La massima
1. La responsabilità per le cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva e necessita, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento e tale da prescindere dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussistere in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito ed alla sola condizione che il danneggiato adempia l’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, salva comunque la possibilità di valutare in concreto l’apporto (o il concorso) causale della condotta del danneggiato o di terzi. Perciò, non è dispensato il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa.
2. L’art. 2051 cod. civ. contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all’irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa all’adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi. A tanto, peraltro, fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa. Pertanto, qualora il comportamento di tale secondo soggetto sia apprezzabile come incauto, occorre stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 20 dicembre 2013, n. 28616
Ritenuto in fatto
Sulla pista da sci (omissis) , nel comprensorio sciistico di …, gestito dalla Funivie Plan de Corones spa, P.L. cadde rovinosamente il … per venti metri fuori pista, per avere impattato contro quello che definì innaturale e non percepibile ostacolo costituito da un cordolo di neve di “riporto” del battipista, all’esito di una repentina deviazione verso il bordo della pista stessa per evitare altra sciatrice che gli aveva tagliato improvvisamente la strada; ed agì quindi per il risarcimento dei danni patiti alla persona convenendo la gestrice della pista dinanzi alla sezione distaccata di Brunico del tribunale di Bolzano.
La domanda, all’esito delle contestazioni della convenuta, fu istruita a mezzo prova orale e, poi, rigettata, attribuita l’ascrivibilità dell’evento in via esclusiva allo sciatore, per avere egli tenuto una velocità eccessiva e comunque non adeguata alle capacità sciatorie sue e dell’ignota sciatrice che gli aveva tagliato la strada, pure negata una responsabilità da cose in custodia a causa della necessità del cordolo ai fini di delimitazione della pista: ma il P. interpose appello, che – tuttavia la corte sez. dist. di Bolzano, rigettò con sentenza n. 47, pubblicata il 7.3.09.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il P. , affidandosi a due motivi; resiste con controricorso la Funivie Plan de Corones spa; e, perla pubblica udienza del 15.11.13, le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
2. Questi i termini della controversia.
2.1. Da un lato, il P. – dopo la trascrizione integrale del suo atto di appello e della motivazione della gravata sentenza – muove due complesse censure:
con la prima, si duole di ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’ e di ‘omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)’: lamentando, da un lato, la qualificazione di ‘fortuito’ idoneo ad escludere la responsabilità del custode anche in relazione alla realizzazione di un ostacolo artificiale sulla pista da sci e, dall’altro, l’omessa valutazione dell’imprevedibilità della condotta colposa dello sciatore in relazione alle intrinseche caratteristiche stesse del cordolo, realizzatovi di 20-30 cm in luogo degli 80-100 cm normalmente ottenuti al fine di impedire l’uscita degli sciatori dalla pista in caso di caduta; e formula un ampio quesito di diritto ed un momento di sintesi (alle pagine 45 e 46 del ricorso per cassazione);
con la seconda, lamenta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.)’ e di ‘difetto di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.)’: lamentando, da un lato, l’erroneità dell’individuazione della colpa dello sciatore in norme dettate per prevenire altre fattispecie e comunque presupponendo una collisione con altri sciatori invece non avutasi e, dall’altro, senza indicare gli elementi istruttori, invece inesistenti, su addotte ammissioni del danneggiato circa la sua velocità e la presenza di altri sciatori sulla pista; e formula un quesito di diritto ed un momento di sintesi o riepilogo (alle pagine 52 e 53 del ricorso).
2.2. Dal canto suo, la controparte ribadisce che il sinistro fu causato esclusivamente dal comportamento sconsiderato ed estremamente imprudente dello sciatore, con conseguente esclusione di ogni nesso causale fra il cordolo – la cui altezza doveva considerarsi normale in relazione alla scarsità di precipitazioni nevose della stagione – e l’evento dannoso; ancora, quanto alle violate regole di comportamento, ne sottolinea la riconducibilità a comuni regole di prudenza, tanto da risultarne doverosa in ogni caso l’osservanza; infine, nega l’ammissibilità delle censure avversarie, nella parte in cui sollecitano la rivalutazione della ricostruzione in fatto da parte del giudice del merito.
2.3. Sul punto, la corte territoriale qualifica il comportamento del P. come sconsiderato ed estremamente imprudente e quindi tale da integrare un ‘caso fortuito’ idoneo, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., ad elidere la responsabilità del custode Funivia Plan de Corones spa; e, in particolare, ricostruisce la colpa nella violazione di tre regole di comportamento contenute nel decalogo della F.I.S. (le regole 2, 3 e 4): inosservanza di velocità e comportamento adeguati alle proprie capacità ed alle condizioni della pista, avendo – a detta della corte territoriale – ammesso egli stesso di aver tenuto una velocità particolarmente sostenuta pure in presenza, sulla pista, di numerosi altri sciatori, come reso evidente dalla lunghezza del volo dopo la caduta; scelta di un percorso che non era il più idoneo ad evitare collisioni con la sciatrice che pure si trovava a valle di lui; mantenimento, durante il sorpasso della sciatrice, di una distanza non tale da consentire le evoluzioni della sorpassata, avendo egli rasentato quest’ultima ed essendo per questo costretto ad una manovra evasiva tale da costringerlo a buttarsi fuori pista.
3. I motivi di ricorso, considerati congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati.
3.1. In materia, è consolidato orientamento di questa Corte in tema di danno da cose in custodia che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (tra le più recenti: Cass. 5 febbraio 2013, n. 2660).
In altri termini (Cass., ord. 30 dicembre 2011, n. 30434; Cass., ord. 30 agosto 2013, n. 20001), la responsabilità per le cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva e necessita, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento e tale da prescindere dall’accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussistere in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito (per tutte, v. Cass. 22 marzo 2011, n. 6550, Cass. 7 aprile 2010, n. 8229, Cass. 5 dicembre 2008, n. 28811) ed alla sola condizione che il danneggiato adempia l’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cass., VI sez., ord. 11 marzo 2011, n. 5910), salva comunque la possibilità di valutare in concreto l’apporto (o il concorso) causale della condotta del danneggiato o di terzi.
Perciò, non è dispensato il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cass., ord. 11 marzo 2011, n. 5910, ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ.; tra le molte anche successive, v. Cass. 21 marzo 2013, n. 7125).
3.2. Ora (come, di recente, testualmente si esprime Cass. 17 ottobre 2013, n. 23584), l’art. 2051 cod. civ., stabilendo che ‘ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito’, contempla un criterio di imputazione della responsabilità che, per quanto oggettiva in relazione all’irrilevanza del profilo attinente alla condotta del custode, è comunque volto a sollecitare chi ha il potere di intervenire sulla cosa all’adozione di precauzioni tali da evitare che siano arrecati danni a terzi.
A tanto, peraltro, fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa. Quando il comportamento di tale secondo soggetto sia apprezzabile come incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia concorso causale tra i due fattori costituisce valutazione squisitamente di merito, che va bensì compiuta sul piano del nesso eziologico ma che comunque sottende un bilanciamento fra i detti doveri di precauzione e cautela.
E perfino quando la conclusione sia nel senso che, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa, la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi integrato il caso fortuito.
3.3. La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei ricordati principi.
Prima di ogni altra cosa, non rileva che non vi sia stata collisione con altro sciatore: è proprio per evitarla che lo stesso attore deduce di avere dovuto compiere la manovra diversiva verso il lato della pista, sicché la violazione delle norme di condotta evidenziata si attaglia perfettamente a connotare il comportamento incauto ed imprevidente dell’odierno ricorrente, che avrebbe dovuto farsi carico delle imprevedibili evoluzioni di altri fruitori, soprattutto in rapporto alla propria concreta abilità di impegnare una pista così impegnativa come quella per cui è causa.
Ma soprattutto è evidente, secondo quanto emerge dalla stessa ricostruzione in ricorso e in sentenza, che il cordolo presente ai bordi della pista non è altro che il dislivello naturalmente prodotto dalla battitura della pista e dal lieve ed inevitabile accumulo di neve ai lati di questa; mentre la fruizione della pista presuppone l’adozione, da parte del fruitore, di ogni cautela proprio per essere sempre in grado di far fronte a quella particolare categoria di imprevisti, tipica della pista da sci ed in relazione all’intrinseca complessità della relativa attività fisica di gestione di strumenti di locomozione artificiali, consistente nell’uso inesperto o finanche sconsiderato da parte di altri fruitori.
Diviene allora irrilevante ogni ulteriore indagine sull’eventuale ammissione, da parte dell’attore, di aver tenuto una particolare velocità, atteso il carattere oggettivo dei detti riscontri: e l’apprezzamento della corte territoriale, sull’ascrivibilità del sinistro alla condotta sconsiderata del medesimo attore, si sottrae alle censure mossele, essendo scevro da incongruità logiche o giuridiche la qualificazione di detta condotta come idonea ad elidere il nesso causale tra la conformazione della cosa ed il sinistro in sé considerato.
3.4. In definitiva:
– va esclusa la possibilità di qualificare il cosiddetto cordolo come anomalia della pista da sci: sia in quanto normale e naturale risultato della stessa attività di individuazione, sulla pendice innevata, di una pista destinata ad essere percorsa con gli sci; sia in quanto immediatamente percepibile, dai fruitori, come componente e delimitazione della pista stessa; sia in quanto strutturalmente e originariamente privo di ogni destinazione protettiva dei fruitori della pista o di prevenzione della loro fuoriuscita da questa;
– va allora valutato come di per sé solo idoneo ad escludere il nesso eziologico tra l’evento idoneo a produrre il danno e la cosa la colpa – soprattutto se grave del danneggiato nell’utilizzo della cosa secondo un criterio di normale prudenza, rapportarsi dovendo quest’ultima necessariamente alle condizioni in cui è normale aspettarsi che si trovi la cosa stessa in rapporto alla sua struttura ed alla sua destinazione o funzione.
E, nella specie, le gravi colpe del fruitore della pista consentono di escludere, come ha fatto in concreto la corte territoriale, il nesso causale tra la cosa (cordolo normalmente presente a bordo pista) e l’evento dannoso (impatto col medesimo).
4. Conclusivamente, il ricorso è rigettato ed il soccombente ricorrente va condannato alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese in favore della controparte, in pers. del leg. rappr.nte p.t., liquidate in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
Leave a Reply