Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 21 maggio 2014, n. 20682
Ritenuto in fatto
1. Il Sig. G. , quale legale rappresentante della “Legatoria Lombarda S.r.l.”, è stato tratto a giudizio in ordine alle seguenti violazioni, accertate in data 8/6/2009:
a) Art. 17, comma 1, lett.b), per avere designato quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione una persona priva dei requisiti richiesti dall’art. 32 della medesima legge;
b) Art. 45, comma 1, per avere omesso di classificare l’azienda e di avviare alla specifica formazione i lavoratori designati a compiti di primo soccorso;
c) Art.71, comma 1, per avere messo a disposizione un macchinario non conforme ai requisiti di sicurezza perché privo di griglia di protezione.
2. Con sentenza del 24/6/2013 il Tribunale di Milano ha mandato assolto il sig. G. dall’ipotesi contestata al capo c) e lo ha condanno per le restanti violazioni alla pena di 5.000,00 Euro di ammenda.
3. Avverso tale decisione il sig. G. propone ricorso in sintesi lamentando:
a. Errata applicazione di legge ex art.606, lett. b) cod. proc. pen. con riferimento all’art. 55 del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, fattispecie che punisce la mancata individuazione del responsabile del servizio e non la individuazione di persona priva dei requisiti previsti dall’art.32 della medesima legge. L’art.4, lett. b), del d.lgs. n. 626 del 1994, che indicava fra gli obblighi del datore di lavoro la individuazione di un responsabile “secondo le regole di cui all’art. 8”, e fissava così una regola soggetta a sanzione ex art.89 in caso d’inosservanza. Tale impostazione, che veniva rafforzata dalla previsione dell’art. 8 – bis, introdotto dal d.lgs. n.195 del 2003, è stata invece abbandonata dal d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, espressamente rinunciando a introdurre nell’art.55 il richiamo all’art. 32, che fissa i requisiti del responsabile, e limitando il rinvio al solo art. 17;
b. Vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e) cod. proc. pen. con riferimento al capo b) della rubrica per avere il Tribunale immotivatamente ritenuto non adeguati i corsi di formazione frequentati dai due lavoratori individuati come responsabili del primo soccorso.
Considerato in diritto
1. La Corte ritiene necessario muovere dall’esame del primo motivo di ricorso, che pone una questione interpretativa delle norme che fondano la contestazione e risulta potenzialmente decisiva.
2. La censura avanzata dal ricorrente con argomentazioni articolate e meritevoli di attenzione risulta infondata.
È ben vero che la disciplina introdotta con il decreto legislativo n. 81 del 2008 agli artt. 55 e 17 presenta una formulazione diversa rispetto a quella contenuta nel decreto legislativo n. 686 del 1994 e tale differenza viene invocata dal ricorrente per escludere che la condotta di cui al capo a) conservi natura di illecito penale; tuttavia, l’esame sistematico della disciplina in vigore impone di giungere a un risultato diverso.
3. L’esame della fattispecie di reato che ha ad oggetto la mancata (o, come si dirà, del tutto inefficace) nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi può prendere le mosse dalla circostanza che il testo contenuto nell’art. 8, comma 3, del d.lgs. 626/1994, prevedendo condizioni soggettive assolutamente generali, si poneva in contrasto con gli obblighi di specificità dei requisiti della persona incaricata contenuti nel paragrafo 8 dell’art. 7 della Direttiva 12/6/1989 n. 89/391/CEE; tale norma, infatti, invitava gli Stati membri a precisare le capacità e le attitudini della persona incaricata della sicurezza e fu seguita dalla decisione con cui la Corte di Giustizia CE (sentenza 15/11/2001, causa C-49/00) condannò lo Stato italiano per essere inadempiente. Con il d.lgs. 23 giugno 2003, n.195, venne introdotto nel d.lgs. n. 626 del 1994 l’art.8-bis, richiamato dal ricorrente, che poneva rimedio al deficit normativo sanzionato dalla Corte di Giustizia.
4. In continuità con tale sviluppo legislativo, l’art.32 del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 (la cui rubrica reca “Capacità e requisiti professionali degli addetti e responsabili dei servizi di prevenzione e protezione interni ed esterni”) fissa al comma 2 quali sono gli specifici requisiti necessari “per lo svolgimento delle funzioni da parte dei soggetti di cui al comma 1”. Risulta così inequivoco quali siano le condizioni soggettive richieste alla persona nominata come responsabile, condizioni che la legge ritiene necessarie “per lo svolgimento” delle funzioni oggetto dell’incarico. Con il che si può affermare che l’assenza dei requisiti soggettivi necessari rende la designazione inefficace perché incapace di offrire la necessaria e richiesta tutela agli interessi protetti, interessi che coinvolgono il diritto del lavoratore alla salubrità e sicurezza del lavoro e, in ultima istanza, il suo diritto alla salute.
5. Venendo alla disciplina sanzionatoria, gli artt. 55 e seguenti del d.lgs. 9 aprile 2008, n.81 sostituiscono gli artt.89-94 del 626/1994 secondo una struttura di fattispecie che la dottrina non ha esitato a definire “disarticolata e carente di un ordine preciso”. Nonostante tali limiti, può osservarsi che il mancato richiamo all’art. 32 nella previsione dell’art.55, comma 1, lett.b), non lascia dubbi circa il significato complessivo della fattispecie.
L’art. 55, comma 1, lett. b), infatti, sanziona l’ipotesi che il datore di lavoro non provveda ai sensi dell’art.17, comma 1, lett. b). Tale ultima disposizione prevede la non delegabilità dell’atto di designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi.
6. Si tratta di obbligo il cui rispetto deve essere valutato in relazione alle definizioni contenute nell’art.2, comma 1, lett. g) e letti) della medesima legge. Se la letti) definisce il “servizio di prevenzione e protezione dai rischi” come “l’insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interno all’azienda finalizzati” alla tutela dei lavoratori dai rischi, la lett. e) chiarisce che l’addetto a tale servizio è “persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all’art. 32”.
7. Dall’insieme di queste disposizioni emerge in modo inequivoco che l’unico modo per il datore di lavoro di rispettare l’obbligo ex art.17, comma 1, lett. b), è quello di incaricare una persona in possesso dei requisiti previsti dagli artt. 2 e 32 della medesima legge, con la conseguenza che la nomina di persona inidonea comporta in radice la violazione dell’obbligo e deve essere considerata inefficace. In tali termini la violazione assume rilevanza ai fini dell’applicazione dell’art.55 sopra ricordato.
8. Del resto, solo l’interpretazione qui adottata si presenta rispettosa della disciplina contenuta nella Direttiva citata e dell’interpretazione che del regime comunitario ha dato, con efficacia vincolante, la Corte di Giustizia nella sentenza citata. Il che impone di considerare l’art.55 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 in continuità con la previsione degli artt. 4 e 8-bis e dell’art. 89 del 626/1994.
9. Così fissato il principio interpretativo che forma oggetto del primo, e infondato, motivo di ricorso, la Corte rileva che la valutazione in ordine alla inadeguatezza dei requisiti della persona incaricata della sicurezza deve essere particolarmente attenta e non spingersi, in una materia complessa come quella della formazione e della professionalità dell’incaricato, fino ad adottare criteri valutativi opinabili che rendano incerta l’applicazione della legge da parte dei suoi destinatari.
10. La Corte ritiene che nel caso in esame il giudicante non sia incorso in violazione dell’obbligo di prudente apprezzamento ora delineato. L’articolata motivazione sul punto non si palesa né incoerente né palesemente illogica. Il Tribunale, infatti, ha preso in esame i titoli e i requisiti della persona incaricata e ne ha valutata con specifici argomenti la inadeguatezza rispetto alla previsione di legge, così formulando un giudizio di merito che non può essere oggetto di censura da parte del giudice di legittimità.
11. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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