Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 gennaio 2015, n. 1991
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 599/2008 CORTE APPELLO di LECCE, del 21/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIOSI CHIARA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per annullamento senza rinvio perche’ il fatto non costituisce reato;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) di Lecce.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 599/2008 CORTE APPELLO di LECCE, del 21/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/10/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIOSI CHIARA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per annullamento senza rinvio perche’ il fatto non costituisce reato;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) di Lecce.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 21 ottobre 2011 e depositata in data 18 novembre 2013 la Corte d’appello di Lecce ha accolto l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Lecce e agli effetti civili dalla parte civile avverso sentenza del 11 dicembre 2007 con cui il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Gallipoli, aveva assolto (OMISSIS) dal reato di cui Legge n. 633 del 1941, articolo 171, comma 1, lettera e), perche’ il fatto non sussiste -reato che gli era stato contestato per avere quale titolare di un bar e per trarne un profitto ingiusto trasmesso, tramite un decoder digitale terrestre, una partita di calcio nel suo bar mediante l’utilizzo di una tessera (OMISSIS) abilitata esclusivamente alla visione di eventi sportivi in ambiti personali e domestici -, e ha quindi riformato la sentenza di primo grado e condannato l’imputato alla pena di quattro mesi di reclusione e euro 2000 di multa, oltre alle pene accessorie di legge.
2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione del Legge n. 633 del 1941, articolo 171 ter, lettera c).
I termini “ritrasmettere” e “diffondere” utilizzati dall’articolo 171 nelle diverse ipotesi di cui alle lettera da a) a d) sarebbero stati interpretati dal giudice d’appello con un significato difforme da quello lessicale. L’imputato, titolare di una smart card che lo autorizzava alla decodificazione presso la sua residenza, si sarebbe limitato ad avvalersi del dispositivo nel bar, presenziando personalmente alla visione, semplicemente senza vietarla agli avventori del bar.
Il secondo motivo denuncia violazione della stessa norma e vizio motivazionale anche in relazione all’articolo 192 c.p.p..
Non risulterebbe infatti l’elemento soggettivo, e in particolare la volonta’ dell’imputato di un qualsivoglia accrescimento patrimoniale.
2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione del Legge n. 633 del 1941, articolo 171 ter, lettera c).
I termini “ritrasmettere” e “diffondere” utilizzati dall’articolo 171 nelle diverse ipotesi di cui alle lettera da a) a d) sarebbero stati interpretati dal giudice d’appello con un significato difforme da quello lessicale. L’imputato, titolare di una smart card che lo autorizzava alla decodificazione presso la sua residenza, si sarebbe limitato ad avvalersi del dispositivo nel bar, presenziando personalmente alla visione, semplicemente senza vietarla agli avventori del bar.
Il secondo motivo denuncia violazione della stessa norma e vizio motivazionale anche in relazione all’articolo 192 c.p.p..
Non risulterebbe infatti l’elemento soggettivo, e in particolare la volonta’ dell’imputato di un qualsivoglia accrescimento patrimoniale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Occorre anzitutto rilevare che, allo stato attuale, il reato che e’ stato contestato all’imputato ha maturato nelle more la prescrizione. Essendo infatti stato accertato in Gallipoli il 12 febbraio 2006 e non essendosi verificati periodi di sospensione durante il processo il termine finale di prescrizione del delitto e’ stato raggiunto il 12 agosto 2013.
Per procedere all’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 1, peraltro, prima ancora di verificare l’assenza dei presupposti dell’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, deve considerarsi l’insegnamento della consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui puo’ condurre alla dichiarazione di prescrizione (anche d’ufficio) solo il ricorso idoneo a instaurare un nuovo grado di giudizio, vale a dire non affetto da inammissibilita’ originaria (ex multis S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n. 21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. 3 , 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca).
Per quanto appena osservato in ordine alla maturazione della prescrizione, allora, deve darsi atto che, laddove il primo motivo che il ricorso (esente da difetti di rito stricto sensu) propone non e’ dotato di consistenza poiche’ l’utilizzo del dispositivo in un luogo pubblico integra la condotta del “diffondere” che la Legge n. 633 del 1941, articolo 171 prevede come elemento oggettivo del reato, il secondo motivo, invece, che riguarda l’elemento soggettivo, non e’ privo di pregio in relazione alla attuale conformazione della giurisprudenza sul reato in esame. Esiste, invero, come richiama il ricorrente stesso nella esposizione del motivo, un orientamento di questa Suprema Corte (Cass. sez. 3 , 2 dicembre 2011-23 febbraio 2012 n. 7051, citata dal ricorrente; conforme Cass. sez. Ili, 24 novembre 2010 n. 45567) che esclude sia caratterizzato da fine di lucro l’elemento soggettivo qualora il titolare del dispositivo se ne avvalga per trasmettere un evento sportivo in un locale commerciale da lui gestito (cosi’, appunto, la piu’ recente Cass. sez. 3 , 2 dicembre 2011-23 febbraio 2012 n. 7051: “Non integra il reato previsto dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633, articolo 171 ter, comma 1, lettera c), per mancanza del fine di lucro, la diffusione in pubblico, da parte di un gestore di un “pub”, di un evento sportivo trasmesso dalla piattaforma a pagamento per la televisione digitale terrestre “(OMISSIS)” utilizzando un contratto di tipo domestico, posto che il fine di lucro non e’ ravvisabile nell’intento di far confluire nel locale un maggiore numero di clienti, in conseguenza della fruizione gratuita del servizio”). Tale interpretazione del fine di lucro non appare a questo collegio del tutto convincente, poiche’ e’ al contrario sostenibile che una siffatta utilizzazione sia oggettivamente idonea a provocare un aumento degli incassi del gestore, e quindi sia da intendersi logicamente diretta a tal fine, indipendentemente dal fatto, poi, che questo si sia realizzato nel concreto (realizzazione che dovrebbe poi ricondursi all’elemento oggettivo della fattispecie criminosa, laddove il dettato normativo, invece, non esige che il fine che connota l’elemento volitivo venga realmente raggiunto per pervenire alla consumazione del reato). La sussistenza nell’insegnamento nomofilattico della suddetta giurisprudenza, per quanto qui non condivisa (e non e’ insignificante che anche altri arresti si siano collocati su posizione difforme: Cass. sez. 3 , 12 febbraio 2008 n. 13812; Cass. sez. 3 , 25 gennaio 2007 n. 8073; Cass. sez. 3 , 17 maggio 2002 n. 31579), rende comunque non manifestamente infondato il motivo in esame, il che conduce, essendosi pertanto instaurato validamente il presente grado giurisdizionale, e non emergendo peraltro dagli atti elementi che possano giustificare l’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, (sotto questo profilo incidendo quanto appena osservato in ordine al dolo del reato), alla dichiarazione ex articolo 129 c.p.p., comma 1, della estinzione del reati contestato per maturata prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Per procedere all’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 1, peraltro, prima ancora di verificare l’assenza dei presupposti dell’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, deve considerarsi l’insegnamento della consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte per cui puo’ condurre alla dichiarazione di prescrizione (anche d’ufficio) solo il ricorso idoneo a instaurare un nuovo grado di giudizio, vale a dire non affetto da inammissibilita’ originaria (ex multis S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n. 21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. 3 , 10 novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca).
Per quanto appena osservato in ordine alla maturazione della prescrizione, allora, deve darsi atto che, laddove il primo motivo che il ricorso (esente da difetti di rito stricto sensu) propone non e’ dotato di consistenza poiche’ l’utilizzo del dispositivo in un luogo pubblico integra la condotta del “diffondere” che la Legge n. 633 del 1941, articolo 171 prevede come elemento oggettivo del reato, il secondo motivo, invece, che riguarda l’elemento soggettivo, non e’ privo di pregio in relazione alla attuale conformazione della giurisprudenza sul reato in esame. Esiste, invero, come richiama il ricorrente stesso nella esposizione del motivo, un orientamento di questa Suprema Corte (Cass. sez. 3 , 2 dicembre 2011-23 febbraio 2012 n. 7051, citata dal ricorrente; conforme Cass. sez. Ili, 24 novembre 2010 n. 45567) che esclude sia caratterizzato da fine di lucro l’elemento soggettivo qualora il titolare del dispositivo se ne avvalga per trasmettere un evento sportivo in un locale commerciale da lui gestito (cosi’, appunto, la piu’ recente Cass. sez. 3 , 2 dicembre 2011-23 febbraio 2012 n. 7051: “Non integra il reato previsto dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633, articolo 171 ter, comma 1, lettera c), per mancanza del fine di lucro, la diffusione in pubblico, da parte di un gestore di un “pub”, di un evento sportivo trasmesso dalla piattaforma a pagamento per la televisione digitale terrestre “(OMISSIS)” utilizzando un contratto di tipo domestico, posto che il fine di lucro non e’ ravvisabile nell’intento di far confluire nel locale un maggiore numero di clienti, in conseguenza della fruizione gratuita del servizio”). Tale interpretazione del fine di lucro non appare a questo collegio del tutto convincente, poiche’ e’ al contrario sostenibile che una siffatta utilizzazione sia oggettivamente idonea a provocare un aumento degli incassi del gestore, e quindi sia da intendersi logicamente diretta a tal fine, indipendentemente dal fatto, poi, che questo si sia realizzato nel concreto (realizzazione che dovrebbe poi ricondursi all’elemento oggettivo della fattispecie criminosa, laddove il dettato normativo, invece, non esige che il fine che connota l’elemento volitivo venga realmente raggiunto per pervenire alla consumazione del reato). La sussistenza nell’insegnamento nomofilattico della suddetta giurisprudenza, per quanto qui non condivisa (e non e’ insignificante che anche altri arresti si siano collocati su posizione difforme: Cass. sez. 3 , 12 febbraio 2008 n. 13812; Cass. sez. 3 , 25 gennaio 2007 n. 8073; Cass. sez. 3 , 17 maggio 2002 n. 31579), rende comunque non manifestamente infondato il motivo in esame, il che conduce, essendosi pertanto instaurato validamente il presente grado giurisdizionale, e non emergendo peraltro dagli atti elementi che possano giustificare l’applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, (sotto questo profilo incidendo quanto appena osservato in ordine al dolo del reato), alla dichiarazione ex articolo 129 c.p.p., comma 1, della estinzione del reati contestato per maturata prescrizione, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essersi il reato estinto per prescrizione
Leave a Reply