Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 18 novembre 2014, n. 24466
Svolgimento del processo
1. Il 3.11.1992 il giovane N.B., durante un allenamento al gioco del calcio, si appese con le mani alla traversa di una porta da calcio, amovibile e non assicurata al suolo. In conseguenza la porta si ribaltò, provocando la morte del giovane.
2. Nel 1999 i genitori (A.B. e R.P.) ed i fratelli (Ines B., Domenico B. e Nadia B.) della vittima convennero dinanzi al Tribunale di Saluzzo:
– la associazione sportiva PGS Auxilium (squadra presso cui era tesserata fa vittima);
– la Associazione Polisportive Salesiane, cui era affiliata la PGS Auxilium (tale domanda sarà poi rinunciata);
– la Federazione Italiana Giuoco Calcio (nei confronti della quale la pronuncia di primo grado non verrà appellata);
– G.M. (indicato quale proprietario della porta ribaltatasi);
– il Comune di Saluzzo (proprietario del campo dove si svolgeva l’allenamento).
Gli attori chiesero nei confronti di tutti i convenuti la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte di Nazzarino Bel lotti.
3. II Comune di Saluzzo chiamò in causa, per esserne manlevato, la Associazione Pallacanestro Saluzzo, alla quale assumeva aveva affidato per contratto la struttura sportiva.
4. Con sentenza 8.3.2005 il Tribunale di Saluzzo rigettò la domanda, ritenendo sussistere una colpa esclusiva della vittima, che tenne una condotta imprevedibile ed inevitabile.
5. La sentenza venne impugnata dai soccombenti.
La Corte d’appello di Torino, con sentenza 10.10.2007 n. 1538 ritenne che l’appello fosse:
(a) inammissibile, nella parte in cui censurava il rigetto della domanda nei confronti della Auxilium e di G.M., sia per l’inintelligibilità, sia per la non pertinenza dei motivi di doglianza rispetto alla effettiva ratio decidendi;
(b) infondato, nella parte in cui censurava il rigetto della domanda nei confronti del Comune di Saluzzo, perché fondato sul presupposto che la porta ribaltatasi “non era ancorata al suolo”, là dove non esisteva alcun obbligo legale o prudenziale di provvedere a tale ancoraggio.
6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai congiunti della vittima, sulla base di quattro motivi.
Hanno resistito con controricorso il Comune di Saluzzo e don Piero Angelo Bocco, ex presidente della disciolta PGS Auxilium.
Motivi della decisione
1. Questioni preliminari.
1.1. I ricorrenti hanno dichiarato, in calce alla memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., di avere rinunciato al ricorso nei confronti del Comune di Saluzzo, e che quest’ultimo ha consentito alla rinuncia, con compensazione delle spese.
L’amministrazione comunale, non depositando la memoria ex art. 378 c.p.c. e non comparendo alla pubblica udienza, ha tenuto una condotta processuale concludente che conferma l’allegazione dei ricorrenti. Il giudizio tra i ricorrenti ed il Comune di Saluzzo, previa separazione, va pertanto dichiarato estinto.
2. II primo motivo di ricorso.
2.1. Coi primo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assume violato l’art. 342 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe contraddittoria per avere la Corte d’appello ritenuto che l’impugnazione fosse nello stesso tempo in parte inammissibile, ed in parte infondata.
Il motivo di ricorso è concluso dal seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: “voglia la Corte stabilire se il giudicato che ritenga, contemporaneamente, in parte inammissibile ed in parte infondato l’atto d’appello non incorra in contraddittorietà della motivazione del dispositivo con conseguente nullità
della pronuncia ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p. c.’2.2. II motivo è inammissibile perché concluso da un quesito non pertinente.
I ricorrenti hanno infatti dedotto l’esistenza d’un vizio logico della motivazione (contraddittorietà).
Il motivo di ricorso denunciante un vizio logico della motivazione di cui all’art. 360 n. 5 doveva essere concluso – nel sistema processuale applicabile ratione temporis – non da un quesito di diritto, ma dalla “chiara indicazione del fatto controverso”, che nella specie manca.
Se fosse stato ammissibile, il motivo di ricorso sarebbe stato comunque manifestamente infondato: non vi è alcuna contraddizione, infatti, dinanzi ad un appello proposto nei confronti di più parti, ritenere il gravame inammissibile per difetto di specificità nella parte in cui si rivolge contro alcuni degli appellati, ed infondato nella parte in cui si rivolge contro altri, quando inammissibilità ed infondatezza derivino da ragioni diverse. Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto il gravame proposto contro il sig. M. e contro la Auxilium inammissibile perché non contenente oggettive censure alla ratio decidendi adottata dal primo giudice; mentre nei confronti del Comune l’ha ritenuto infondato per mancanza della ravvisabilità d’una colpa civile in capo al Comune: dunque nessuna contraddittorietà è anche solo immaginabile tra queste due statuizioni.
3. II secondo motivo di ricorso.
3.1. Anche col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assume violato l’art. 342 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello ha errato nel ritenere l’appello generico, perché tale non era.
3.2. II motivo è inammissibile.
I ricorrenti lamentano, nella sostanza, che la Corte d’appello avrebbe male interpretato e valutato il loro atto d’appello, ritenendo generico un gravame che invece era specifico.
E’ tuttavia noto che nel giudizio di legittimità la doglianza con cui si prospetta una erronea valutazione degli atti processuali da parte del giudice di merito, ed in particolare della specificità dei motivi d’appello, deve essere accompagnata dalla trascrizione nel ricorso dei motivi d’appello che si assume essere stati erroneamente ritenuti generici: ciò in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (esattamente in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012, Rv. 621100; Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006, Rv. 594136). Nel caso di specie non solo i ricorrenti non hanno trascritto nel ricorso le parti dell’atto d’appello che assumono essere state ingiustamente considerate generiche dalla Corte d’appello, ma nemmeno ne hanno riassunto o schematizzato il contenuto. Essi si sono limitati a trascrivere alcuni passi dell’atto d’appello (pag. 7-8 del ricorso) assolutamente insufficienti per consentire a questa Corte di stabilire se davvero l’atto d’appello fu generico; per poi proseguire (pp. 9-10 del ricorso) formulando censure attinenti al merito della decisione, e non alla chiarezza e specificità dei motivi d’appello.
Il motivo va dunque dichiarato inammissibile per violazione del principio di autosufficienza.
4. II terzo motivo di ricorso.
4.1. Anche nel terzo motivo di ricorso si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n. 3, c.p.c. (si assume violato ancora l’art. 342 c.p.c.); sia da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile l’appello, per due ulteriori ragioni:
– sia perché la specificità dei motivi d’appello si sarebbe dovuta valutare alla luce della complessità della causa, e tenendo conto delle precisazioni svolte nella comparsa conclusionale;
– sia perché l’affermazione della Corte d’appello, secondo cui nella comparsa conclusionale sarebbero state contenute allegazioni nuove, “era immotivata”.
4.2. II motivo è in parte inammissibile, ed in parte infondato.
4.2.1. E’ inammissibile nella parte in cui lamenta il vizio di motivazione, in quanto non concluso dalla “chiara indicazione del fatto controverso”, prescritta dall’art. 366 bis c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis.
4.2.2. E’, invece, infondato nella parte in cui assume che la specificità dei motivi d’appello debba essere valutata alfa luce delle spiegazioni fornite con la comparsa conclusionale, in quanto la tesi sostenuta dai ricorrenti confligge col risalente, pacifico ed uniforme orientamento di questa Corte, secondo cui “è necessario che l’atto di appello contenga tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, non essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti del giudizio, ovvero addirittura al deposito della comparsa conclusionale” (così Sez. 2, Sentenza n. 1924 del 27/01/2011, Rv. 616309; nello stesso senso, ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 6396 del 01/04/2004, Rv. 571713; Sez. 2, Sentenza n. 10401 del 30/07/2001, Rv. 548625).
5. II quarto motivo di ricorso.
5.1. Col quarto motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..
Espongono, al riguardo, che la sentenza d’appello sarebbe motivata in modo incongruo, nella parte in cui ha rigettato la domanda risarcitoria senza considerare le prove raccolte (in special modo, il regolamento della Federazione Italiana Giuoco Calcio e il contenuto della consulenza d’ufficio) dalle quali risultava l’esistenza dell’obbligo di ancorare al suolo le porte amovibili, e la violazione di tale obbligo nel caso di specie.
5.2. II motivo è inammissibile, per due indipendenti ragioni.
5.2.1. La prima ragione è che la Corte d’appello ha scisso le posizioni degli appellati:
(-) nei confronti della Auxilium (e quindi dei suo rappresentante, don P.A.B.) e dì G.M., il gravame venne dichiarato inammissibile per difetto di specificità;
(-) nei confronti del Comune di Saluzzo, invece, venne rigettato nel merito per insussistenza d’una colpa dell’amministrazione comunale. Gli odierni ricorrenti, come già rilevato, hanno rinunciato alla domanda nei confronti del Comune. Nei confronti degli altri appellati, invece, per effetto del rigetto dei primi tre motivi di ricorso è passata in giudicato la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il gravame: sicché diventa inutile in questa sede esaminare se vi è stata o meno una colpa del custode della cosa che fu causa del danno (la porta), perché anche se tale colpa vi fosse stata, la ormai conseguita definitività della pronuncia di inammissibilità dell’appello non consentirebbe di cassare la sentenza impugnata e ritornare all’esame del merito.
5.2.2. II quarto motivo di ricorso è altresì inammissibile per una seconda ed indipendente ragione.
Nel rigettare la domanda attorea nei confronti del Comune, la Corte d’appello ha ragionato così:
-) il Tribunale ha escluso la responsabilità dei convenuti, sul presupposto che gli ancoraggi delle porte servono ad evitare i ribaltamenti frontali (cioè causati dall’urto coi pallone);
-) nel caso di specie, invece, il ribaltamento avvenne a causa del dondolio impresso alla porta dalla vittima, che si era aggrappata con le mani alla traversa e si lasciava oscillare;
-) ergo, anche se ci fossero stati gli ancoraggi, la porta sarebbe caduta lo stesso.
-) quest’ultima affermazione del Tribunale non era stata censurata dagli appellanti (così la sentenza d’appello, pag. 12, primo capoverso). Questa essendo la ratio decidendi, il quarto motivo di ricorso non l’ha affatto censurata.
I ricorrenti si sono infatti doluti dell’omesso esame di prove dimostrative dell’assenza di ancoraggi della porta; ma la Corte d’appello non ha affatto detto che la porta fosse ancorata, né che non abbisognasse di ancoraggi: ha detto una cosa diversa, e cioè che anche se fosse stata ancorata, il sinistro si sarebbe verificato lo stesso a causa dell’uso improprio di essa da parte della vittima.
I ricorrenti dunque, lamentando il vizio di motivazione per omessa valutazione delle prova circa l’esistenza degli ancoraggi, hanno formulato una censura che anche se corretta non travolgerebbe la sentenza, la quale si fonda su un fatto materiale diverso da quello che si assume scorrettamente motivato.
6. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna A.B., R.P., Ines B., D. B. e N.B., in solido, alla rifusione in favore di P.A.B. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 3.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge.
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