suprema Corte di Cassazione,
sezione iii
Sentenza 21 gennaio 2014, n. 1115
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 31042-2007 proposto da:
(OMISSIS), in qualita’ di Curatore del Fallimento Ud. della ” (OMISSIS) S.A.S.”, elettivamente domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) in (OMISSIS), giusta Procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in Milano del 23/11/2007 rep. n. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 407/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 17/10/2006 R.G.N. 1073/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 31042-2007 proposto da:
(OMISSIS), in qualita’ di Curatore del Fallimento Ud. della ” (OMISSIS) S.A.S.”, elettivamente domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) in (OMISSIS), giusta Procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in Milano del 23/11/2007 rep. n. (OMISSIS);
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 407/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 17/10/2006 R.G.N. 1073/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. (OMISSIS) e la s.r.l. (OMISSIS) convenivano in giudizio, davanti Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, la s.a.s. (OMISSIS) e – premettendo di essere conduttori di un immobile della societa’ convenuta e di aver gia’ ottenuto dal Pretore un provvedimento ai sensi dell’articolo 700 cod. proc. civ. che condannava la societa’ (OMISSIS) all’esecuzione di lavori di ripristino del manto di copertura dell’immobile dal quale derivavano infiltrazioni d’acqua – chiedevano la conferma del provvedimento di urgenza.
Il giudizio veniva interrotto a seguito della declaratoria di fallimento della societa’ convenuta e successivamente riassunto, con costituzione della curatela.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 30 aprile 2003, riconosceva la fondatezza della domanda, confermava il provvedimento cautelare e disponeva la prosecuzione del giudizio per la quantificazione del danno.
2. Avverso tale pronuncia proponeva appello la curatela del fallimento e la Corte d’appello di Messina, con sentenza del 17 ottobre 2006, rigettava l’impugnazione, confermava la sentenza di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina propone ricorso il curatore del fallimento della s.a.s. (OMISSIS), con atto affidato a due motivi ed accompagnato da memoria.
Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
Il giudizio veniva interrotto a seguito della declaratoria di fallimento della societa’ convenuta e successivamente riassunto, con costituzione della curatela.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva del 30 aprile 2003, riconosceva la fondatezza della domanda, confermava il provvedimento cautelare e disponeva la prosecuzione del giudizio per la quantificazione del danno.
2. Avverso tale pronuncia proponeva appello la curatela del fallimento e la Corte d’appello di Messina, con sentenza del 17 ottobre 2006, rigettava l’impugnazione, confermava la sentenza di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Messina propone ricorso il curatore del fallimento della s.a.s. (OMISSIS), con atto affidato a due motivi ed accompagnato da memoria.
Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione degli articoli 24, 52 e 93 della legge fallimentare.
Rileva il ricorrente che le domande oggetto del giudizio avrebbero dovuto essere dichiarate improcedibili e/o inammissibili dalla Corte di merito, anche in difetto di eccezione di parte. L’azione proposta, infatti, e’ da qualificare come azione di condanna, in quanto tendente all’accertamento di un inadempimento contrattuale oltre che al risarcimento del danno.
Rileva il ricorrente che le domande oggetto del giudizio avrebbero dovuto essere dichiarate improcedibili e/o inammissibili dalla Corte di merito, anche in difetto di eccezione di parte. L’azione proposta, infatti, e’ da qualificare come azione di condanna, in quanto tendente all’accertamento di un inadempimento contrattuale oltre che al risarcimento del danno.
Ne consegue che, a seguito della sopravvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, tale azione doveva svolgersi seguendo le regole della verifica dello stato passivo, come stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 10 dicembre 2004, n. 23077. In altre parole, chi intende recuperare un credito nei confronti di un soggetto fallito non puo’ agire con un ordinario giudizio di cognizione, dovendo seguire le regole dell’insinuazione al passivo fallimentare.
La domanda proposta in sede ordinaria, percio’, doveva essere ritenuta inammissibile o improcedibile, e tale vizio puo’ essere rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, non sussistendo la preclusione di cui all’articolo 38 c.p.c., comma 4, in tema di rilievo dell’ incompetenza.
2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’articolo 91 cod. proc. civ., rilevando che la curatela del fallimento non poteva essere condannata al pagamento delle spese di giudizio. In ogni caso, la cassazione della sentenza “non puo’ che travolgere anche la condanna alle spese” pronunciata dalla Corte d’appello.
3. I due motivi, da trattare congiuntamente anche perche’ il secondo non e’ neppure un vero e proprio motivo autonomo di ricorso, sono privi di fondamento.
3.1. La questione che la curatela del fallimento della s.a.s. (OMISSIS) pone all’esame del Collegio ha natura esclusivamente procedurale.
Ora, e’ in effetti esatto il rilievo per cui la giurisprudenza di questa Corte, sulla base della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 23077 del 2004, ha piu’ volte affermato che la domanda diretta a far valere un credito nei confronti del fallimento e’ soggetta al rito dell’accertamento del passivo in sede endofallimentare; per cui tale domanda, ove proposta con il rito ordinario, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile, a meno che il danneggiato non dichiari che la richiesta di condanna nei confronti del fallimento deve intendersi eseguibile solo nell’ipotesi di ritorno in bonis (cosi’, fra le altre, le sentenze 24 novembre 2011, n. 24847, e 26 giugno 2012, n. 10640).
Alcune pronunce, addirittura, sul rilievo per cui il rispetto della specifica procedura endofallimentare e’ posta a tutela della par condicio creditorum, sono giunte ad affermare che detta improcedibilita’ e’ rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di cassazione (cosi’ la sentenza 13 agosto 2008, n. 21565, traendo detto principio dal precedente di cui alla sentenza 15 maggio 2001, n. 6659, peraltro relativa all’ipotesi diversa dell’amministrazione straordinaria; nonche’, da ultimo, la recentissima sentenza 30 agosto 2013, n. 19975, sia pure con le precisazione che di seguito si diranno).
3.2. E’ opinione di questo Collegio che, accanto alla giurisprudenza ora richiamata, rispetto alla quale l’odierna pronuncia intende comunque porsi in linea di continuita’, vada pero’ anche richiamato il precedente di cui alla sentenza 19 aprile 2002, n. 5725. In quella pronuncia la Corte, in un certo senso anticipando il dictum successivo delle Sezioni Unite, dopo aver osservato che l’accertamento del credito nei confronti del fallimento e’ devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato, ai sensi degli articoli 52 e 93 della legge fallimentare, precisa che l’adozione di un rito diverso “produce un vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado e determina l’improponibilita’ della domanda”.
La domanda proposta in sede ordinaria, percio’, doveva essere ritenuta inammissibile o improcedibile, e tale vizio puo’ essere rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, non sussistendo la preclusione di cui all’articolo 38 c.p.c., comma 4, in tema di rilievo dell’ incompetenza.
2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione dell’articolo 91 cod. proc. civ., rilevando che la curatela del fallimento non poteva essere condannata al pagamento delle spese di giudizio. In ogni caso, la cassazione della sentenza “non puo’ che travolgere anche la condanna alle spese” pronunciata dalla Corte d’appello.
3. I due motivi, da trattare congiuntamente anche perche’ il secondo non e’ neppure un vero e proprio motivo autonomo di ricorso, sono privi di fondamento.
3.1. La questione che la curatela del fallimento della s.a.s. (OMISSIS) pone all’esame del Collegio ha natura esclusivamente procedurale.
Ora, e’ in effetti esatto il rilievo per cui la giurisprudenza di questa Corte, sulla base della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 23077 del 2004, ha piu’ volte affermato che la domanda diretta a far valere un credito nei confronti del fallimento e’ soggetta al rito dell’accertamento del passivo in sede endofallimentare; per cui tale domanda, ove proposta con il rito ordinario, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile, a meno che il danneggiato non dichiari che la richiesta di condanna nei confronti del fallimento deve intendersi eseguibile solo nell’ipotesi di ritorno in bonis (cosi’, fra le altre, le sentenze 24 novembre 2011, n. 24847, e 26 giugno 2012, n. 10640).
Alcune pronunce, addirittura, sul rilievo per cui il rispetto della specifica procedura endofallimentare e’ posta a tutela della par condicio creditorum, sono giunte ad affermare che detta improcedibilita’ e’ rilevabile d’ufficio anche nel giudizio di cassazione (cosi’ la sentenza 13 agosto 2008, n. 21565, traendo detto principio dal precedente di cui alla sentenza 15 maggio 2001, n. 6659, peraltro relativa all’ipotesi diversa dell’amministrazione straordinaria; nonche’, da ultimo, la recentissima sentenza 30 agosto 2013, n. 19975, sia pure con le precisazione che di seguito si diranno).
3.2. E’ opinione di questo Collegio che, accanto alla giurisprudenza ora richiamata, rispetto alla quale l’odierna pronuncia intende comunque porsi in linea di continuita’, vada pero’ anche richiamato il precedente di cui alla sentenza 19 aprile 2002, n. 5725. In quella pronuncia la Corte, in un certo senso anticipando il dictum successivo delle Sezioni Unite, dopo aver osservato che l’accertamento del credito nei confronti del fallimento e’ devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato, ai sensi degli articoli 52 e 93 della legge fallimentare, precisa che l’adozione di un rito diverso “produce un vizio rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado e determina l’improponibilita’ della domanda”.
Tuttavia prosegue la sentenza – tale rilevabilita’ “va coordinata con il sistema delle impugnazioni e con la disciplina del giudicato, in forza del principio di conversione della invalidazione nella impugnazione, al punto che la nullita’ che derivi da tale vizio procedimentale, ove non sia dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che ne e’ affetta, resta superata dall’intervenuto giudicato, con conseguente preclusione di siffatta rilevabilita’ e della deducibilita’ ai fini dei successivi gravami”. In questo caso, infatti, si forma il giudicato implicito sulla proponibilita’ dell’azione, perche’ “la parte della decisione non impugnata e che sia indipendente da quelle investite dai motivi del gravame passa in giudicato, per acquiescenza”.
Alla luce di questo precedente, al quale il Collegio ritiene di dover prestare piena adesione, va valutata l’odierna fattispecie.
3.3. Nel caso in esame, il processo e’ stato interrotto gia’ in primo grado a causa della dichiarazione di fallimento, e poi riassunto nei confronti della curatela. Nel giudizio di appello, pero’, la curatela (appellante) non ha mai posto la questione procedurale che viene oggi presentata, per la prima volta, in sede di giudizio di cassazione. Come si legge nell’impugnata sentenza – e come sostanzialmente conferma anche l’odierno ricorrente – i due motivi di appello proposti davanti alla Corte messinese riguardavano esclusivamente il merito della causa, senza investire alcun profilo procedurale.
E’ opinione della Corte, percio’, che il silenzio della curatela fallimentare in ordine a detto profilo preliminare in rito abbia determinato la formazione del giudicato implicito per acquiescenza, in considerazione del fatto che la declaratoria di fallimento non ha costituito una novita’ intervenuta nel giudizio di appello, bensi’ era una realta’ processuale presente e dichiarata gia’ in primo grado.
A ben guardare, del resto, l’orientamento che oggi si accoglie non e’ in contrasto neppure con la recentissima sentenza n. 19975 del 2013, sopra citata, pronunciata da questa stessa Sezione. In quel caso, infatti, il fallimento, benche’ pronunciato nel corso del giudizio di primo grado, non era stato dichiarato in quella fase; sicche’ questa Corte ha affermato, in modo del tutto condivisibile, che l’impossibilita’ di proseguire una domanda “in origine dispiegata nei confronti di un soggetto poi fallito, il cui fallimento non sia stato dichiarato nel corso del giudizio di primo grado, integra, siccome vicenda ingressum litis impediens, questione legittimamente proponibile dalla curatela in sede di appello e senza alcuna preclusione, non potendo formarsi giudicato, nemmeno implicito, su di un fatto o di una questione che non sono stati in alcun modo affrontati, ne’ presupposti, ne’ presi comunque in considerazione dalla sentenza appellata”.
Il che, com’e’ agevole comprendere, non corrisponde a quanto si e’ verificato nel giudizio odierno.
4. E’ appena il caso di rilevare, infine, che la tesi oggi recepita appare maggiormente in armonia con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, non potendo ritenersi conforme con l’obiettivo della celerita’ il consentire alla parte totalmente inerte sul punto – in questo caso la curatela del fallimento – di far azzerare il processo in sede di giudizio di cassazione quando la questione avrebbe potuto certamente essere proposta nell’atto di appello.
5. In conclusione, il ricorso e’ rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese, non avendo gli intimati svolto attivita’ difensiva in questa sede.
Alla luce di questo precedente, al quale il Collegio ritiene di dover prestare piena adesione, va valutata l’odierna fattispecie.
3.3. Nel caso in esame, il processo e’ stato interrotto gia’ in primo grado a causa della dichiarazione di fallimento, e poi riassunto nei confronti della curatela. Nel giudizio di appello, pero’, la curatela (appellante) non ha mai posto la questione procedurale che viene oggi presentata, per la prima volta, in sede di giudizio di cassazione. Come si legge nell’impugnata sentenza – e come sostanzialmente conferma anche l’odierno ricorrente – i due motivi di appello proposti davanti alla Corte messinese riguardavano esclusivamente il merito della causa, senza investire alcun profilo procedurale.
E’ opinione della Corte, percio’, che il silenzio della curatela fallimentare in ordine a detto profilo preliminare in rito abbia determinato la formazione del giudicato implicito per acquiescenza, in considerazione del fatto che la declaratoria di fallimento non ha costituito una novita’ intervenuta nel giudizio di appello, bensi’ era una realta’ processuale presente e dichiarata gia’ in primo grado.
A ben guardare, del resto, l’orientamento che oggi si accoglie non e’ in contrasto neppure con la recentissima sentenza n. 19975 del 2013, sopra citata, pronunciata da questa stessa Sezione. In quel caso, infatti, il fallimento, benche’ pronunciato nel corso del giudizio di primo grado, non era stato dichiarato in quella fase; sicche’ questa Corte ha affermato, in modo del tutto condivisibile, che l’impossibilita’ di proseguire una domanda “in origine dispiegata nei confronti di un soggetto poi fallito, il cui fallimento non sia stato dichiarato nel corso del giudizio di primo grado, integra, siccome vicenda ingressum litis impediens, questione legittimamente proponibile dalla curatela in sede di appello e senza alcuna preclusione, non potendo formarsi giudicato, nemmeno implicito, su di un fatto o di una questione che non sono stati in alcun modo affrontati, ne’ presupposti, ne’ presi comunque in considerazione dalla sentenza appellata”.
Il che, com’e’ agevole comprendere, non corrisponde a quanto si e’ verificato nel giudizio odierno.
4. E’ appena il caso di rilevare, infine, che la tesi oggi recepita appare maggiormente in armonia con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, non potendo ritenersi conforme con l’obiettivo della celerita’ il consentire alla parte totalmente inerte sul punto – in questo caso la curatela del fallimento – di far azzerare il processo in sede di giudizio di cassazione quando la questione avrebbe potuto certamente essere proposta nell’atto di appello.
5. In conclusione, il ricorso e’ rigettato.
Non occorre provvedere sulle spese, non avendo gli intimati svolto attivita’ difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
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