Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 20 gennaio 2015, n. 817
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3525/2012 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
COMUNE BARGE in persona del Sindaco pro tempore (OMISSIS), COMUNE REVELLO in persona del Sindaco pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1844/2010 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/12/2010, R.G.N. 509/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/09/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine rigetto del ricorso.
-) il convenuto era proprietario di un fondo, compreso nel territorio di ambo gli enti attori;
-) in questo fondo il convenuto aveva occultato illecitamente 17.000 metri cubi di rifiuti tossici;
-) per tale fatto (OMISSIS) era stato condannato in sede penale al risarcimento del danno in favore delle amministrazioni comunali di Barge e di Revello;
-) nelle more del giudizio penale l’imputato, dopo avere mutato il regime patrimoniale familiare da quello della comunione a quello della separazione dei beni, aveva stipulato con la moglie (OMISSIS) un contratto qualificato “contratto divisionale”, per effetto del quale i beni della comunione legale erano stati divisi tra i due coniugi;
-) il lotto di beni assegnato al marito era di valore di gran lunga inferiore a quello assegnato alla moglie.
I Comuni di Barge e di Revello conclusero pertanto chiedendo che venisse dichiarata l’inopponibilita’ nei loro confronti del suddetto atto divisionale, ai sensi dell’articolo 2901 c.c..
2. (OMISSIS) e (OMISSIS) si costituirono eccependo, per quanto qui ancora rileva, che l’atto di divisione non puo’ per natura pregiudicare le ragioni dei creditori del condividente, perche’ non muta la consistenza del patrimonio di questi.
3. Con sentenza 24.12.2008 n. 431 il Tribunale di Saluzzo accolse la domanda.
La sentenza venne impugnata da (OMISSIS) e (OMISSIS).
La Corte d’appello di Torino con sentenza 16.12.2010 rigetto’ l’appello nella parte in cui chiedeva la riforma della declaratoria di inefficacia dell’atto divisionale tra coniugi sopra descritto, osservando che lo scioglimento d’una comunione paritaria non rende deteriore la posizione del creditore d’uno dei due comunisti, ma solo a condizione che i due lotti assegnati ai condividenti siano di valore corrispondente alle rispettive quote. Se i lotti non corrispondono al valore delle quote l’atto non e’ qualificabile come “divisione”, ma costituisce un atto dispositivo, come tale revocabile.
4. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di un motivo.
Hanno resistito con controricorso i Comuni di Barge e Revello.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Si assumono violati l’articolo 2901 c.c., e articolo 112 c.p.c..
Espongono, al riguardo, che con l’atto di citazione i Comuni di Barge e di Revello avevano chiesto la revocazione dell’atto di divisione stipulato tra i convenuti. Quella divisione era in realta’ simulata, in quanto i condividenti pur definendo il negozio “divisione”, intesero realizzare in realta’ un negotium mixtum cum donatione o donazione indiretta. Di conseguenza, per privare l’atto dei suoi effetti, gli attori avrebbero dovuto proporre l’azione di simulazione (cosi’ il ricorso, p. 46).
Da cio’ i ricorrenti traggono la conclusione che la Corte d’appello avrebbe errato nell’accogliere la domanda di revocazione, posto che non puo’ revocarsi un atto simulato.
1.2. Il motivo e’ manifestamente infondato, se non temerario.
Per quanto riguarda la pretesa violazione dell’articolo 2901 c.c., inizieremo col rilevare che “atto simulato” e’ quello in cui vi e’ contrasto tra volonta’ e dichiarazione, non certo quello in cui vi e’ contrasto tra volonta’ e qualificazione formale del negozio.
E poiche’ nella specie gli effetti dell'”atto divisionale” stipulato tra i coniugi (OMISSIS)- (OMISSIS) erano effettivamente voluti per loro stessa ammissione, nulla rileva che le parti abbiano chiamato “divisione” un atto che non fosse tale: siccome gli effetti erano effettivamente voluti, non puo’ parlarsi di simulazione.
Se dunque gli effetti dell’atto erano effettivamente voluti, essi hanno pregiudicato i creditori di (OMISSIS), riducendo il patrimonio di quest’ultimo.
Incomprensibile, poi, e’ il sillogismo claudicante articolato dai ricorrenti a p. 52 del ricorso: essi in sostanza si dolgono della lesione del diritto di difesa per non essere stati posti in condizione di difendersi dalla domanda di… simulazione: e cioe’ una domanda che essi stessi allegano non essere stata ne’ proposta, ne’ decisa.
1.3. Per quanto riguarda, invece, la pretesa violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello deciso su una domanda (la revocatoria) mai proposta, e’ appena il caso di rilevare come gli attori hanno inequivocabilmente domandato una dichiarazione di inefficacia nei loro confronti dell’atto stipulato dai convenuti, comunque lo si volesse denominare: e su tale domanda la Corte d’appello ha correttamente statuito.
2. Le spese.
2.1. Le spese del giudizio di legittimita’ vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1.
2.2. Il ricorso oggetto del presente giudizio e’ stato proposto avverso una sentenza depositata il 16.12.2010: e dunque dopo l’entrata in vigore della riforma processuale introdotta dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, ma prima della ulteriore riforma introdotta dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69.
Al presente giudizio e’ di conseguenza applicabile l’articolo 385 c.p.c., comma 4, il quale – introdotto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, ed applicabile ai giudizi di cassazione avverso sentenze pronunciate dopo la sua entrata in vigore, ai sensi dell’articolo 27 del Decreto Legislativo citato – consente la condanna del ricorrente che abbia agito con colpa grave al pagamento di una somma, equitativamente determinata, in favore della controparte.
L’articolo 385 c.p.c., comma 4, infatti, e’ stato abrogato dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 46: tuttavia, per espressa previsione dell’articolo 58, comma 1, di quest’ultima legge, le disposizioni ivi contenute che modificano il codice di procedura civile “si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”: con l’unica precisazione che per “giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore” della Legge n. 69 del 2009, debbono intendersi quelli iniziati in primo grado dopo il suddetto momento.
2.3. Agire o resistere in giudizio con colpa grave vuoi dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione (ex multis, Cass., sez. I, 21-07-2000, n. 9579; Cass., sez. lav., 16-02-1998, n. 1619; Cass., sez. lav., 03-03-1995, n. 2475). Nel caso di specie, i ricorrenti hanno sostenuto nel ricorso una tesi non gia’ opinabile, ma addirittura priva del minimo fondamento giuridico: e cioe’ che dovrebbe qualificarsi “simulato” l’atto i cui effetti contrastino non con la volonta’ delle parti, ma con l’intitolazione formale ad esso attribuita dai contraenti.
Delle due pertanto l’una:
– o i ricorrenti conoscevano la totale inconsistenza in iure della propria pretesa, ed allora impugnando la sentenza d’appello hanno agito con mala fede;
– ovvero lo ignoravano, ed allora hanno agito con colpa grave, trattandosi di pretesa contrastante con un principio giuridico elementare.
Essi vanno pertanto condannati in solido al pagamento di una somma, equitativamente determinata, in favore delle amministrazioni controricorrenti.
Nel caso di specie, tale somma puo’ identificarsi col dispendio di tempo ed energie necessariamente impiegati dagli organi delle amministrazioni comunali per i colloqui col difensore e l’approntamento della difesa, tempo ed energie cosi’ sottratti alle ordinarie attivita’ d’ufficio, e la cui sottrazione costituisce una perdita suscettibile di valutazione economica.
Tale pregiudizio, considerati la durata del processo e l’oggetto di esso, puo’ equitativamente liquidarsi ex articolo 1226 c.c., in euro 2.500 attuali per ciascuna delle amministrazioni resistenti.
-) rigetta il ricorso;
-) condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, alla rifusione in favore del Comune di Barge e del Comune di Revello delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 10.000 per ciascuna delle amministrazioni resistenti, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge;
-) condanna (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, al pagamento in favore del Comune di Barge e del Comune di Revello della somma di euro 2.500 per ciascuna delle amministrazioni resistenti, ai sensi dell’articolo 385 c.c., comma 4, oltre interessi nella misura legale decorrenti dal deposito della presente sentenza
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