza pubblica la trattazione di altro ricorso che poneva questione di ammissibilità analoga.
Motivi della decisione
Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, perchè proposto contro un provvedimento che in alcun modo può essere considerato sentenza agli effetti dell’art. 111 Cost., comma 7. p.2. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si erano svolte le seguenti considerazioni:
“(…) – Il ricorso appare inammissibile, perchè proposto contro un provvedimento che in alcun modo può essere considerato sentenza in senso sostanziale agli effetti dell’art. 111 Cost., comma 7.
Queste le ragioni.
Il reclamo dichiarato inammissibile dall’ordinanza impugnata era stato proposto – a quel che suggerisce l’esposizione del fatto di cui al ricorso, che, peraltro, riprende quanto si dice nell’ordinanza impugnata – postulando l’applicazione del rimedio di cui all’art. 624 c.p.c., comma 2 (nel testo, applicabile ratione temporis, cioè in quello anteriore alla novellazione di cui alla L. n. 69 del 2009, che ha riguardato comunque il terzo ed il quarto comma della norma, ma in modo irrilevante ai fini della questione di ammissibilità inerente il ricorso) ad una sospensione del processo esecutivo disposta dal Giudice dell’Esecuzione sotto la specie del provvedimento di cui all’art. 586 c.p.c..
La prospettazione della qui ricorrente all’atto della proposizione del reclamo era stata, dunque, nel senso di postulare che il provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 586 fosse un provvedimento omologabile a quelli di sospensione reclamabili ai sensi dell’art. 624 citato. Questi provvedimenti si identificano in quelli sulla sospensione, positivi (cioè di concessione della sospensione dell’esecuzione) o negativi (cioè di rigetto della sospensione) che siano. Tali provvedimenti sono stati identificati dalla Corte in quelli adottabili nell’ambito di opposizioni all’esecuzione ai sensi degli artt. 615, 619 e 617 c.p.c. (Cass. (ord.) n. 11243 del 2010, da ultimo).
Si tratta di provvedimenti che l’ordinamento suppone adottati nell’ambito di una delle opposizioni in materia esecutiva e, particolarmente, nell’ambito della fase sommaria del relativo processo di cognizione. Non diverso profilo presenta la sospensione reclamabile disposta ai sensi dell’art. 512 c.p.c., comma 2, evocata dal secondo inciso dell’art. 624, comma 2.
Nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente ha proposto il reclamo direttamente nei confronti del provvedimento ai sensi dell’art. 586 c.p.c., e, quindi, non già di una sospensione della vendita e perciò del corso del processo esecutivo, disposta nell’ambito della fase sommaria di uno dei siffatti procedimenti cognitivi di contestazione avverso l’esecuzione o il modo del suo svolgimento, bensì direttamente avverso un provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione.
Il mezzo di reazione contro tale provvedimento avrebbe dovuto essere, alla stregua della norma generale dell’art. 617 c.p.c., l’opposizione agli atti ai sensi dell’art. 617 c.p.c.
Nell’ambito di essa si sarebbe potuto sollecitare, alla stregua dell’art. 618, comma 2, l’adozione come provvedimento indilazionabile di un provvedimento di revoca della sospensione e di ripresa della esecuzione. Avverso l’eventuale sua reiezione si sarebbe potuto proporre, atteso che la reiezione si risolveva nella conferma da parte del giudice dell’opposizione agli atti di un provvedimento di sospensione e, quindi, nella conferma di una situazione di sospensione del corso del processo esecutivo, il reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies, in forza del richiamo, da parte dell’art. 624 c.p.c., comma 4, al comma 2, della stessa norma.
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto fissare il termine per l’introduzione del giudizio di merito mediante iscrizione della causa di opposizione a ruolo.
Il provvedimento emesso dal giudice del reclamo, quale che fosse stato il suo contenuto, non sarebbe stato assoggettabile a ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, perchè ridiscutibile nell’ambito del giudizio di merito eventualmente introdotto (si vedano: ancora Cass. (ord.) n. 11243 del 2010; nonchè: Cass. (ord.) n. 22488 del 2009; (ord.) n. 22486 del 2009, (ord.) n. 17266 del 2009, riguardo a statuzione sul reclamo con provvedimento sulle spese; mentre per gli effetti sul processo esecutivo della mancata instaurazione del giudizio di merito avrebbe trovato applicazione l’art. 624 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009: su cui Cass. n. 20959 del 2009).
Ora, la scelta della ricorrente, del tutto irrituale, di proposizione del reclamo per così dire per saltum non può spiegare alcuna incidenza sulla natura del provvedimento del giudice del reclamo agli effetti dell’art. 111 settimo comma, della Costituzione.
La natura di tale provvedimento, in ragione della stessa prospettazione della ricorrente, resta, infatti, quella di provvedimento emesso nell’ambito di un procedimento inidoneo a dare luogo ad un provvedimento decisorio definitivo di diritti.
Tale natura non risente in alcun modo del fatto che, nel provvedere sul reclamo il Tribunale collegiale, ravvisata l’anomalia della proposizione del reclamo senza proposizione del giudizio di cognizione di opposizione agli atti e senza che avesse corso davanti al giudice dell’esecuzione la sua fase sommaria ai sensi dell’art. 618 c.p.c., non abbia fissato, esercitando, in ragione dell’effetto devolutivo proprio del reclamo, i poteri che si sarebbero dovuti esercitare ove fosse stata proposta opposizione agli atti da parte del giudice dell’esecuzione, il termine per l’inizio del giudizio di merito, al fine di consentire sulla prospettazione della ricorrente la decisione con la cognizione piena.
Tale omissione (in cui il Tribunale collegiale è effettivamente incorso ragionando in maniera erronea di nuova domanda, là dove la ricorrente aveva prospettato in un’udienza del procedimento di reclamo la qualificazione della sua prospettazione come proposizione di un’opposizione agli atti) resta del tutto irrilevante, perchè la fissazione di un siffatto termine ai sensi dell’art. 618 c.p.c., avrebbe potuto essere richiesta, proprio al fine di postulare la decisione con la cognizione piena sulla sua prospettazione, dalla ricorrente per il tramite di un’istanza di integrazione ai sensi dell’art. 289 c.p.c.. In alternativa, un giudizio di merito ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avrebbe potuto essere introdotto dalla ricorrente davanti al Giudice dell’Esecuzione in non diversa guisa da quanto la Corte ha ritenuto per l’ipotesi che il giudice dell’esecuzione, adito con opposizione agli atti, esaurisca il procedimento con la fase sommaria, senza fissare il termine di cui all’art. 618 c.p.c., comma 2, (Cass. (ord.) n. 20532 del 2009).
L’una e l’altra possibilità, infatti, non sarebbero state in alcun modo precluse dal provvedimento qui impugnato, al quale non può, come s’è detto, riconoscersi valore decisorio definitivo sulla contestazione del quomodo del processo esecutivo espressa dalla ricorrente avverso l’ordinanza ai sensi dell’art. 586 c.p.c., atteso che non è nella potestas del giudice del reclamo in sede esecutiva ex art. 669 terdecies, adottare decisioni che precludano la cognizione piena sulla contestazione rivolta al quomodo (ma non diversamente deve dirsi per quella sull’an, nel caso di opposizione all’esecuzione), residuando sempre la facoltà di dar corso alla cognizione piena.
E’ da rilevare che, sia alla fissazione del termine da parte del giudice del reclamo, sia all’istanza di integrazione, sia all’iniziativa di introduzione di esso da parte della ricorrente non sarebbe stata d’ostacolo l’eventuale questione di inammissibilità dell’opposizione agli atti per inosservanza del termine di proposizione davanti al giudice dell’esecuzione: si sarebbe trattato di questione inerente il merito del giudizio, sulla quale la pronuncia sarebbe dovuta avvenire con la cognizione piena.
Nè carattere definitivo – ove la ricorrente avesse inteso dolersi solo della statuizione sulle spese – avrebbe potuto riconoscersi al provvedimento qui impugnato quanto ad essa, perchè esso sarebbe stato ridiscutibile sempre in sede di cognizione piena (mentre, per il caso che alla cognizione piena sulla contestazione mossa allo svolgimento del processo esecutivo ci si fosse acquietati e si fosse inteso contestare solo il quantum delle spese, è da rilevare che il provvedimento del giudice del reclamo avrebbe potuto essere ridiscusso con un’opposizione all’esecuzione, trattandosi di titolo giudiziale di natura sommaria, come tale non soggetto al principio per cui avverso l’esecuzione forzata promossa sulla base di titoli esecutivi giudiziali non è possibile contestare la formazione del titolo, perchè questa regola vale se la formazione del titolo è avvenuta per preclusione della garanzia della cognizione piena, che invece non è prevista con un meccanismo impugnatorio avverso il provvedimento del giudice del reclamo ex art. 669 terdecies e, quindi, quando non si intenda più contestare le spese per effetto di contestazioni sulla pretesa relativa al quomodo o all’an dell’esecuzione attraverso il giudizio di cognizione piena di opposizione agli atti o all’esecuzione, ben può avvenire con l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.; d’altro canto, l’eventuale estinzione del giudizio di opposizione agli atti per omessa richiesta di fissazione del termine ai sensi dell’art. 289 c.p.c., resterebbe irrilevante).
Le svolte considerazioni dovrebbero conclusivamente giustificare la declaratoria di inammissibilità del ricorso”. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali, tuttavia, ritiene in questa sede di aggiungere, con specifico riferimento all’esistenza in provvedimenti di chiusura da parte del giudice dell’opposizione agli atti o del reclamo ai sensi dell’art. 624 c.p.c., comma 2, di una statuizione sulle spese, queste ulteriori considerazioni.
Il Collegio ritiene, che la presenza di un provvedimento sulle spese in quello che illegittimamente chiuda la fase sommaria del procedimento di opposizione agli atti esecutivi senza fissare il dovuto termine per l’inizio del giudizio di merito ai fini della trattazione con la cognizione piena (siccome impone l’art. 618 c.p.c., comma 2, nel testo sostituito dalla della L. n. 52 del 2006) non è idonea a determinare l’acquisizione da parte del provvedimento della natura di sentenza in senso sostanziale agli effetti del rimedio del ricorso straordinario e ciò nè sull’azione di opposizione agli atti nè sulla stessa statuzione sulle spese. Queste le ragioni.
Le quali, peraltro, possono valere anche per i provvedimenti con i quali altrettanto illegittimamente il giudice di un’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, o di un’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c., chiuda il processo nella fase sommaria senza assicurare la possibilità che abbia corso la trattazione con la cognizione piena.
In tanto va avvertito che le decisioni richiamate dalla relazione, là dove alludevano al non avere il giudice dell’esecuzione provveduto sulle spese, fotografarono solo il modo di essere del provvedimento della cui soggezione al rimedio del ricorso straordinario si discuteva, ma non argomentarono che, ove sulle spese si fosse provveduto, la soluzione avrebbe potuto e dovuto essere diversa.
Si tratta, dunque, non di ribaltare una soluzione già data dalla giurisprudenza della Corte, ma di prendere posizione su un problema non ancora esaminato.
La sua soluzione deve avvenire sulla base dell’applicazione del concetto di sentenza in senso sostanziale, non essendosi in presenza di un provvedimento che ha assunto la forma della sentenza in senso formale ancorchè con violazione delle forme del procedimento previste dall’ordinamento, le quali imponevano al Tribunale, una volta rilevata l’improcedibilità come causa ostativa all’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 618 c.p.c., comma 2, di darne atto e, quindi, di fissare comunque il termine per l’introduzione del giudizio di merito. Ora, l’applicazione del concetto di sentenza in senso sostanziale agli effetti dell’art. 111 Cost., comma 7, ad un provvedimento del giudice civile che non sia qualificato come sentenza, ad avviso del Collegio suppone che il potere del giudice sul procedimento che ha portato all’emanazione del provvedimento di cui trattasi sia strutturato normativamente in modo tale che quel giudice all’interno di esso si veda riconosciuta la possibilità di emanare sull’azione esercitata una decisione che possa assumere la natura della sentenza, secondo i caratteri che regolano l’accesso al ricorso straordinario, cioè quelli della definitività e della decisorietà.
Scontato che il provvedimento di irrituale chiusura della fase sommaria del procedimento di opposizione agli atti esecutivi abbia natura decisoria, posto che per tale si intende l’attitudine a decidere su diritti e l’azione ai sensi dell’art. 617, ha ad oggetto una situazione – per così dire – di diritto soggettivo di natura processuale, cioè la pretesa del soggetto opponente coinvolto in esso a che il processo esecutivo si svolga nell’osservanza delle sue regole, si deve escludere che il provvedimento de quo rivesta carattere definitivo, cioè precluda la possibilità di rimetterlo in discussione, sì che ne reti irrimediabilmente pregiudicata la posizione di diritto della parte coinvolta.
L’esclusione di tale definitività sussiste, sia se il provvedimento abbia chiuso il procedimento senza liquidare le spese, sia se, oltre a chiuderlo, abbia provveduto su di esse, ponendole a carico della parte opponente o compensandole. La presenza del provvedimento sulle spese non determina alcun mutamento della natura del provvedimento ai fini dell’acquisizione da parte di esso della sostanza della sentenza agli effetti dell’art. 111 Cost., comma 7.
La ragione che esclude nell’uno come nell’altro caso tale sostanza è che il provvedimento è emesso a seguito di uno svolgimento dell’azione secondo le forme della sommarietà che, nella logica normativa sottesa alla struttura bifasica del procedimento, non è diretto a portar ad una decisione definitiva sul diritto coinvolto, ma solo ad una decisione del tutto provvisoria e destinata ad essere ridiscussa nella fase a cognizione piena con l’introduzione del giudizio di merito.
E’ vero che il giudice, alterando le forme procedimentale stabilite, che prevedono l’indefettibilità della fase a cognizione piena, sia pure provocata dall’iniziativa della parte a seguito della fissazione del termine per l’introduzione del giudizio di merito, definisce davanti a sè il giudizio. Ma non è men vero che, trattandosi di giudice investito di una cognizione sommaria e, pertanto, destinata a sfociare in provvedimenti ridiscutibili secondo le regole della cognizione piena e, dunque, del tutto provvisori, il provvedimento del giudice che non abbia seguito le forme previste dalla legge nel l’assicurare quella cognizione non può acquisire una forza diversa a cagione della sua irritualità e, quindi, non può considerarsi “definitivo” dell’azione, nonostante che l’irritualità consista proprio nella chiusura illegittima del procedimento. Questa chiusura è essa stessa del tutto provvisoria e non definitiva, riguarda solo la fase sulla quale il giudice doveva provvedere, perchè è assunta all’esito di una cognizione sommaria, nell’ambito della quale il giudice, per volontà della legge, non poteva definire il modo di essere del diritto fatto valere con l’opposizione, ma solo provvedere in via del tutto provvisoria in vista della possibile evoluzione dell’azione con la cognizione piena.
L’errore del giudice, consistito nel negare la progressione del procedimento e, quindi, dell’azione dalla fase sommaria a quella a cognizione piena, in altri termini non può avere il valore di decisione definitiva sul modo di essere del diritto fatto valere con l’opposizione, perchè, se è concepibile che il giudice civile, allorquando abbia la potestas di decidere in via definitiva su diritti, la possa esercitare con forme irrituali sì che il suo provvedimento, ancorchè non adottato secondo le forme previste, abbia comunque quell’attitudine, perchè è espressione del potere di un giudice che poteva rendere una decisione definitiva e l’ha soltanto fatto seguendo forme irrituali, non è, invece, concepibile che Terrore del giudice nell’applicare le forme del procedimento, allorquando venga compiuto in una fase processuale nella quale il giudice, secondo il modello procedimentale, non poteva rendere decisione definitiva, possa fare assurgere al suo provvedimento irrituale il carattere della definitività sul diritto coinvolto.
In altri termini la mancanza nel giudice, in ragione dell’essere strutturato il procedimento in una fase sommaria, nella quale il suo potere di decidere in via definitiva non si configura, ed in una fase successiva a cognizione piena, sia pure da attivarsi ad iniziativa di parte, nella quale invece quel potere sussiste, impedisce di attribuire alla mancata assicurazione della possibilità di dare corso a tale fase successiva il valore di decisione definitiva.
Quest’ultima non può sortire dall’errore commesso dal giudice.
Poichè l’eventuale provvedimento sulle spese della fase sommaria che si accompagni alla irrituale decisione di chiusura del procedimento senza fissazione del termine per l’introduzione del giudizio di merito è provvedimento che, in ragione del carattere pur sempre sommario della statuizione ad esso relativa, perchè resa all’esito di una cognizione sommaria, non può che rivestire anch’esso il valore proprio della decisione emessa a seguito di una simile cognizione, anche nel caso di un simile provvedimento deve escludersi che si sia in presenza di una sentenza in senso sostanziale sotto il profilo della definitività del provvedimento, indispensabile ai fini dell’accesso al rimedio del ricorso straordinario.
Ne discende che l’orientamento indicato dalla relazione circa la possibilità di ridiscutere il provvedimento di irrituale chiusura della fase sommaria del procedimento di opposizione agli atti senza concessione del termine per l’introduzione del giudizio di merito vale anche nel caso in cui, come nella specie, il giudice dell’esecuzione investito della fase sommaria del procedimento provveda sulle spese.
Il collegio rileva anzi che il provvedere sulle spese da parte del giudice investito dell’opposizione agli atti esecutivi a ben vedere si deve ritenere configurabile anche quando egli provveda sulla fase sommaria del procedimento escludendo i provvedimenti di cui all’art. 618 c.p.c., comma 2, (cioè la sospensione dell’esecuzione o altro provvedimento sul suo corso) e, provvedendo ritualmente, fissi il termine per l’introduzione del giudizio di merito.
La ragione per cui si deve affermare che il giudice che esaurisce la fase sommaria del procedimento di opposizione agli atti esecutivi negando i provvedimenti cui allude l’art. 618 c.p.c., comma 2, deve provvedere sulle spese la si deve rinvenire non solo nell’applicazione ai sensi dell’art. 669 quaterdecies c.p.c., della norma dell’art. 669 septies c.p.c. (sul presupposto, pure corretto, che quei provvedimenti abbiano natura cautelare e che, quindi, pure la loro negazione sia espressione di una giurisdizione cautelare), ma anche nell’attitudine del provvedimento di definizione della fase sommaria ad acquisire il valore di provvedimento definitivo sul processo, qualora – in presenza di rituale rispetto delle forme da parte del giudice, con la concessione del termine – non venga introdotto nel termine concesso il giudizio di merito. A seguito della dovuta concessione del termine, infatti, il processo resta in uno stato di quiescenza provvisoria in attesa dell’attivazione di una delle parti per l’inizio del giudizio di merito, ma nel contempo il provvedimento, sia pure condizionatamente al mancato inizio nel termine perentorio, individua ex lege una possibile sorte del procedimento, cioè l’estinzione per l’inosservanza del termine perentorio per l’introduzione del detto giudizio. E, pertanto, in una forma procedimentale di questo tipo, nella quale l’esercizio dell’azione è regolato attraverso una fase sommaria che può mettere capo ad un provvedimento negativo di tutela provvisoria e ad una fase a cognizione piena eventuale ad iniziativa delle parti, è giustificato immaginare che il giudice, all’esito della fase sommaria conclusasi negativamente quanto alla fondatezza dell’azione, debba provvedere sulle spese per il caso che quella iniziativa non abbia luogo, cioè per il caso che il suo provvedimento assuma il valore di provvedimento di chiusura del processo. Ritenere altrimenti imporrebbe anche alla parte che si sia vista dare ragione in fase sommaria di iniziare il giudizio di merito solo per ottenere il riconoscimento delle spese. Ciò che è contrario ad una disciplina ragionevole del diritto di agire e, in questo caso, di resistere in giudizio, nonchè, olim al c.d. principio di economia processuale, oggi anche formalmente sul piano costituzionale (ma non lo era meno prima nella sostanza), al principio della ragionevole durata del processo.
D’altro canto, a seguito della mancata iniziativa della parte di inizio del giudizio di merito, il provvedimento emesso a chiusura della fase sommaria, per il riflesso dell’estinzione del processo (art. 307 c.p.c., comma 3), si evolve in provvedimento di chiusura di esso nella sua interezza, sì da evocare il concetto di “chiusura” del processo di cui all’art. 91 c.p.c.. Sebbene nel senso di chiusura eventuale.
Inoltre, l’indiscutibile natura cautelare (nel senso genuino della funzione della giurisdizione cautelare, cioè quello della strumentalità in funzione della tutela a cognizione piena) del potere che il giudice della fase sommaria del procedimento di opposizione agli atti esercita ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 2, consentirebbe di ritenere che alla stessa conclusione si debba pervenire applicando analogicamente l’art. 669 septies c.p.c., il quale prevede che il provvedimento negativo della misura cautelare debba recare la decisione sulle spese. E ciò, nonostante l’ambiguità dell’omissione del riferimento dell’art. 669- quaterdecies c.p.c. ai procedimenti di natura oggettivamente cautelare previsti aliunde nello stesso Codice di procedura civile (ambiguità da sciogliere alla stregua dei normali criteri di esegesi sistematica, naturali nell’ambito di uno stesso codice, il che spiega il silenzio del legislatore della riforma di cui alla L. n. 353 del 1990).
Da quanto rilevato discende che deve ritenersi che il giudice dell’opposizione agli atti esecutivi, il quale all’esito della fase sommaria ritenga di non adottare i provvedimenti previsti dall’art. 618 c.p.c., comma 2, ivi compresa la sospensione del processo esecutivo, deve con il relativo provvedimento negativo e di definizione della fase sommaria, nonchè di fissazione del termine per l’introduzione del giudizio di merito, provvedere sulle spese del procedimento.
La statuizione sulle spese (ferma la prospettiva che sia ridiscussa per effetto di reclamo contro il provvedimento negativo, da ritenersi esperibile ai sensi dell’art. 624 c.p.c., comma 2, e fermo che la conferma da parte del giudice del reclamo sarà soggetta alla stessa ridiscussione), ove venga introdotto il giudizio di merito, sarà ridiscutibile nell’ambito della cognizione piena sull’opposizione.
In mancanza dell’introduzione del giudizio di merito, la statuizione (sempre che il provvedimento negativo sia stato confermato in sede di eventuale reclamo) non potrà essere messa in discussione nell’an, cioè nella valutazione relativa alla soccombenza sull’azione o alla esistenza di eventuali ragioni di compensazione, se il giudice con il provvedimento abbia compensato le spese, perchè le valutazioni che dovrebbero compiersi per procedere al relativo riesame implicherebbero l’esame della fondatezza o meno dell’opposizione e, quindi, si sarebbero dovute provocare introducendo il giudizio di merito.
Potrà darsi il caso in cui non si abbia interesse alla introduzione del giudizio di merito nemmeno ai fini della contestazione della esattezza delle valutazioni sulla soccombenza o sulla compensazione e, tuttavia, si abbia interesse a discutere il solo quantum della condanna alle spese, cioè l’adeguatezza delle spese alla tariffa professionale. La possibilità di procedervi deve concedersi alla parte che non abbia interesse ad iniziare il giudizio di merito, perchè sia convinta dell’esattezza del provvedimento negativo emesso nella fase sommaria. Poichè il provvedimento negativo che reca la condanna sulla spese è titolo esecutivo, ma si è formato all’esito di una cognizione sommaria, potrebbe ipotizzarsi che il rimedio, per chi sostiene l’eccessività delle spese (cioè per l’attore in opposizione agli atti) possa individuarsi nell’opposizione all’esecuzione, perchè il titolo esecutivo formatosi all’esito di una cognizione sommaria dev’essere suscettibile di ridiscussione sulla base della cognizione piena. Poichè il rimedio cognitivo contro i titoli esecutivi è l’opposizione all’esecuzione, sarebbe appunto proponibile tale rimedio, nell’ambito del quale potrebbe ridiscutersi il quantum delle spese liquidate, non diversamente di come può farsi quando l’esecuzione è promossa sulla base di titolo esecutivo stragiudiziale.
Qualora le spese siano state liquidate per difetto (e, quindi, la contestazione non debba sollevarsi da parte di chi è destinatario del relativo titolo esecutivo, ma da chi ne voglia usufruire) dovrebbe invece essere data a chi (non interessato a ridiscutere sul merito) voglia discutere su tali statuizioni, cioè l’opposto creditore che si sia visto liquidare spese in misura minore del dovuto, la possibilità di agire con l’azione di cognizione ordinaria per postulare l’esatta liquidazione delle spese.
Queste ultime due soluzioni sarebbero identiche a quelle che la Corte ha individuato di recente nella sentenza n. 11370 del 2011 a proposito del regime del provvedimento sulle spese nel procedimento cautelare, emesso in sede di reclamo e in sede di primo grado cautelare.
Tuttavia, in ambito di procedimento di opposizione agli atti esecutivi esse non sono ipotizzarle, perchè la regolamentazione normative imposta tale procedimento come procedimento bifasico, sia pure ad iniziativa della parte, cui compete, dopo la fase sommaria, iniziare il giudizio di merito. Le due fasi, nonostante che la prosecuzione non avvenga automaticamente sono fasi di uno steso procedimento, espressione della stessa tutela giurisdizionale, nella prima fase realizzata con cognizione sommaria e nella seconda con cognizione piena. Nei procedimenti cautelari, invece, le attività giurisdizionale sono espressione di forme di tutela distinte (appunto la cautelare e la cognizione piena) e la bifasicità del procedimento non è prevista, anche quanto, nelle misura conservative, il giudice fissi un termine per l’inizio del giudizio di merito.
Non solo: nelle misure conservative, l’art. 669 octies, per il caso di omessa fissazione del termine da parte del giudice della cautela ante causam, fissa un termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito direttamente nel secondo comma, onde non è predicabile il meccanismo dell’integrazione del provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c..
Nel procedimento di cui all’art. 617 c.p.c., l’applicabilità, nel caso dell’omessa fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito da parte del giudice che definisca la fase sommaria, dell’art. 289 c.p.c., ovvero – in alternativa – la possibilità dell’inizio del giudizio di merito con l’iscrizione della causa a ruolo ad iniziativa della parte, essendo possibilità alternative, restano conchiuse nel termine che la legge prevede per la prima di esse. L’art. 289 c.p.c., prevede, infatti, che l’integrazione possa essere fatta nel termine perentorio di sei mesi e, pertanto, deve ritenersi che anche l’iniziativa autonoma di iscrizione a ruolo della causa nel merito resti assoggettata allo stesso termine, decorso il quale trova applicazione l’art. 307 c.p.c., comma 3, cioè il processo si estingue (oggi con rilevabilità d’ufficio) per mancata prosecuzione: tanto l’iniziativa della parte (o dello stesso giudice) di integrazione ai sensi dell’art. 289 quanto la iscrizione a ruolo d’iniziativa della parte (anche contro il diniego del giudice, va detto, se esso è stato adottato con provvedimento sommario), infatti, rappresentano attività di prosecuzione dell’esercizio dell’unica azione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., caratterizzata da bifasicità.
Ne deriva che in questo ambito deve ritenersi che la pretesa della parte condannata alle spese in modo insufficiente od eccessivo, che non intenda discutere del merito dell’azione de qua, parrebbe sempre doversi estrinsecare nella richiesta dell’integrazione del provvedimento con la fissazione del termine per l’iscrizione a ruolo ovvero nell’iscrizione di sua iniziativa, al solo fine della discussione sull’ammontare delle spese.
L’azione introdotta a seguito dell’integrazione del provvedimento ovvero dell’iscrizione a ruolo d’iniziativa della parte, sarà diretta, previo rilievo che non si intende discutere del merito dell’azione, nemmeno ai fini della distribuzione della soccombenza, a provocare solo una discussione sul quantum delle spese, cioè sulla loro eccessività o sulla loro esiguità.
Ne deriva che solo con il giudizio di merito a questi fini è possibile la discussione.
Altrimenti il titolo esecutivo sulle spese si consoliderà nei termini di cui al provvedimento emesso a chiusura della fase sommaria, non integrato e seguito dall’inizio del giudizio a cognizione piena e nemmeno dall’iniziativa della parte – sempre nel termine di cui all’art. 289 c.p.c. – di iscrizione. p.6. Le soluzioni che sono state qui indicate sono soluzioni che questa Corte ritiene – e tale affermazione la sia fa in funzione di nomofilachia – applicabili anche ai provvedimenti negativi della sospensione dell’esecuzione forzata emessi dal giudice investito della fase sommaria dell’opposizione all’esecuzione già iniziata, di cui all’art. 615 c.p.c., comma 2, e art. 619 c.p.c., (quando, naturalmente, il giudice investito di quest’ultimo debba provvedere in mancanza dell’accordo delle parti, di cui al primo inciso del terzo comma della norma).
Tali soluzioni valgono, inoltre, anche allorquando il giudice dell’esecuzione investito dell’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c., comma 2, o art. 619 c.p.c., neghi la sospensione dell’esecuzione e ravvisi la competenza sul merito di altro giudice, davanti al quale rimetta le parti assegnando termine perentorio per la riassunzione della causa.
Anche in tale caso quel giudice deve provvedere sulle spese e, se la riassunzione avverrà sarà possibile ridiscutere delle spese davanti al giudice del merito, mentre, in caso contrario, varranno le soluzioni poco sopra indicate.
E ciò, sulla base dei due argomenti in precedenza prospettati, quello dell’attitudine del provvedimento a chiudere il procedimento se il giudizio di merito non viene iniziato e quello della applicabilità analogica dell’art. 669 septies c.p.c. Sempre per ragioni di nomofilachia la Corte ritiene di precisare che nei procedimenti di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, artt. 617 e 619 c.p.c., deve affermarsi che il giudice dell’esecuzione debba provvedere sulle spese della fase sommaria, anche quando, nell’ambito di essa, dia un provvedimento positivo, cioè nella prima e nella terza la sospensione dell’esecuzione (anche parziale: nel qual caso si sarà in presenza di un provvedimento in parte positivo ed in parte negativo), nella seconda i provvedimenti indilazionabili sul corso del processo esecutivo o la sospensione. La ragione la si rinviene nuovamente nella duplice circostanza:
a) che anche in tal caso il provvedimento può evolversi nel senso della chiusura del procedimento, se non viene iniziato il giudizio di merito o riassunto il giudizio e, dunque, per questa eventualità condizionata è ragionevole che il giudice della fase sommaria provveda, non essendo tollerabile – sembrerebbe sul piano costituzionale, a petto del principio della ragionevole durata del processo, ma prima ancora dell’effettività del diritto di agire e resistere in giudizio – che si debba costringere la parte che non abbia interesse ad iniziare il giudizio di merito ad iniziarlo solo per ottenere il riconoscimento delle spese;
b) che anche in tal caso soccorre l’applicazione analogica della regola dettata per il procedimento cautelare dall’art. 669 octies c.p.c., comma 7, con riguardo al provvedimento cautelare c.d. anticipatorio. Ad esso va, infatti, certamente apparentato il provvedimento di sospensione dell’esecuzione, che è parzialmente anticipatorio, nel senso che, se non si risolve nell’eliminazione della situazione determinata dall’esecuzione illegittima e, quindi, in una anticipazione piena di tutela, si risolve, tuttavia, in una anticipazione parziale, perchè il blocco dell’esecuzione concreta una negazione dell’ulteriore possibilità che la pretesa esecutiva continui a spiegare i suoi effetti, il che significa appunto anticipazione parziale della tutela conseguibile all’esito della cognizione piena, perchè, quanto l’esecuzione non fosse sospesa, la sentenza che all’esito della cognizione piena accertasse la mancanza della pretesa esecutiva, avrebbe l’effetto di eliminare naturalmente anche le conseguenze dell’esecuzione frattanto svoltasi.
Va rilevato che la soluzione affermativa del potere-dovere del giudice della fase sommaria di provvedere sulle spese di tale fase anche in caso di provvedimento positivo non è in alcun modo contraddetta dall’art. 624 c.p.c., comma 3 e 4, i quali per il caso di mancato inizio del giudizio di merito dopo concessione della sospensione nella fase sommaria dell’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615, comma 2, (e di riflesso ai sensi dell’art. 619) ed in quella dell’opposizione agli atti (con riguardo alla quale, peraltro, la norma del quanto comma deve reputarsi estensibile anche al caso di adozione di provvedimento indilazionabile, essendo il riferimento alla sola sospensione una mera svista del legislatore), prevedono che, a seguito del consolidamento del provvedimento provvisorio o per mancato reclamo o per conferma in sede di reclamo (o, è da credere, di emissione in sede di reclamo), il mancato inizio del giudizio di merito o la mancata sua riassunzione comportino l’estinzione del processo da dichiararsi anche d’ufficio dal giudice dell’esecuzione con provvedimento sulle spese: invero, qui ci si riferisce alle spese del processo esecutivo ed alla loro regolazione e non al processo di cognizione a suo tempo introdotto con la fase sommaria e poi non coltivato con l’introduzione del giudizio di merito o la riassunzione. Se fosse altrimenti il legislatore, non essendo più il processo pendente, avrebbe dovuto prevedere un ricorso al giudice per la declaratoria dell’estinzione (per riferimenti di veda Cass. n. 20959 del 2009).
Le soluzioni indicate valgono, naturalmente, anche con riferimento all’ipotesi di adozione di provvedimenti sulla fase sommaria, negativi o positivi, da parte del giudice del reclamo di cui all’art. 624 c.p.c., comma 2.
Le complessive considerazioni svolte a proposto del regime delle spese quando il giudice dell’esecuzione delle fase sommaria delle opposizioni esecutive in discorso, con il provvedimento positivo (di sospensione dell’esecuzione o di adozione dei provvedimenti indilazionabili nell’opposizione ex art. 617 c.p.c.) o con quelle negativo (della richiesta sospensione o di quei provvedimenti), correttamente fissa il termine per l’introduzione del giudizio di merito o – nelle opposizioni ai sensi dell’art. 615, comma 2, e dell’art. 619 c.p.c. – fissa il termine per la riassunzione davanti al giudice competente, valgono anche per il caso in cui illegittimamente con quel provvedimento ometta di fissare il termine, pur provvedendo sulle spese. Invero, il provvedere sulle spese è legittimo e l’illegittimità dell’agire del giudice riguarda solo l’omessa fissazione del termine.
Tale illegittimità è rimediabile nei modi indicati dalla giurisprudenza evocata nella relazione e da quella similare affermatasi con riguardo all’opposizione all’esecuzione (ex multis, Cass. (ord.) nn. 6930 del 2008, 22486 e 22488 del 2009), con la precisazione che il rimedio (integrazione del provvedimento ovvero autonoma iniziativa della parte di iscrizione a ruolo (o riassunzione) – dev’essere esperito sempre entro il termine di cui all’art. 289 c.p.c., a pena di estinzione del processo.
Il rimedio contro detta omissione è, dunque, alternativamente, la richiesta a quel giudice di fissare il termine ai sensi dell’art. 289 c.p.c., o la diretta introduzione del giudizio di merito davanti a lui (o davanti al giudice ritenuto competente nel merito per le opposizioni ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, e art. 619 c.p.c.). Tale rimedio non è in alcun modo ostacolato dall’esistenza del provvedimento sulle spese, perchè esso rientrava nella potestas del giudice dell’esecuzione nella fase sommaria.
L’esistenza del rimedio esclude a fortiori anche in tal caso l’esperibilità del rimedio del ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, perchè, se si è in presenza di un provvedimento decisorio su diritti, non si è in presenza di un provvedimento definitivo, sicchè difetta una delle due condizioni necessarie di esperibilità del detto ricorso contro provvedimenti non aventi veste formale di sentenza.
I principi di diritto che, dunque, a questo punto riassuntivamente debbono affermarsi (e che valgono per le analoghe situazioni che si presentino riguardo ai provvedimenti assunti dal giudice del reclamo di cui all’art. 624 c.p.c., comma 2) sono i seguenti:
“Nella struttura delle opposizioni all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, artt. 617 e 619 c.p.c., emergente dalla riforma di cui alla L. n. 52 del 2006, nel senso dell’articolazione di una fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione e di una dovuta fase a cognizione piena davanti a quello stesso giudice o – per le sole opposizioni ex artt. 615 e 619 c.p.c. – davanti a quello competente nel merito, deve ritenersi che il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sè, tanto se in senso negativo, quanto se in senso positivo riguardo alla chiesta tutela sommaria (cioè, rispettivamente: a) con rigetto dell’istanza di sospensione nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 e rigetto della sospensione o dell’adozione dei provvedimenti indilazionabili nell’esecuzione ai sensi dell’art. 618 c.p.c.; b) con accoglimento dell’istanza di sospensione o – nell’opposizione agli atti – della richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili ai sensi dell’art. 618 c.p.c., comma 2) e nel contempo fissa il termine per l’introduzione del giudizio di merito o – nelle sole opposizioni ex artt. 615 e 619 c.p.c. – quello per la riassunzione davanti al giudice competente, debba provvedere sulle spese della fase sommaria. La relativa statuizione è ridiscutibile nell’ambito del giudizio di merito“.
“Qualora il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela emesso a chiusura della fase sommaria delle opposizioni di cui all’art. 615 c.p.c., comma 2, artt. 617 e 619 c.p.c., ometta di fissate il termine per l’introduzione del giudizio di merito (o – nelle opposizioni ex artt. 615 e 619) per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata, tanto se vi sia provvedimento sulle spese quanto se manchi, può alternativamente o chiedere al giudice dell’esecuzione la fissazione del termine con istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c. nel termine perentorio previsto da detta norma o introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito sempre nel detto termine, restando esclusa comunque l’esperibilità contro l’irrituale provvedimento del ricorso in cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7“.
“La mancanza dell’istanza di integrazione nel termine di cui all’art. 289 c.p.c., ovvero dell’iniziativa autonoma della parte di introduzione del giudizio di merito nello stesso termine, determinano l’estinzione del processo ai sensi dell’art. 307 c.p.c., comma 3, per mancata prosecuzione, con conseguente impossibilità di mettere in discussione il provvedimento sulle spese”.
Le complessive considerazioni svolte e l’applicazione dei principi di diritto appena espressi comportano la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.
Leave a Reply