Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  14 novembre 2013 n. 25625

Svolgimento del processo

1. A seguito del prelevamento, da parte di P..R. , di titoli appartenenti alla comunione legale fra la medesima ed il coniuge R..M. per il valore di circa 175 milioni di lire, quest’ultimo otteneva dal Tribunale di Venezia un provvedimento di sequestro conservativo di titoli azionari in parte di proprietà esclusiva della R. e in parte della comunione legale fra i coniugi.
Con sentenza passata in giudicato il Tribunale di Venezia – davanti al quale era stato promosso il conseguente giudizio di merito – condannava la R. a ricostituire, ai sensi dell’art. 184, terzo comma, cod. civ., la comunione legale nello stato in cui si trovava prima del prelevamento o, in caso di impossibilità, al pagamento per equivalente.
A seguito di tale pronuncia, il M. promuoveva procedura di esecuzione forzata, davanti al Tribunale di Trieste, chiedendo che, previa applicazione dell’art. 686 cod. proc. civ., si procedesse alla vendita forzata delle azioni a suo tempo sottoposte a sequestro.
2. Avverso tale procedura proponeva opposizione all’esecuzione la R. e il Tribunale di Trieste, con sentenza del 13 aprile 2007, respingeva l’opposizione, condannando l’opponente alle spese di lite.
Osservava il Tribunale che l’esecuzione oggetto di opposizione trovava il proprio fondamento nel provvedimento di sequestro conservativo concesso dal Tribunale di Venezia.
Nel caso specifico, i coniugi R. – M. avevano acquistato, nel corso del matrimonio, fondi di investimento ed altri titoli per circa 350 milioni di lire, i quali, benché formalmente intestati alla moglie, dovevano ritenersi ricadenti nella comunione legale, in quanto proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi. Ne conseguiva che la R. , liquidando titoli per un valore di circa 175 milioni di lire, aveva compiuto un atto di straordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell’altro coniuge; di qui la decisione del Tribunale di Venezia di confermare il sequestro, con condanna della moglie alla ricostituzione della comunione nello status quo ante.
E poiché il sequestro conservativo, ai sensi dell’art. 686 cod. proc. civ., si converte ipso iure in pignoramento nel momento in cui il sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva, l’opposizione doveva essere rigettata, siccome infondata in fatto e in diritto.
3. Avverso la sentenza del Tribunale di Trieste propone ricorso P..R. , con atto affidato a due motivi.
Resiste R..M. con controricorso.
La ricorrente ha presentato memoria.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oltre a violazione dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ. per motivazione apparente.
La ricorrente, dopo aver riassunto le principali tappe processuali della vicenda, rileva che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento ai motivi dell’opposizione all’esecuzione proposta. Quest’ultima, infatti, si fondava sul rilievo per cui la sentenza del Tribunale di Venezia posta in esecuzione non conteneva affatto un ordine alla R. di pagare alcunché a favore del M. ; la R. era stata condannata a ricostituire la comunione fra coniugi, comunione che era divenuta ordinaria a seguito della separazione legale tra i medesimi. L’esecuzione della sentenza, quindi, poteva avere luogo solo assegnando i beni pignorati pro quota, senza che il M. potesse pretendere la vendita forzata dei titoli, poiché nella comunione, anche ordinaria, è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione.
Il Tribunale, pur dimostrando di avere contezza di tali argomentazioni nel provvedimento di sospensione dell’esecuzione in un primo tempo disposto, ha poi rigettato l’opposizione all’esecuzione con una motivazione del tutto apparente, in quanto non idonea a far comprendere le ragioni della decisione e senza tenere in alcun conto le prospettate ragioni di opposizione.
2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 184, 191, 192, 1108 e 2910 cod. civ., nonché dell’art. 491 del codice di procedura civile.
Rileva la ricorrente che l’esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale di Venezia implicava, a suo carico, l’obbligo di ricostituzione della comunione o, in caso di impossibilità, l’obbligo di pagamento dell’equivalente. Ora, la ricostituzione non poteva avvenire versando somme all’ex marito, ma solo versandole in favore della comunione; risulta, quindi, “paradossale” la pretesa del M. di pignorare le azioni che già appartengono alla comunione legale, allo scopo di ottenerne la vendita forzata con destinazione del ricavato alla medesima comunione.
3. I due motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente, sono fondati nei termini che ora verranno precisati.
3.1. È pacifico che il M. , ex coniuge della R. , aveva a suo tempo ottenuto un sequestro conservativo di azioni della s.p.a. Assicurazioni generali per un valore complessivo di lire 168.154.227, azioni appartenenti in parte alla R. ed in parte alla comunione legale (v. sentenza impugnata alla p. 3, senza contestazioni sul punto). La sentenza in esame aggiunge che il giudizio promosso dal M. nei confronti della R. si era concluso con una sentenza che condannava quest’ultima a ricostituire, ai sensi dell’art. 184, terzo comma, cod. civ., la comunione legale nello stato in cui si trovava prima del prelevamento o, in caso di impossibilità, al pagamento per equivalente.
Si può dunque affermare – alla luce di tali rilievi – che il M. aveva diritto di agire in executivis nei confronti della R. , sulla base del titolo costituito dalla sentenza del Tribunale di Venezia appena richiamata e nei limiti dello stesso; tale diritto, però, era finalizzato ad ottenere solo quanto il titolo stabiliva, ossia la ricostituzione della consistenza del patrimonio della comunione esistente tra gli ex coniugi, depauperata a causa dai prelievi compiuti dalla R. . Tale ricostituzione doveva avvenire tramite l’aggressione, da parte del creditore M. , del patrimonio individuale della debitrice, ma non allo scopo di venderlo per soddisfarsi sul ricavato, bensì allo scopo di ottenere che i beni della R. andassero a ricostituire, appunto, la consistenza della comunione nello status quo ante.
3.2. A fronte di simile situazione, la sentenza impugnata si snoda lungo due direttrici. Da un lato, essa si preoccupa di ricostruire le tappe che hanno portato il Tribunale di Venezia a pronunciare la sentenza che, come si è detto, costituisce il titolo esecutivo; dall’altro, si sofferma a lungo sulla natura del sequestro conservativo e sulla sua conversione in pignoramento, secondo la previsione dell’art. 686 del codice di rito.
Tali argomentazioni – in particolare quelle sulla conversione del sequestro conservativo – sono completamente inconferenti rispetto al thema decidendum del giudizio che il Tribunale di Trieste doveva compiere, che era appunto un giudizio di opposizione all’esecuzione.
Nella specie, è lo stesso Tribunale di Trieste a dare conto, come si è detto, del fatto che i beni aggrediti dal M. con il sequestro conservativo poi convertitosi in pignoramento non erano beni esclusivi della R. , ma anche, in parte, beni della comunione a suo tempo esistente tra gli ex coniugi. Ed il M. , alla p. 11 del controricorso, riconosce come pacifico che oggetto del sequestro, e poi dell’esecuzione, erano “anche 851 azioni delle Generali, acquistate prima del matrimonio dalla ricorrente, che non fanno parte della comunione e che quindi sono proprietà esclusiva di R.P. ”; con ciò ammettendo che sono stati oggetto di pignoramento anche beni che erano già parte della comunione.
Né assume alcuna importanza, al riguardo, stabilire se la comunione da ricostituire fosse la comunione legale tra coniugi o, invece, una comunione ordinaria, perché il problema della sorte ulteriorie di tali beni, ivi compresa l’eventuale divisione e successiva vendita, si porrà soltanto in un secondo momento, cioè quando la R. avrà reintegrato con propri beni la comunione, in esecuzione del giudicato del Tribunale di Venezia.
3.3. Risulta evidente, a questo punto, che la sentenza in esame contiene una motivazione apparente e parzialmente errata in diritto, perché non risponde in alcun modo alle contestazioni fatte valere dalla R. con l’atto di opposizione. In tale atto l’odierna ricorrente da un lato evidenziava che il M. non aveva diritto di ottenere la vendita forzata dei beni della R. allo scopo di incamerarne il ricavato, ma solo allo scopo di ricostituire il patrimonio della comunione; dall’altro poneva in luce l’evidente assurdità di procedere in esecuzione espropriando beni che erano già, almeno in parte, appartenenti alla comunione tra i coniugi.
4. In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata nei limiti di cui in motivazione.
Al Giudice di rinvio – che si designa nel medesimo Tribunale di Trieste, in diversa composizione personale spetterà il compito di decidere l’opposizione all’esecuzione proposta dalla R. valutando se, ed in quale misura, siano stati aggrediti anche beni già appartenenti alla comunione tra coniugi, che dovrà essere ricostituita con beni appartenenti esclusivamente alla R. ; entro tali limiti, infatti, dovrà essere circoscritta l’esecuzione sostenuta dal titolo.
Al Giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Trieste, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

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