Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 20 ottobre 2014, n. 22231
Svolgimento del giudizio
Nel dicembre 1995 C.B. proponeva opposizione avverso il decreto con il quale veniva ingiunto di pagare a N.D. , titolare dell’omonima impresa edile, la somma di L. 5.742.118 a titolo di saldo di lavori di ristrutturazione edilizia. Chiedeva che, revocato il decreto ingiuntivo, il N. venisse in via riconvenzionale condannato ad eliminare i vizi e difetti riscontrati nelle opere realizzate, con il risarcimento dei danni.
Nella costituzione in giudizio del N. – che otteneva di chiamare in causa il progettista e direttore dei lavori ing. S.A. , nonché il collaudatore ing. Si.Ma. – interveniva la sentenza n. 44/04 con la quale il tribunale di Salerno: – dichiarava cessata la materia del contendere, per intervenuta transazione, nel rapporto tra l’opponente C. ed i terzi chiamati S. e Si. ; – revocava il decreto ingiuntivo; – in accoglimento della domanda riconvenzionale del C. sui vizi e difetti dell’opera, condannava il N. al pagamento a favore di quest’ultimo della somma, già rivalutata, di Euro 68.116,58, oltre interessi e spese; come risultante dall’intero debito, detratta la quota da lui ricevuta in forza dell’accordo transattivo stipulato con gli altri co-obbligati in solido.
Interposto appello da parte del N. , veniva emessa la sentenza n. 563 del 15 giugno 2009 con la quale la corte di appello di Salerno rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza viene dal N. proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, ai quali resiste il S. con controricorso e memoria ex art. 378 cpc; nessuna attività difensiva è stata in questa sede svolta dagli eredi del Si. , deceduto in corso di causa.
Motivi della decisione
p.1.1 Con il primo motivo di ricorso il N. lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 112 cpc, 1298 e 1304 cod.civ., atteso che la corte di appello, confermando in ciò la sentenza del tribunale, l’aveva condannato al pagamento dell’intero importo risarcitorio detratto quanto percepito dal C. in forza della transazione da questi conclusa con gli altri obbligati in solido. Nonostante che dalla corretta applicazione dell’articolo 1304 cc derivasse, in ipotesi di transazione parziale intercorsa tra il creditore ed alcuni soltanto degli obbligati in solido, non la permanenza ma lo scioglimento del vincolo di solidarietà; con la conseguenza che il condebitore non partecipe dell’accordo transattivo restava obbligato soltanto nei limiti della sua quota interna.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ex art. 360, 1 co.n.5) cpc, contraddittoria motivazione, poiché la sentenza di appello aveva, da un lato, affermato la permanenza del vincolo di solidarietà (tanto da richiamare il diritto di regresso del condebitore non partecipe dell’accordo transattivo) ma, dall’altro, confermato la sentenza del tribunale che l’aveva condannato non in qualità di condebitore solidale, ma quale debitore esclusivo, stante l’avvenuta cessazione della materia del contendere tra il C. ed i terzi chiamati.
p.1.2 I due motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria perché entrambi incentrati, nella prospettiva ora della violazione normativa ed ora del vizio motivazionale, sul mancato riconoscimento del limite di responsabilità del N. alla sola quota interna di solidarietà; nella specie pari ad un terzo dell’intero ammontare del debito risarcitorio.
Ancorché non fosse richiesta di alcuna esplicita pronuncia di co-responsabilità solidale dei terzi chiamati (posto che la posizione di questi ultimi era stata ormai definita, fin dal primo grado di giudizio, con la cessazione della materia del contendere) la corte di appello (sent., pag.10) ha tuttavia espressamente qualificato, nella motivazione, l’obbligazione dedotta in giudizio quale solidale; ma ciò ha fatto all’esclusivo fine di vagliare la censura del N. circa l’affermata limitazione della sua responsabilità fino alla concorrenza della quota interna di solidarietà.
Ciò esclude la contraddittorietà interna alla motivazione ovvero tra motivazione e dispositivo – lamentata nella seconda censura, dal momento che l’affermazione di permanenza del vincolo solidale non contraddice di per sé la confermata condanna del N. nella sua qualità di unico condebitore ancora obbligato. Già il tribunale aveva infatti condannato quest’ultimo in tale veste, non perché il debito non fosse originariamente solidale, ma perché il vincolo di solidarietà non poteva nella specie esplicare più alcun effetto stante l’avvenuta definizione transattiva della lite nei confronti degli altri due co-obbligati; contro i quali il N. non aveva formulato domande specificamente relative al regresso nel rapporto interno di solidarietà.
Dunque, il fatto che alla ritenuta permanenza del vincolo solidale sia stata dal giudice di merito associata la condanna del solo N. , non è significativo di contraddittorietà, ma di mero adeguamento del decisum alle domande proposte in giudizio dalle parti; a loro volta conseguenti al fatto che, sul piano sostanziale, il creditore aveva definito transattivamente la pretesa nei confronti degli altri co-obbligati, diversi dal N. .
Venendo alla lamentata violazione normativa (oggetto specifico della prima censura), la corte di appello ha fatto si richiamo all’articolo 1304, primo comma, cod.civ., ma al fine di escludere la rilevanza di questa disposizione nell’ipotesi in cui la transazione non riguardi l’intero debito solidale, ma sia limitata al solo rapporto interno del co-debitore stipulante. Si tratta di ipotesi qui pacificamente ricorrente, dal momento che nemmeno il N. contesta la correttezza della qualificazione giuridica della transazione in oggetto in termini di transazione non sull’intero credito, ma soltanto sulla quota di spettanza dei coobbligati transigenti. Ciò comporta due conseguenze: – la prima è che il N. non potrebbe profittare dell’accordo transattivo (cosa che, del resto, non ha mai dichiarato di voler fare); – la seconda è che il vincolo di solidarietà si scioglie nel rapporto con il creditore (non anche nel rapporto interno di regresso, che non è però oggetto del giudizio), residuando quale debitore unico quello (appunto il N. ) che non ha partecipato all’accordo transattivo.
Fin qua, le censure non colgono dunque nel segno.
Esse sono invece accoglibili nella parte in cui rilevano l’erroneo criterio di determinazione della quota residua di debito in concreto adottato dalla corte territoriale.
Resta infatti il problema di fondo di stabilire l’importo fino alla concorrenza del quale il N. , a seguito della transazione dei co-obbligati, debba ritenersi responsabile.
Ora, nell’alternativa tra il criterio adottato dalla corte di appello (intero importo originariamente a debito, detratto quanto percepito dal creditore in forza della transazione), e quello proposto dal N. (limite invalicabile della sua quota interna di solidarietà), non può prescindersi dal sopravvenire in corso di causa della sentenza delle SSUU n. 30174 del 30/12/2011 le quali – decidendo, esattamente in termini con la presente fattispecie, in ipotesi di transazione non soggetta all’art. 1304 cc perché relativa alla sola quota del debitore transigente – hanno stabilito il criterio per cui “(…) Qualora risulti che la transazione ha avuto ad oggetto solo la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se invece il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto”.
Hanno osservato in motivazione le SSUU che “(…) Qualora, infatti, la transazione porti all’uscita di scena di uno dei debitori solidali, ma al tempo stesso alla soddisfazione del credito in misura minore rispetto alla quota ideale gravante su quel debitore (si faccia l’esempio di un credito verso tre condebitori solidali, d’importo pari a 90, e si ipotizzi che la transazione sulla quota di uno dei debitori abbia determinato il pagamento di 20), un conto è affermare che gli altri condebitori restano tenuti per l’ammontare non soddisfatto del credito (pari, nell’esempio fatto, a 10), altro è dire che il loro debito si riduce in misura proporzionale alla quota ideale del condebitore venuto meno (ciò che, nel suddetto esempio, legittimerebbe il creditore a pretendere dai condebitori esclusi dalla transazione solo 60)”.
Sicché, sul presupposto che la transazione parziaria non può né condurre ad un incasso superiore rispetto all’ammontare complessivo del credito originario, né determinare un aggravamento della posizione dei condebitori rimasti ad essa estranei, neppure in vista del successivo regresso nei rapporti interni, “il debito residuo dei debitori non transigenti è destinato a ridursi in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito. In caso contrario, se cioè il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al transigente, il debito residuo che resta tuttora a carico solidale degli altri obbligati dovrà essere necessariamente ridotto (non già di un ammontare pari a quanto pagato, bensì) in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto, giacché altrimenti la transazione provocherebbe un ingiustificato aggravamento per soggetti rimasti ad essa estranei”.
Nel caso di specie, il debito risarcitorio originario è stato dal giudice di merito stabilito, già rivalutato, in L. 156.891.543, come da ctu; da tale importo il giudice di merito ha sottratto L. 25 milioni, pari all’importo oggetto della transazione intercorsa tra il C. ed i co-obbligati in solido diversi dal N. ; ed ha quindi addebitato la differenza a quest’ultimo.
Tenuto conto che la quota complessivamente pagata dai (due) condebitori transigenti (L. 25 milioni) è inferiore alla somma delle loro quote ideali, deve dunque farsi qui applicazione – conformemente al suddetto insegnamento della SSUU – del criterio di determinazione del debito residuo dell’obbligato non transigente mediante sua riduzione “in misura proporzionale alla quota di chi ha transatto”.
La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altra sezione della corte di appello Salerno; quest’ultima rideterminerà il debito residuo del N. facendo applicazione del principio di diritto come stabilito dalla su citata sentenza delle SSUU 30174/11.
Ne segue l’accoglimento del ricorso, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Salerno, anche per le spese del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso;
cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Salerno.
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