SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 2 marzo 2015, n. 8977
Ritenuto in fatto
1. Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di FIRENZE ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze emessa in data 29/04/2013, depositata in data 24/05/2013, con cui, in riforma della sentenza del tribunale di Grosseto, l’imputato M.P. è stato assolto dall’imputazione di abuso d’ufficio al medesimo contestata secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nel capo di imputazione (fatto contestato come commesso in data (omissis) ).
2. Con il ricorso, proposti dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Firenze, vengono dedotti cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 323 cod. pen., sub specie di errata interpretazione della norma penale in questione, con riferimento all’inesistente requisito della macroscopica illegittimità dell’atto amministrativo nell’abuso d’ufficio.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello, nel riconoscere l’ammissibilità della c.d. sanatoria condizionata, sostiene che nel rilasciare la concessione in sanatoria condizionata ad una parziale demolizione delle opere abusive, il M. sarebbe stato ispirato da buona fede in relazione all’emanazione di un atto che non sarebbe stato macroscopicamente illegittimo; tale affermazione, secondo il PG ricorrente, sarebbe sindacabile, atteso che la norma di cui all’art. 323 cod. pen. non richiede in alcun modo che l’illegittimità dell’atto sia caratterizzata da un quantum di gravità o di evidenza o di macroscopicità; ne discenderebbe la violazione di legge dedotta, da cui deriverebbe anche la illogicità dell’impugnata sentenza, in quanto proprio da tale errato assunto interpretativo (ossia la necessità di una macroscopica, palese, abnorme violazione della norma da parte del reo), la Corte postulerebbe le altrettanto errate valutazioni in fatto (ossia, la mancanza di prova del dolo, dunque della consapevolezza di tale qualificata macroscopica, palese, abnorme violazione da parte del reo).
2.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 323 cod. pen., sub specie di errata interpretazione della norma penale in questione, con riferimento alla ritenuta incompatibilità del dolo eventuale sull’illegittimità dell’atto (condotta) con il dolo intenzionale sul vantaggio patrimoniale ingiusto per il privato (evento) nel delitto di abuso d’ufficio.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello, avrebbe errato nell’affermare che il dubbio del M. sulla legittimità della c.d. sanatoria condizionata consentirebbe di affermare la carenza di prova in punto di dolo sulla condotta, oltre che di dolo intenzionale sull’evento di vantaggio del privato; sostiene il PG ricorrente, invece, che essendo pacifico che il dolo intenzionale del reato di abuso d’ufficio riguarda solo l’evento del reato, mentre è generico quanto agli altri elementi della fattispecie, è indubbio che il dolo generico ricomprenda anche quello eventuale, sicché, pur ammettendo che l’imputato avesse agito nonostante i suoi dubbi sulla legittimità dell’atto che stava emanando, comunque avrebbe agito con dolo “eventuale” per la parte relativa alla contrarietà con la norma di legge o di regolamento dell’atto amministrativo di sanatoria del 30 settembre 2008; si osserva, sul punto, che il M. era consapevole del fatto che v’era un procedimento penale pendente per abuso edilizio ed un sequestro preventivo dell’immobile in oggetto, e lo stato di dubbio del reo sulla condotta tenuta non esclude la sussistenza del dolo, come invece accadrebbe nel diverso caso dell’errore; da qui, dunque, la palese violazione di legge e il correlato vizio motivazionale, in quanto è proprio da tale errato assunto interpretativo (ossia la necessità del dolo in termini di certezza sulla macroscopicità dell’illegittimità amministrativa, con esclusione del dolo eventuale) che i giudici di appello postulano le proprie errate valutazioni in fatto (ossia, la mancanza di consapevolezza in termini di certezza di tale qualificata, macroscopica, palese ed abnorme violazione da parte del reo che avrebbe agito nel dubbio).
2.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione all’errata interpretazione della c.d. concessione condizionata, sub specie dell’illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla sussistenza ed applicazione nel caso in esame di una concessione condizionata, in ordine alla sua incidenza sull’elemento psicologico del reato e al suo valore di prova della buona fede dell’imputato.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’adozione da parte del M. , nel settembre 2008, del provvedimento di preavviso di sanatoria di cui all’imputazione, facesse capo ad un orientamento diffuso presso la pubbliche amministrazioni, ossia la c.d. sanatoria condizionata; in realtà, sostiene il PG ricorrente, il provvedimento emesso nulla aveva a che vedere con la c.d. sanatoria condizionata, risolvendosi di fatto in un’ordinanza di demolizione per tutte le opere costruite in eccedenza rispetto alla possibilità e capacità edificatoria ed in una sanatoria per ciò che residuava, in quanto i lavori di cui di disponeva la demolizione, mai avrebbero potuto essere oggetto di permesso di costruire, nemmeno attraverso quelle opere di completamento che costituiscono la caratteristica delle c.d. sanatorie condizionate; né, aggiunge il PG ricorrente, sarebbe possibile sostenere che il M. fosse stato in buona fede nell’adottare detto provvedimento nel qualificarlo come sanatoria condizionata, non solo perché una persona esperta qual è l’imputato non poteva non rendersi conto che il contenuto di quel provvedimento non potesse avere i connotati di una sanatoria condizionata, ma anche, e soprattutto, perché dagli atti emergerebbe la consapevolezza di un’opposta situazione, atteso che in una mail inviata il 1 agosto 2008 all’Avv. Ma. , dopo aver riferito che il parere negativo espresso sulla sanatoria era legittimo, aveva proposto un’idea per inventare una soluzione positiva, ossia congegnando una sanatoria condizionata che nulla aveva a che vedere con la situazione in esame, ma che poteva essere strumentalizzata per nascondere l’impossibilità di sanatoria e, appunto, “inventare” una soluzione inesistente; la Corte d’appello, dunque, avrebbe completamente ignorato né affrontato il tema relativo al contenuto della sanatoria condizionata, omettendo peraltro di valutare il contenuto dell’email di cui sopra, elementi di indubbia rilevanza al fine di denotare la consapevolezza dell’imputato sull’inapplicabilità al caso in esame della sanatoria condizionata.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. e) c.p.p., sotto il profilo del travisamento/omissione dei fatti, sub specie di motivazione carente, contraddittoria ed illogica, avendo trasformato in prova d’innocenza l’email confessoria dell’imputato all’Avv. Ma. datata 1 agosto 2008 nonché per la mancata considerazione e valorizzazione degli altri elementi di prova a carico per la prova dell’elemento psicologico del reato di abuso d’ufficio.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello non avrebbe considerato una serie di elementi di prova menzionati dal primo giudice, offrendone una lettura palesemente illogica e/o contraddittoria rispetto agli altri elementi di prova acquisiti ed utilizzabili.
2.4.1. Anzitutto, l’attenzione del PG ricorrente, si focalizza sull’email confessoria del M. all’Avv. Ma. del 1 agosto 2008; secondo la prospettazione del PG, in particolare, la Corte avrebbe trasformato il contenuto di detta email al punto da connotarla come elemento dimostrativo della buona fede dell’imputato; diversamente, riportandone il contenuto, il PG ricorrente sottolinea come con tale email il M. in realtà avesse confessato all’Avv. Ma. che la sanatoria fosse illegittima, in particolare mostrando di ben sapere che l’altezza del piano alto, quello in più rispetto al manufatto preesistente che non poteva realizzarsi e che impediva la possibilità di sanare l’immobile, fosse superiore ai mt. 2,40, cosa che aveva constatato personalmente il M. recandosi sul cantiere al fine di verificarlo; proprio la disponibilità dimostrata dal M. il quale, pur votando contro la sanatoria al pari della Commissione edilizia, si era offerto per inventare una soluzione positiva, qual era quella di utilizzare lo strumento della c.d. concessione condizionata, dimostrerebbero la mancanza della buona fede su cui la Corte territoriale fonda le proprie argomentazioni, essendo invero il M. perfettamente consapevole di agire contra legem e che l’unica possibilità di rilasciare la sanatoria al privato (C. ) era quella di inventarsi la soluzione basata sulla sanatoria condizionata.
2.4.2. Secondo punto esaminato dal PG ricorrente riguarda la cronologia degli avvenimenti, che dimostrerebbe una lettura frammentaria ed atomistica degli stessi nella sentenza di appello o la loro omessa menzione e valutazione; il PG, a tal fine, opera una illustrazione della consecutio storico – cronologica degli avvenimenti che dimostrerebbe la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di abuso d’ufficio (v. pag. 12 ricorso); in particolare dai cinque elementi indicati (rilascio della sanatoria nonostante la consapevolezza dell’esistenza di un procedimento penale in corso; rilascio della sanatoria nonostante la consapevolezza che sullo stesso gravasse un sequestro preventivo; rilascio della sanatoria consapevole che era stato ipotizzato il reato di lottizzazione abusiva; rilascio della sanatoria nonostante la preoccupazione di trattare pratiche su cui erano aperti procedimenti penali) emergerebbe la consapevolezza del M. circa la delicatezza della questione, donde l’illogicità della tesi secondo cui questi potesse aver rilasciato il permesso di costruire in sanatoria con leggerezza anziché dopo attenta e dolosa riflessione; a ciò si aggiungerebbe, osserva il PG ricorrente, la circostanza per la quale era evidente che il M. ben fosse consapevole del difetto del requisito della c.d. doppia conformità, non potendo esservi demolizione parziale dell’opera in parte qua e sanatoria successiva della restante parte non demolita; era quindi evidente la sussistenza della condotta dolosa al momento del rilascio della sanatoria condizionata. Altro elemento valorizzato dal PG ricorrente concerne l’esistenza di pressioni rivolte all’imputato da parte degli amministratori comunali a sanare il cantiere abusivo (sul punto vengono richiamate le dichiarazioni di alcuni testi o imputati, tra cui C. R. , l’imputato P. o il C. ), che si innestano in un quadro di illecite dazione di denaro o promesse di abitazioni a titolo gratuito o scontate ai dipendenti comunali per attivarsi a livello amministrativo, il tutto per spiegare l’agitarsi degli amministratori a non deludere il C. anche per timore di sue possibili denunce; a tale quadro non sarebbe stato estraneo il M. , come dimostrato dalle confidenze che questi ebbe a fare ai componenti della commissione urbanistica (dichiarazioni L. ), come pure emerge dalla sua preoccupazione per il C. (dichiarazioni D. ; dichiarazioni B. ), ciò che escluderebbe in radice la tesi della sussistenza di un concorrente interesse pubblico tale da far venir meno il dolo intenzionale richiesto, laddove, in realtà, la condotta di favoritismo del M. era improntata a seguire il solo interesse privato del C. .
Il PG si sofferma, poi, ad illustrare una serie di elementi fattuali (convocazione di una riunione informale in data 2 agosto 2008 cui partecipano il Sindaco, l’avv. Ma. , il redattore del piano strutturale Tesi ed il M. , avente ad oggetto una presunta interpretazione autentica delle norme edilizie, pur non affrontandosi la pratica di sanatoria C. ; la presentazione di una relazione tecnica integrativa a firma Ru.St. in data 5 agosto 2008 cui si allega una nuova tavola 2 bis sostitutiva della tavola 2 che la commissione urbanistica aveva ritenuto incoerente con la rappresentazione del solaio del rustico come rilevabile dalle sezz. B-B, con prospettazione della proposta che il M. aveva citato al Ma. nella lettera email; convocazione di atra riunione informale del 7 agosto 2008, relativa alla pratica di sanatoria C. in cui si ritenne di dover acquisire maggiore documentazione proprio in relazione all’integrazione Ru.; la presentazione di altra integrazione di documentazione, sempre a firma Ru., in data 16 settembre 2008; la firma, in data 19 settembre 2008, del preavviso di rilascio di sanatoria edilizia da parte del M. , in cui si da atto della mancanza del requisito della doppia conformità in relazione ad alcune delle opere realizzate; la firma, in data 30 settembre 2008, della sanatoria condizionata alla demolizione entro gg. 3 delle opere estranee al permesso, in contrasto con il parere della Commissione urbanistica) da cui emergerebbe, all’evidenza, una sicura partecipazione del M. ai destini del C. , soprattutto alla luce del rilascio della sanatoria condizionata nonostante il parere contrario della Commissione urbanistica, la sua mancata riconvocazione dopo la riunione interlocutoria del 7 agosto 2008, dimostrerebbero la volontà di procedere “in solitudine”, espressione di un sicuro dolo intenzionale richiesto dal delitto in esame; il tutto, evidentemente, in assenza di un’espressa presa di posizione da parte dei giudici di appello, ciò che inficerebbe la tenuta logica della motivazione.
2.4.3. Terzo punto esaminato dal PG ricorrente riguarda il valore probatorio pro bona fidei dell’imputato dell’atto di preavviso di sanatoria comunicato alla Procura della Repubblica; in particolare, si censura la valenza probatoria che i giudici di appello attribuiscono all’invio del preavviso di rilascio di sanatoria alla Procura della Repubblica, condotta cui viene attribuita valenza dimostrativa della buona fede in quanto detto invio, non dovuto, non sarebbe stato spiegabile se il M. avesse voluto in malafede agire; diversamente, osserva il PG ricorrente, l’invio era finalizzato ad accelerare la soluzione della pratica edilizia, visto che l’opera era sotto sequestro, sicché l’invio alla Procura della Repubblica era spiegabile con la volontà del M. di agevolare il dissequestro degli immobili.
2.4.4. Infine, quarto ed ultimo punto, concerne il valore probatorio del calcolo degli oneri concessori e delle sanzioni dovute con la sanatoria condizionata del 30 settembre 2008; la Corte d’appello avrebbe errato nell’attribuire valenza confermativa della buona fede del M. alla circostanza che questi, nell’atto amministrativo di sanatoria, avesse calcolato anche gli oneri e le sanzioni dovute dal C. per 90.000 Euro; di contro, osserva il PG ricorrente, il privato aveva interesse prioritario al dissequestro per proseguire i lavori e commercializzare gli immobili, sicché sarebbe stato, al contrario, fuori da ogni logica, che il M. non avesse provveduto a determinare tali oneri e sanzioni.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. c) c.p.p., per l’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 238 bis cod. proc. pen., avendo utilizzato come prova una sentenza non irrevocabile ai fini dell’assoluzione in contrasto con detta norma.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte d’appello per aver valorizzato in chiave probatoria l’esito assolutorio cui era pervenuta altra sentenza, non irrevocabile, per il reato di lottizzazione abusiva riguardante il medesimo cantiere C. ; la Corte non spiegherebbe le ragioni per le quali un abuso edilizio semplice sia meno grave di un illecito lottizzatorio, essendo vero anche il contrario, dovendo il giudice comunque operare una verifica concreta caso per caso, non potendo limitarsi ad un mero rinvio ad una sentenza penale non irrevocabile.
3. Con memoria tempestivamente depositata presso la cancelleria di questa Corte, infine, la difesa del M. nel riassumere le motivazioni della sentenza d’appello, ha chiesto rigettarsi o dichiararsi manifestamente infondato il ricorso del PG.
Considerato in diritto
4. Il ricorso del PG non è fondato e deve essere rigettato per le ragioni di seguito esposte.
5. Seguendo l’ordine cronologico imposto dalla struttura dell’impugnazione di legittimità, dev’essere anzitutto esaminato il primo motivo, con cui il PG ricorrente solleva censure in relazione all’art. 323 cod. pen., sub specie di errata interpretazione della norma penale in questione, con riferimento all’inesistente requisito della macroscopica illegittimità dell’atto amministrativo nell’abuso d’ufficio.
La Corte d’appello fiorentina motiva, sul punto, svolgendo una serie di considerazioni che sono finalizzate ad escludere l’esistenza del dolo intenzionale del pubblico ufficiale rispetto allo scopo di avvantaggiare il privato C. . Osserva il collegio come, in realtà, a dispetto di quanto censurato dal PG ricorrente, la Corte territoriale prende in esame la questione della “macroscopica illegittimità” non per escludere che l’atto amministrativo posto in essere non fosse legittimo, ma per evidenziare che proprio l’inesistenza di quella macroscopica illegittimità – come del resto dimostrato dall’esistenza di un “dubbio” del pubblico ufficiale su come poter eliminare la difformità che impediva la “sanatoria” – non poteva essere utilizzata come elemento di supporto dell’intenzionalità del dolo.
Sul punto, se è ben vero che, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, in tema di abuso di ufficio, l’elemento soggettivo del reato consiste nella consapevolezza dell’ingiustizia del vantaggio patrimoniale e nella volontà di agire per procurarlo e può essere desunta dalla macroscopica illiceità dell’atto e dai tempi di emanazione (Sez. 6, n. 49554 del 22/10/2003 – dep. 31/12/2003, Cianflone e altri, Rv. 227205, fattispecie relativa al rilascio di una concessione edilizia illegittima perché in violazione della legge urbanistica, emessa prima ancora dell’avvenuta presentazione del progetto da parte del privato e in presenza di un negativo parere dell’Ufficio tecnico comunale), è tuttavia altrettanto pacifico che in tema di abuso d’ufficio, la prova dell’intenzionalità del dolo esige il raggiungimento della certezza che la volontà dell’imputato sia stata orientata proprio a procurare il vantaggio patrimoniale o il danno ingiusto e tale certezza non può essere ricavata esclusivamente dal rilievo di un comportamento “non iure” osservato dall’agente, ma deve trovare conferma anche in altri elementi sintomatici, che evidenzino la effettiva “ratio” ispiratrice del comportamento, quali, ad esempio, la specifica competenza professionale dell’agente, l’apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento ed il tenore dei rapporti personali tra l’agente e il soggetto o i soggetti che dal provvedimento stesso ricevono vantaggio patrimoniale o subiscono danno (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013 – dep. 17/05/2013, Barla e altri, Rv. 255368 relativa a fattispecie in cui, questa Corte ha ritenuto che una condotta di omesso controllo in relazione ad una situazione di illegittimità, pur grave e diffusa, negli atti di un’amministrazione comunale non può equivalere a ritenere dimostrata la presenza del dolo dell’abuso di ufficio).
Ne discende, pertanto, l’infondatezza del primo motivo, non essendo sul punto censurabile il percorso logico – argomentativo sviluppato dalla Corte gigliata.
6. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, lo stesso si rivela parimenti infondato. Come sinteticamente esposto in sede di illustrazione del relativo profilo di doglianza, con tale motivo il PG ricorrente solleva una censura in relazione all’art. 323 cod. pen., sub specie di errata interpretazione della norma penale in questione, con riferimento alla ritenuta incompatibilità del dolo eventuale sull’illegittimità dell’atto (condotta) con il dolo intenzionale sul vantaggio patrimoniale ingiusto per il privato (evento) nel delitto di abuso d’ufficio.
Va premesso, sul punto, che secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, in tema di abuso d’ufficio, per la configurabilità dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell’evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell’agente e obiettivo primario da costui perseguito (Sez. 6, n. 35859 del 07/05/2008 – dep. 18/09/2008, P.G. in proc. Pro, Rv. 241210; Sez. 5, n. 3039 del 03/12/2010 – dep. 27/01/2011, Marotta e altri, Rv. 249706).
Orbene, non sembra al Collegio che la Corte fiorentina sia venuta meno all’insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità, in quanto, con riferimento alla questione sollevata dal PG ricorrente, in realtà la Corte territoriale chiarisce che gli elementi probatori non consentivano di ritenere che l’imputato fosse consapevole della macroscopica illegittimità dell’atto posto in essere (sanatoria “condizionata”), non potendo trarsi argomenti dell’email, più volte richiamata in ricorso, in cui non si fa riferimento alla persona del C. né all’esistenza di legami tra questi ed il pubblico ufficiale, non potendo attribuirsi valenza alla descrizione del descritto “torbido” quadro di rapporti esistenti nell’Amministrazione comunale, trattandosi di affermazioni suggestive – come correttamente evidenziato nella memoria difensiva – afferenti in realtà a questioni riguardanti il passato e non direttamente coinvolgenti il pubblico ufficiale M. . Anche sotto tale profilo, pertanto, le censure del PG si rivelano infondate.
7. Quanto, ancora, al terzo motivo di ricorso, si è già precisato, in sede di illustrazione del motivo che con lo stesso il PG svolge censure in relazione all’errata interpretazione della c.d. concessione condizionata, sub specie dell’illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento alla sussistenza ed applicazione nel caso in esame di una concessione condizionata, in ordine alla sua incidenza sull’elemento psicologico del reato e al suo valore di prova della buona fede dell’imputato.
Deve, ovviamente, premettersi che la questione che viene in esame non comporta l’analisi della legittimità della sanatoria c.d. giurisprudenziale (trattasi, sul punto, di un errore di diritto della Corte gigliata che questa Corte può pertanto correggere ex art. 619 cod. proc. pen.), non emergendo in realtà dagli atti che la tesi difensiva fosse stata quella di sostenere che il pubblico ufficiale avesse voluto indicare, come strada percorribile per “aggirare” l’ostacolo, quello di fare ricorso a detta forma di sanatoria (ritenuta da questa Corte – a differenza di quanto sostenuto dalla prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, pacificamente inammissibile: v., da ultimo, Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014 – dep. 18/11/2014, Chisci e altro, Rv. 260973), essendo invece emerso che il “rimedio” suggerito fosse stato quello di emanare un ordine di demolizione finalizzato alla regolarizzazione dell’intervento edilizio da un punto di vista urbanistico, il tutto da intendersi come espressione di una concessione “condizionata”.
7.1. Sulla legittimità di una c.d. concessione “condizionata” non v’è dubbio nella stessa giurisprudenza amministrativa (v., ad esempio: Cons. St., Sez. IV, 6 ottobre 2010, n. 7344), nella specie investendosi una modalità della concessione edilizia e, quindi, un contenuto discrezionale del provvedimento, ciò che si riflette sul piano della verifica di legittimità in parte qua della concessione. Sotto tale profilo, dunque, legittima si presentava la condizione apposta al titolo abilitativo edilizio complesso, con cui si subordinava il giudizio di regolarità amministrativa dell’intervento edilizio realizzato, più che all’esecuzione di un ordine demolitorio, all’assunzione di un impegno unilaterale (da parte del C. ) alla demolizione delle porzioni abusive, in quanto ciò avrebbe consentito, in base al Regolamento urbanistico in vigore, la realizzazione di interventi edilizi come quello realizzato, compresa la sostituzione edilizia. Pare evidente al Collegio di legittimità che la condizione che era stata apposta al provvedimento “condizionato” fosse da considerarsi pienamente lecita e legittima, in quanto, da un lato, non erano ravvisabili né gli estremi della violenza di cui all’art. 1435 cod. civ. (caratteri della violenza) per configurare una pretesa vis esercitata dal Comune (ai fini del rilascio) e neppure violazione dell’art. 1987 cod. civ. concernente l’efficacia delle promesse (che sanziona il principio della tipicità delle promesse unilaterali, le quali hanno efficacia obbligatoria nel solo caso in cui la legge lo preveda) unilaterali della prestazione. In definitiva, dunque, ben possono essere apposte delle condizioni alle concessioni a patto che (come nella fattispecie in oggetto) siano accettate dal proprietario con atto di impegno unilaterale.
Ne discende, pertanto, attesa la legittimità del provvedimento “condizionato”, come la Corte d’appello, in realtà, miri solo ad evidenziare, nel percorso argomentativo svolto sul punto, che l’integrazione riguardante la demolizione delle opere per “portarle” in regola con la situazione urbanistica dell’area necessaria, si presentava come “necessaria”, atteso che la stessa si presentava come l’unica possibilità per ricondurre l’intervento a quanto originariamente assentito. In definitiva, dunque, può convenirsi con quanto esposto dalla difesa in sede di memoria, nel senso che nel caso in esame, non ci si trova in presenza di una concessione in sanatoria nel senso tradizionale, ma di un provvedimento complesso che, da un lato, aveva natura demolitoria e ripristinatoria dei luoghi e, dall’altro, manteneva l’autorizzazione rilasciata dalla Pubblica Amministrazione comunale all’intervento edile consentito dalle norme vigenti al momento dell’originaria concessione ed al momento attuale, ferme le previste sanzioni pecuniarie a carico del privato ed a favore del Comune.
Detto provvedimento, in definitiva, nella prospettazione del pubblico ufficiale, come motivato dalla Corte fiorentina, ben poteva apparire come lecito, così escludendo l’esistenza di quell’intenzionalità del dolo normativamente richiesta per la punibilità dell’agente.
8. Non miglior sorte merita l’esame del quarto motivo di ricorso, con cui, come precisato in sede di illustrazione del medesimo, il PG ricorrente censura l’impugnata sentenza sotto il profilo del travisamento/omissione dei fatti, sub specie di motivazione carente, contraddittoria ed illogica, avendo trasformato in prova d’innocenza l’email confessoria dell’imputato all’Avv. Ma. datata 1 agosto 2008 nonché per la mancata considerazione e valorizzazione degli altri elementi di prova a carico per la prova dell’elemento psicologico del reato di abuso d’ufficio. La Corte, in definitiva, non avrebbe considerato una serie di elementi di prova menzionati dal primo giudice, offrendone una lettura palesemente illogica e/o contraddittoria rispetto agli altri elementi di prova acquisiti ed utilizzabili.
L’articolata illustrazione degli elementi pretermessi e la loro lettura operata dal PG ricorrente, all’evidenza, tradiscono il tentativo della Pubblica accusa di procedere ad una “rilettura” degli stessi elementi valutati dalla Corte gigliata così pervenendo ad un’interpretazione più favorevole al ricorrente operazione che, com’è noto, è inibita in questa sede di legittimità. Più volte è stato invero affermato da questa Corte che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., introdotta dalla L. n. 46 del 2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova che si realizza allorché si introduca nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della Cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità sì che continua ad esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007 – dep. 14/06/2007, P.G. in proc. Vignaroli, Rv. 236893; Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006 – dep. 23/05/2006, Baratta, Rv. 234109). In definitiva, in conformità al disposto dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., il difetto di motivazione valutabile in Cassazione può consistere solo, oltre nella contraddittorietà motivazionale, in una mancanza (o in una manifesta illogicità) della motivazione stessa, il che significa che deve mancare del tutto la presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e che non può costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali, esulando infatti, dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso V’iter” argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto ad emettere il provvedimento. (Sez. 2, n. 3438 del 11/06/1998 – dep. 27/06/1998, Di Salvo R., Rv. 210938). Peraltro, lo si noti per completezza, il c.d. vizio di travisamento della prova “per omissione” nei termini denunciati dal PG ricorrente (ossia, per omissione della valutazione di una prova), esige la necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 2, n. 19848 del 24/05/2006 – dep. 09/06/2006, P.M. in proc. Todisco, Rv. 234162), decisività che non emerge dall’esame complessivo delle emergenze istruttorie operate dalla Corte territoriale rispetto a quelle denunciate come non valutate.
9. Quanto, infine, al quinto ed ultimo motivo di ricorso, con cui il PG ricorrente censura l’inosservanza della norma processuale di cui all’art. 238 bis cod. proc. pen., avendo la Corte d’appello utilizzato come prova una sentenza non irrevocabile ai fini dell’assoluzione in contrasto con detta norma, lo stesso si presenta manifestamente infondato.
Sul punto, infatti, questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi affermando il principio secondo cui in tema di prova documentale, quantunque le sentenze pronunciate in altri procedimenti penali e non ancora divenute irrevocabili, da considerare documenti, possano essere utilizzate come prova solo per i fatti documentali in esse rappresentati, ma non anche per la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove in esse contenute, non è precluso al giudice che si avvalga degli elementi di prova acquisiti al processo, di ripercorrere gli itinerari valutativi tracciati in quelle sentenze, fermo restandone il dovere di sottoporre gli elementi di prova di cui legittimamente dispone ad autonoma valutazione critica, secondo la regola generale prevista dall’art. 192, comma primo, cod.proc.pen. (Sez. 1, n. 46082 del 09/10/2007 – dep. 11/12/2007, Lago e altri, Rv. 238167; Sez. 5, n. 11905 del 22/01/2010 – dep. 26/03/2010, D.R. e altri, Rv. 246550).
10. Il ricorso dev’essere, dunque, complessivamente rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso del PG..
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