Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 giugno 2015, n. 24974
Ritenuto in fatto
II Gip presso il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 28/9/2013, ha convalidato il provvedimento emesso, ex art. 6, co. 2, L. 401/89, dai Questore di Palermo in data 23/9/2013, notificato il 24/9/2013, con il quale è stato imposto a P.F. l’obbligo di presentazione all’autorità di P.S. in occasioni delle competizioni sportive che vedevano impegnata la Società Palermo Calcio.
Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la difesa dei F., con i seguenti motivi:
-violazione e falsa applicazione dell’art. 6 co. 3, L. 401/89, per vizio di motivazione dei decreto del p.m. e della ordinanza dei Gip in ordine ai presupposti di legge, alla pericolosità dei soggetto interessato, nonché in merito alle ragioni di necessità ed urgenza, giustificanti l’adozione della misura.
II Procuratore Generale presso questa Corte ha inoltrato in atti requisitoria scritta, nella quale conclude per la inammissibilità
Considerato in diritto
II ricorso è inammissibile.
II vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata ordinanza, consente di rilevare la logicità e la correttezza della argomentazione motivazionale, adottata dal decidente.
Orbene, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ( ex multis Cass. 11/12/2013, n. 972 ), la condotta contemplata dall’art. 6, L. 401/89 come presupposto per l’applicazione dell’obbligo di presentazione alla autorità di P.S. in occasioni di competizioni sportive, a seguito della introduzione della norma di cui all’art. 2 bis, L. 377/01, deve consistere in una specifica istigazione alla violenza nelle forme dell’incitamento, inneggiamento e induzione alla violenza medesima.
Nel caso di specie risulta pacifica addirittura la configurabilità di una ipotesi di reato a carico dei F., avendo egli rivolto espressa minaccia ad un operatore di Polizia, che effettuava videoriprese nell’ambito della doverosa attività di controllo, prima dell’inizio della competizione calcistica: infatti, le espressioni quali ” pezzo di sbirro te ne devi andare, esci fuori non sai come ti finisce” non possono che qualificarsi come istigazione diretta alla violenza, atteso il loro contenuto non meramente insultante o diffamatorio, ma specificamente ed effettivamente idoneo, avuto riguardo alle modalità ed al contesto in cui esse sono state pronunciate, ad incitare alla violenza e a turbare la tranquilla competizione sportiva.
Peraltro, tale minaccioso comportamento, posto in essere nei confronti delle forze dell’ordine, è stato assunto da un servitore dello Stato, essendo il ricorrente un ex caporalmaggiore dell’Esercito italiano, destituito dal servizio per l’insorgenza di problematiche conseguenti a malattia psichiatrica.
In ogni caso, dei tutto generiche ed aspecifiche si palesano le doglianze prospettate con i motivi di annullamento, avendo il giudice, in sede di convalida dei provvedimento questorile, compiutamente indicato i presupposti specifici su cui si fonda l’obbligo imposto al F..
Tenuto conto, di poi, della sentenza dei 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il F. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell’art. 616 cod.proc.pen., deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.
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