cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  16 gennaio 2014, n. 762

Svolgimento del processo

P.N. convenne, davanti al tribunale di Bolzano, la Baunconsulting Immobiliare sas di Gafriller Gunter & Co., G.G. ed N.H. chiedendone la condanna al pagamento della somma a lui dovuta per la intermediazione effettuata, nella propria qualità di intermediatore immobiliare, nella compravendita di un immobile tra i convenuti, la prima come venditrice e gli altri due quali comparatori.
I convenuti, costituitisi, contestarono il fondamento della domanda eccependo la mancanza di prova della qualifica di mediatore immobiliare in (OMISSIS).
Il tribunale, con sentenza del 2.11.2006, rigettò le domande per non avere l’attore provato di essere iscritto all’albo dei mediatori in Italia, condizione per legge indispensabile per potere avere diritto alla provvigione per l’intermediazione.
A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che, con sentenza del 5.1.2008, accolse l’appello del P. condannando gli appellati al pagamento della provvigione come quantificata in sentenza.
Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi la Baunconsulting Immobiliare sas di Gafriller Gunter & Co., G.G. ed N.H. .
Resiste con controricorso P.N. che ha anche proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi – principale ed incidentale – sono riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Gli stessi sono stati proposti per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I. Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso devono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, n. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass. 18.7.2007 n. 16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. S.U. 11.3.2008 n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n. 8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta – ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso -, una diversa valutazione, da parte del giudice di legittimità, a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione.
Nel primo caso ciascuna censura – come già detto – deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di, diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto, ovvero a dieta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso (c.d. momento di sintesi) – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. da ultimo Cass. 25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass. 18.11.2011 n. 24255).
Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione dell’art. 2 della legge 03.02.1989 n. 39 e falsa interpretazione ed applicazione del ” decreto Bersani bis”, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3, 6 e 8 della legge 03.02.1989 n. 39, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 15 delle disposizioni sulla legge in generale del codice civile e della legge 03.02.1989 n. 39, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1755 c.c. e 100 c.p.c. e omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
I motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi proposte, sono esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati nei termini e per le ragioni che seguono.
Secondo la formulazione letterale della norma di cui alla L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2, comma 4, l’iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione è richiesta per l’operatività del precetto di cui all’art. 6, comma 1, della stessa legge, secondo cui “hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli” “coloro che svolgono su mandato a titolo oneroso attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende“.
A tal fine, la norma dell’art. 2 L. n. 39 del 1989 citata, da un lato, prevede che “presso ciascuna Camera di Commercio, artigianato e agricoltura è istituito un ruolo degli agenti in affari in mediazione nel quale devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l’attività di mediazione, anche se esercitata in modo discontinuo o occasionale” comma 1, dall’altro prescrive che “per ottenere l’iscrizione nel ruolo gli interessati devono… tra l’altro aver superato un esame diretto ad accertare l’attitudine e la capacità professionale dell’aspirante in relazione al ramo di mediazione prescelto, oppure avere conseguita il diploma di scuola secondaria di secondo grado ed aver effettuato un periodo di pratica di almeno dodici mesi continuativi con l’obbligo di frequenza di uno specifico corso di formazione professionale”, comma 3, lett. e). Questa normativa è stata modificata dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, pubblicato in G.U. 23.4.2010, il quale, con la norma dell’art. 7, ha sì soppresso il ruolo di cui alla L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2 e successive modificazioni, ma non ha abrogato tale legge.
È stato, anzi, disposto che le attività disciplinate dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39, sono soggette a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio, competente per territorio, corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti. La Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura verifica il possesso dei requisiti e iscrive i relativi dati nel registro delle imprese, se l’attività è svolta in forma di impresa, oppure nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA) previsto dalla L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8 e dal D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581, art. 9, assegnando ad essi la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività, distintamente previste dalla L. 3 febbraio 1989, n. 39.
Il comma 6 della norma dell’art. 73 statuisce che “Ad ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella L. 3 febbraio 1989, n. 39, si intendono riferiti alle iscrizioni previste dal presente articolo nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA)”. Ciò comporta che, in assenza di abrogazione della L. n. 39 del 1989, art. 6, ma in presenza della sola soppressione del ruolo, la norma dell’art. 6 va letta nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal D.Lgs. n. 59 del 2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che sono iscritti nei registri o nei repertori tenuti dalla Camera di commercio secondo l’art. 73 cit..
Peraltro, nel caso in esame, la normativa di cui al D.Lgs. 26.3.2010, n. 59 non è neppure applicabile, posto che il decreto legislativo non contiene alcuna norma che lo renda applicabile anche ai rapporti già esauriti.
E ciò perché il principio della irretroattività della legge (art. 11 preleggi) – applicabile anche alle norme di diritto pubblico – preclude l’applicazione della nuova normativa, non soltanto ai rapporti giuridici già esauriti, (come è quello in esame) ma anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita, qualora gli effetti sostanziali scaturenti da detta normativa siano eziologicamente collegati con un fattore causale non previsto da quella precedente (Cass. 8.7.2010 n. 16147). Alla luce della ricostruzione normativa operata, è di tutta evidenza la fondatezza del rilievo, illustrato nel primo motivo del ricorso principale.
La Corte di merito ha erroneamente ritenuto che sussistesse il diritto alla provvigione da parte del P. sulla base della abolizione del ruolo di cui all’art. 2 L. n. 39 del 1989 ad opera del “cosiddetto Decreto Bersani Bis” – divenuto “nelle more del presente procedimento…. legge dello stato” – il quale avrebbe fatto venire meno la limitazione della iscrizione all’albo al fine di legittimare il diritto alla provvigione (art. 6 della L. citata).
Ora, sotto questo profilo, deve sottolinearsi che il D.L. 31.1.2007 (decreto Bersani bis), convertito in L. 2.4.2007 n. 40, non contiene alcuna norma in materia.
Diversamente, l’abolizione del ruolo era contenuta nel disegno di legge recante: “Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le attività produttive e commerciali, nonché interventi in settori di rilevanza nazionale”, il cui testo, approvato dalla Camera dei deputati il 13.6.2007 era stato trasmesso al Senato il 15.6.2007, ma era successivamente decaduto per lo scioglimento anticipato delle Camere.
La normativa richiamata, pertanto, non costituiva alcun criterio di riferimento, per essere, invece, applicabile esclusivamente quella di cui alla L. n. 39 del 1989.
Né le disposizioni della L. n. 39 del 1989 (artt. 2, 3, 6 e 8), che riservano ai soli iscritti al ruolo degli agenti di mediazione lo svolgimento di ogni attività di mediazione e prevedono la inesigibilità della provvigione in caso di mancanza di iscrizione, contrastano con il diritto comunitario.
Con riferimento all’eventuale contrasto della disciplina rispetto al principio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi, la Corte si è già pronunciata espressamente nel senso di negarlo in riferimento alla direttiva del Consiglio (CEE) n. 653/1986, essendo la stessa riferita ai soli agenti di commercio.
Si è, infatti, ritenuto che “La previsione del rifiuto di ogni tutela al mediatore non iscritto nel ruolo – secondo quanto stabilito dalla Legge Statale 3 febbraio 1989, n. 39 – non contrasta con la direttiva 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, giacché tale direttiva – che osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in apposito albo – non si rivolge al mediatore, il quale agisce in posizione di terzietà rispetto ai contraenti posti in contatto, a tale stregua differenziandosi dall’agente di commercio, che attua invece una collaborazione abituale e professionale con altro imprenditore“. (Cass. 5 giugno 2007, n. 13184; ribadito da Cass. 30 ottobre 2007, n. 22859 e da Cass. 26 marzo 2009, n. 7332).
Né la Corte di Giustizia, con riferimento a casi concernenti l’attività di mediazione, per gli affari immobiliari, si è mai pronunciato nel senso di un disfavore dell’ordinamento rispetto alla previsione di albi nazionali.
Infatti, occupandosi della direttiva 67/43/CEE, relativa all’attuazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività autonome attinenti: 1) al settore “Affari immobiliari (escluso il 6401)” (Gruppo ex 640 CITI), 2) al settore di taluni “Servizi forniti alle imprese non classificati altrove” (Gruppo 839 CITI), la Corte di Giustizia ha ritenuto che tale direttiva non osta ad una disciplina nazionale che riservi l’esercizio di determinate attività nel settore degli affari immobiliari a soggetti legalmente abilitati all’esercizio dell’attività di agente immobiliare (Sentenza del 28 gennaio 1992, in cause riunite C-330/90 d C-331/90, Sentenza del 25 giugno 1992, in C-147/91) (v. anche Cass. 10.5.2011 n. 10205; conf. 8.7.2010 n. 16147).
Conclusivamente, il ricorso è accolto sotto questo assorbente profilo; con la cassazione della sentenza ed il rinvio alla Corte di merito che esaminerà la fattispecie alla luce delle indicazioni fornite. Gli ulteriori profili di censura restano assorbiti.
Ricorso incidentale.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.).
Con il secondo motivo si denuncia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.).
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 e omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
L’esame del ricorso incidentale – che concerne profili relativi alla rilevanza di un’omessa prova per testi e della iscrizione del P. all’albo dei mediatori di Innsbruck, nonché sul regime delle spese – resta assorbito dalle conclusioni raggiunte in ordine al principale; con l’eventuale riproposizione delle censure al giudice del rinvio.
Conclusivamente, è accolto il ricorso principale nei termini indicati; ed è dichiarato assorbito l’incidentale.
La sentenza è cassata in relazione, e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano in diversa composizione.
Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Accoglie il principale nei sensi di cui in motivazione. Dichiara assorbito l’incidentale. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano in diversa composizione.

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