La massima

Nell’ipotesi di contratto di mutuo, in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene, sussiste il collegamento negoziale tra tali contratti (di compravendita e di mutuo), per cui il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione. Da ciò deriva che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene – che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo – legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore.

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA 19 luglio 2012 12454

Svolgimento del processo

G..L. e M..C. convennero, davanti al tribunale di Roma, la Tontini Auto srl e la Findomestic spa chiedendo fosse dichiarata la risoluzione di diritto del contratto di compravendita di un’autovettura, concluso fra la Tontini Auto srl ed il L. , dichiarando altresì che la C. – che aveva garantito la restituzione della somma versata a titolo di mutuo per l’acquisto dell’autovettura da parte della Findomestic spa – nulla doveva a tale titolo; con l’ulteriore risarcimento dei danni.

Il tribunale, con sentenza del 26.11.2002, dichiarò la risoluzione, per colpa del venditore inadempiente, del contratto di compravendita, ritenendo, invece, valide le pattuizioni relative al contratto di mutuo concluso dalla C. .

Ad eguale conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del 27.7.2006, rigettò l’impugnazione principale del L. e della C. e quella incidentale della Findomestic Banca spa (già Findomestic spa).

Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria G..L. e C.M. .

Resiste con controricorso Findomestic Banca spa.

L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorso è soggetto alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, con riferimento, in particolare, all’art. 366 bis c.p.c., trattandosi di provvedimento depositato nella vigenza della normativa richiamata.

I quesiti rispettano i requisiti prescritti da tale norma.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod.proc.civ., nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: art. 360 nn. 3 e 5 cod.proc.civ..

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.112 cod.proc. civ. e degli artt. 1469 bis, 1469 ter e segg. Cod.civ. (oggi trasfusi nel codice del consumo), nonché del principio di diritto secondo cui la fattispecie del collegamento del contratto negoziale è configurabile anche quando i singoli atti siano stati stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo divisato dalle parti: art. 360 n. 3 c.p.c.. Insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia: art. 360 n. 5 c.p.c..

Con il terzo motivo si denuncia la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: art. 360 n. 5 cod.proc.civ..

I motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi svolte, sono esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono. La Corte di merito, nel rigettare l’appello proposto dagli odierni ricorrenti fondato sulla mancata declaratoria di risoluzione – da parte del primo giudice -, oltre che del contratto di compravendita, anche del contratto di mutuo, per la nullità delle relative clausole, vessatorie e contrarie a buona fede, ha ritenuto che ” non può condividersi l’assunto degli appellanti, in quanto non si ravvisa la dedotta nullità delle clausole del contratto di mutuo, che fanno salva l’obbligazione della mutuataria C. anche nell’ipotesi di mancata consegna del bene da parte del venditore”.

Ed ha aggiunto ” Non rientra infatti tale previsione in alcuna delle ipotesi di vessatorietà delle clausole indicate dall’appellante, perché il rapporto di cui si controverte è quello tra la C. e la Findomestic, diverso, sebbene collegato rispetto a quello di compravendita intervenuto tra la Tontini Auto e il L. “.

Le conclusioni, cui è pervenuta la Corte di merito, non sono condivisibili.

La Corte d’Appello ha valutato i due contratti – di compravendita e di mutuo – ritenendo l’autonomia del rapporto intercorso fra la mutuataria e la società finanziatrice rispetto a quello relativo al contratto di compravendita, affermando che fosse “diverso sebbene collegato”.

Nulla ha detto, invece, circa un potenziale collegamento negoziale rivendicato dagli attuali ricorrenti nella specie.

A tal fine debbono premettersi alcune considerazioni in tema di collegamento negoziale.

Il collegamento negoziale – espressione dell’autonomia contrattuale prevista dall’art. 1322 c.c. – è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico complesso, che viene realizzato, non attraverso un autonomo e nuovo contratto, ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è concepito, funzionalmente e teleologicamente, come collegato con gli altri, cosicché le vicende che investono un contratto possono ripercuotersi sull’altro.

Ciò che vuoi dire che, pur conservando una loro causa autonoma, i diversi contratti legati dal loro collegamento funzionale sono finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi (v. anche Cass. 10.7.2008 n. 18884).

Perché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico – che impone la considerazione unitaria della fattispecie – sono quindi necessari due requisiti.

Il primo è quello oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, finalizzati alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario.

Il secondo è quello soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione. di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (v. per tutte Cass. 17.5.2010 n. 11974; Cass. 16.3.2006 n. 5851).

Sul piano processuale, poi, l’accertamento della natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito; ma un tale apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, solo se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (v. per tutte Cass. 17.5.2010 n. 11974).

Nella specie, la Corte di merito, nell’affermare l’autonomia dei due rapporti – quello di compravendita e quello di mutuo “diverso sebbene collegato” -. non ha considerato, né messo in rilievo le seguenti circostanze.

a) Lo stretto legame funzionale esistente fra il contratto di compravendita e quello di mutuo destinato a finanziare l’acquisto del veicolo oggetto della compravendita;

b) La circostanza che le trattative per la concessione del mutuo erano state condotte all’interno dei locali della venditrice dell’autovettura (Tontini Auto srl);

c) La qualità delle parti, coniugi: il L. acquirente del veicolo, la C. mutuataria;

d) La destinazione immediata della somma mutuata alla società venditrice dell’autovettura.

Tali circostanze, se complessivamente considerate, avrebbero reso evidente che il contratto di mutuo concluso dalla C. era finalizzato soltanto all’acquisto del veicolo del coniuge.

In questo contesto, poi, alcun rilievo riveste la circostanza che i singoli contratti fossero stati stipulati tra soggetti diversi, posto che la fattispecie del collegamento negoziale è configurabile anche in questo caso, a patto che gli stessi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo voluto dalle parti (Cass. 16.9.2004 n. 18655; Cass. 5.6.2007 n. 13164).

È altresì evidente che in ipotesi del genere, il contratto di mutuo si atteggi quale mutuo di scopo in relazione alle concrete previsioni contrattuali che prevedevano, tra l’altro, la specifica destinazione del finanziamento all’acquisto del veicolo in oggetto.

Non può, invece, convenirsi, con la tesi dei ricorrenti, che si tratti di un’ipotesi di credito al consumo, posto che non vi è prova di un accordo che attribuisca al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore, ai sensi dell’art. 125, comma 4, D.Lgs. n.385 del 1993.

Il mutuo di scopo – va sottolineato – generalmente è caratterizzato dalla consegna al mutuatario di somme di denaro od altre cose fungibili allo scopo esclusivo di raggiungere una determinata finalità espressamente inserita nel sinallagma contrattuale (v. anche Cass. 11.2.2011 n. 3392).

Nel caso in esame – come si desume dagli atti difensivi – su delega della mutuataria, la somma era stata versata direttamente al venditore dell’auto.

La Corte di legittimità si è già pronunciata in analoghe circostanze (v. da ultimo Cass. 16.2.2010 n. 3589), enunciando il principio per il quale, nell’ipotesi di contratto di mutuo, in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l’acquisto di un determinato bene, sussiste il collegamento negoziale tra tali contratti (di compravendita e di mutuo), per cui il mutuatario è obbligato all’utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione.

Da ciò deriva che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita del bene – che importa il venir meno dello stesso scopo del contratto di mutuo – legittima il mutuante a richiedere la restituzione della somma mutuata, non al mutuatario, ma direttamente ed esclusivamente al venditore (Cass. 19.5.2003 n. 7773; Cass. 23.4.2001 n. 5966; Cass. 21.7.1998 n. 7116; Cass. 20.1.1994 n. 474).

Da ultimo, qualche considerazione merita l’argomento legato alle clausole del contratto di mutuo 1 e 3 secondo cui “il cliente conferisce sin d’ora disposizione perché l’importo richiesto a Findomestic venga versato direttamente a favore del fornitore, senza obbligo di rendiconto alcuno e dopo aver ricevuto da questi dichiarazione di disponibilità del bene e, comunque, indipendentemente dalla sua effettiva consegna” e 4 secondo cui “il cliente si impegna ad effettuare i singoli pagamenti mensili a favore di Findomestic nei modi e nei termini convenuti anche in caso di inadempienze di qualsiasi genere da parte del fornitore, ivi compresa la mancata consegna del bene richiesto”, che avrebbero fatti salvi gli effetti obbligatori derivanti dal contratto di mutuo anche nel caso in cui fossero venuti meno quelli del contratto di compravendita e che – secondo la Corte di merito – non erano contrarie ai principi di buona fede, “dovendo escludersi un comportamento della Findomestic lesivo della buona fede della C. “.

Una clausola come quella enunciata al n. 4 – di rinuncia a far valere nei confronti del mutuante l’eccezione di mancata consegna del veicolo -, e che sarebbe potuta essere considerata astrattamente valida quale espressione della libertà negoziale delle parti, tale da far gravare il rischio della mancata consegna sul mutuatario, il quale non avrebbe potuto opporre al mutuante l’eccezione di inadempimento (così Cass. 24.5.2003 n. 8253) – nell’attuale contesto deve essere interpretata alla luce dei principi di buona fede e di correttezza.

Questi, per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione in rapporto all’inderogabile dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., costituiscono un canone oggettivo ed una clausola generale che attiene, non soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale ed alla sua interpretazione, ma che si pone come limite all’agire processuale nei suoi diversi profili (v. anche Cass. 22.12.2011 n. 28286).

Il criterio della buona fede costituisce, quindi, strumento, per il giudice, atto a controllare, non solo lo statuto negoziale nelle sue varie fasi, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, ma anche a prevenire forme di abuso della tutela giurisdizionale latamente considerata (v. ad es. Cass. 3.12.2008 n. 28719; Cass. 11.6.2008 n. 15476).

Ora, il giusto equilibrio degli opposti interessi – il balancing test – attraverso il quale deve essere interpretata la clausola negoziale in esame non è stato effettuato dal giudice del merito che l’ha ritenuta tout court pienamente valida alla luce di una pregressa giurisprudenza di questa Corte richiamata, ormai superata dalla evoluzione del principio di buona fede quale canone generale e criterio di interpretazione costituzionalmente tutelato e riconosciuto dalla più recente giurisprudenza di legittimità.

In sostanza, ciò che si vuol dire è che la meritorietà della tutela, nella interpretazione della Corte di Cassazione, si è evoluta fino ad acquisire un ruolo determinante come ratio decidendi della controversia; nel senso che non può essere accordata protezione ad una pretesa priva di meritorietà. Ora, nella specie, una siffatta clausola di rinuncia a far valere l’eccezione di mancata consegna del veicolo a fronte della consegna diretta della somma dal mutuante al venditore e della clausola del contratto di mutuo secondo la quale questo s’intendeva perfezionato con la messa a disposizione del venditore dell’importo finanziato, deve, invece essere interpretata alla luce dei principi enunciati tenendo presente, da un lato, l’interesse del mutuante che avrebbe la possibilità di ripetere la somma dal venditore al quale l’aveva direttamente consegnata e, dall’altro, la condizione del mutuatario che, anche a fronte della mancata consegna del bene, dovrebbe continuare a restituire somme, mai percepite, ma entrate direttamente nella sfera di disponibilità del venditore favorito dalla diretta consegna, da parte del mutuante, della somma, pur senza avere adempiuto all’obbligazione di consegna dell’autovettura (v. anche Cass. 11.2.2011 n. 3392).

D’altra parte, nella specie, l’interpretazione della volontà negoziale – ai sensi degli artt. 1175 e 1375 – deve essere condotta alla luce degli evidenziati elementi di un collegamento negoziale in cui le condotte di buona fede delle parti s’inseriscono.

Questi sono i principi alla luce dei quali il giudice del rinvio dovrà esaminare la fattispecie in esame.

Conclusivamente, il ricorso è accolto nei termini di cui in motivazione, con l’assorbimento degli ulteriori profili.

La sentenza è cassata, e la causa rimessa alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

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