cassazione 9

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 14 dicembre 2015, n. 49175

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRANCO Amedeo – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del tribunale della liberta’ di BARI in data 27/01/2015;

visti gli atti, il provvedimento denunziato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DI NARDO Marilia, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 27/01/2015, depositata in data 8/08/2015, il tribunale della liberta’ di BARI rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse dell’indagato (OMISSIS), avente ad oggetto l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal GIP presso il tribunale di Bari in data 24/06/2015; questi, in particolare, risulta indagato per il reato di cui all’articolo 73, e articolo 74, commi 1, 3 e 4, ed articolo 80, comma 1, lettera g), e comma 2, Testo Unico Stup., per i fatti meglio descritti nell’imputazione cautelare di cui al capo c), contestata in corso con altri soggetti.

2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), impugnando la predetta ordinanza con cui deduce cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p.:

a) manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al primo motivo di riesame in ordine all’assenza dei gravi indizi di colpevolezza (l’ordinanza impugnata sarebbe manifestamente illogica in quanto, dopo aver manifestato condivisione per quanto sostenuto nell’ordinanza genetica del GIP, avrebbe poi provveduto ad integrare ripetutamente la motivazione con elementi che sarebbero in contrasto con il teorema accusatorio, elementi indicati nelle esperienze detentive di (OMISSIS) – (OMISSIS), nelle dichiarazioni di tale (OMISSIS), nelle dichiarazione di tale (OMISSIS) da parte del (OMISSIS); dopo aver riportato integralmente i motivi di riesame, il ricorrente evidenzia che gli elementi a suo carico individuati dal GIP sarebbero stati individuati, da un lato, nel contenuto delle dichiarazioni dei due collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) e, dall’altro, nel rilevato possesso di sostanza stupefacente in qualche occasione; l’istanza di riesame avrebbe posto in crisi, a suo dire, l’impianto accusatorio al punto tale da costringere il tribunale della liberta’ a individuare elementi ulteriori a carico del ricorrente, ma finendo per rafforzare la tesi difensiva; gli unici elementi su cui vi sarebbe concordia tra le dichiarazioni dei due collaboratori sarebbero il riconoscimento dell’effigie del (OMISSIS) in una foto segnaletica e la conoscenza dello pseudonimo con cui il (OMISSIS) sarebbe chiamato, ossia (OMISSIS); i giudici avrebbero erroneamente ritenuto credibili le dichiarazioni del (OMISSIS) sul coinvolgimento del (OMISSIS) nel sodalizio sulla base di alcuni brevi periodi di detenzione dei due temporalmente coincidenti e sulla base di un non ricostruibile periodo di liberta’ per entrambi; illogica, sul punto, sarebbe la motivazione del tribunale della liberta’ laddove attribuisce valore alla circostanza che i due avrebbero frequentato gli stessi luoghi in un preciso arco temporale; altro elemento sarebbe costituito dall’introduzione da parte del tribunale della liberta’ delle dichiarazioni di tale (OMISSIS) che avrebbe incluso in sede di interrogatorio il (OMISSIS) tra gli affiliati alla clan Strisciuglio operante a (OMISSIS) vecchia; solo a quel punto i giudici della cautela avrebbero analizzato le dichiarazioni del collaboratore (OMISSIS) che dovrebbero costituire riscontro alle dichiarazioni (OMISSIS) che, diversamente, nell’interrogatorio reso in data 13/06/2013, di cui viene riportato uno stralcio, avrebbe smentito il (OMISSIS), avendo affermato che il (OMISSIS) avrebbe spacciato per conto di tale ” (OMISSIS) il (OMISSIS)” – e non per conto del (OMISSIS), come invece dichiarato dal (OMISSIS) – cosi’ lasciando intendere mediante il riferimento a tale (OMISSIS) di distinguere tra chi spacciava per l’uno e chi per l’altro; l’indipendenza tra il (OMISSIS) e “il (OMISSIS)” sarebbe confermata anche dalle dichiarazioni del (OMISSIS) richiamate dai giudici del riesame, di cui viene riportato uno stralcio, nonche’ dalle dichiarazioni dello stesso (OMISSIS) che avrebbe ribadito l’autonomia delle condotte del (OMISSIS) e del (OMISSIS) in sede di dichiarazioni rese in data 7/05/2013 di cui si riporta uno stralcio; inattendibili sarebbero quindi le dichiarazioni de relato che avrebbero la loro fonte nel narrato del (OMISSIS) (alias (OMISSIS) il (OMISSIS)), cio’ che confermerebbe la contraddittorieta’ tra le dichiarazioni dei collaboratori, cio’ ponendosi in contrasto con quanto invece sostenuto dal tribunale del riesame che avrebbe invece sostenuto che le presunte confidenze di (OMISSIS) il (OMISSIS) al (OMISSIS) sul fatto che il (OMISSIS) operasse per suo conto andavano interpretate come vendita di droga per il gruppo del (OMISSIS) di cui faceva parte anche il (OMISSIS) in quel frangente; dette affermazioni sarebbero illogiche a fronte di un quadro indiziario contraddistinto da contraddittorieta’, donde non sarebbe invocabile quella giurisprudenza che ritiene riscontrate reciprocamente le dichiarazioni dei due collaboratori poiche’, per giungere a tale conclusione, si deve comunque essere in presenza di dichiarazioni perfettamente concordanti tra loro; viene quindi tacciata di illogicita’ la conclusione cui perviene il tribunale della liberta’ a pag. 15 dell’ordinanza laddove sostiene che concordemente i collaboratori avrebbero indicato il (OMISSIS) come uno degli spacciatori del gruppo (OMISSIS) sconfessando la tesi difensiva che censurava la genericita’ delle accuse dei due collaboratori che avrebbero, secondo i giudici del riesame, fornito identiche indicazioni sul gruppo di appartenenza e sui compiti concretamente svolti, indicazioni verificate di persona o provenienti da fonti qualificate; infine, ininfluenti sarebbero, secondo il ricorrente, i riferimenti ai controlli del Borgo antico mai con coindagati tranne (OMISSIS) nonche’ i numerosi interventi repressivi e di controllo della PG a carico del (OMISSIS) che confermerebbero la sua storia risalente legata alla violazione della disciplina degli stupefacenti, elementi che gli stessi giudici del riesame avrebbero ritenuto circostanze non costituenti indizio anche perche’ riguardanti sostanze diverse dalla cocaina, trattata dal presunto sodalizio di cui all’imputazione, e non come vero e proprio riscontro negativo della tesi accusatoria);

b) mancanza di motivazione in relazione al secondo motivo di riesame circa l’assenza di esigenze cautelari nonche’ inosservanza dell’articolo 292, comma 2, lettera c), e dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, ultima parte, (il secondo, il terzo ed il quarto motivo, stante l’omogeneita’ e la connessione logica dei profili di doglianza mossi, possono essere congiuntamente illustrati; sostiene il ricorrente che l’esame delle esigenze cautelari lascia perplessi anche laddove il tribunale del riesame ha inteso integrare la generica e assai carente motivazione del GIP; dopo aver riportato i motivi di riesame sul punto, sostiene il ricorrente che la motivazione dell’ordinanza evidenzia come le esigenze cautelari sono state valutate con riferimento alla posizione del (OMISSIS) da parte del GIP che ha tenuto conto della personalita’ dell’indagato ai fini della prognosi richiesta dall’articolo 274 c.p.p.; sul punto, prosegue pero’ il ricorrente, il GIP con riferimento alla personalita’ dell’indagato avrebbe fatto esclusivo riferimento alla presenza di precedenti penali, venendo citato a pag. 78 dell’ordinanza come soggetto gia’ condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, indicazione che, da un lato, sostiene il ricorrente, sarebbe inidonea a soddisfare i requisiti minimi imposti dall’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c), nella nuova formulazione; dall’altro, le osservazioni inerenti la presenza del precedente penale che avrebbero il carattere di specificita’ mancante dal testo dell’ordinanza custodiale, dovrebbero riferirsi esclusivamente ai capi a) e b) della rubrica, al (OMISSIS) non contestati, essendo a questi contestato il solo capo c), rispetto al quale, la motivazione individuerebbe le esigenze cautelari nella continuita’ delle condotte contestate e nel fatto che gli associati sarebbero in gran parte in stato di liberta’ o, se ristretti, ove rimessi in liberta’ riprenderebbero a spacciare senza che rivesta alcuna deterrenza il periodo custodiale; infine, tutta la parte integrativa della motivazione operata dal tribunale del riesame non potrebbe sanare il vizio originario dell’ordinanza custodiale, come disposto dall’articolo 309 citato);

c) mancanza di motivazione in relazione al terzo motivo di riesame in ordine alla violazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3 bis, (dopo aver riportato il terzo motivo proposto in sede di riesame, il ricorrente si duole dell’omessa motivazione anche grafica sul punto, difettando qualsiasi valutazione rispetto alle osservazioni riguardanti la possibilita’ di concedere gli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico, motivazione mancante gia’ nell’ordinanza genetica).

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ fondato solo in relazione alla censura relativa all’idoneita’ o meno della misura del ed. braccialetto elettronico.

4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di “elevata probabilita’ di colpevolezza”, tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiche’ di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi gia’ acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).

La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la liberta’ personale e a sottolineare l’eccezionalita’ delle misure restrittive della stessa.

Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela e’ evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare. L’articolo 292 c.p.p., come modificato dalla Legge n. 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell’accusato (comma 2, lettera c) e c bis).

5. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per “gravi indizi di colpevolezza” devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per se’ a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilita’ dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilita’, fondando nel frattempo una qualificata probabilita’ di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).

A norma dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601). Si e’, al riguardo, affermato che, se la qualifica di gravita’ che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilita’, del potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, e’ problema diverso quello delle regole da seguire, in sede di apprezzamento della gravita’ indiziaria ex articolo 273 c.p.p., per la valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598).

Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

6. Si e’, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimita’ e’ limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano

l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

7. Il detto limite del sindacato di legittimita’ in ordine alla gravita’ degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685).

8. Premesso quanto sopra – e osservato che il perimetro del sindacato di questa Corte e’ delimitato dall’impugnazione rivolta in ordine sia alla ritenuta sussistenza dell’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, lettera e), cod. proc. pen., sia nella parte in cui l’ordinanza conferma la misura emessa dal GIP sotto il profilo della ritenuta configurabilita’ del fumus del reato per cui si procede – ritiene il Collegio che i motivi non meritino accoglimento.

9. Quanto al primo motivo di ricorso, con cui si censura il vizio di manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al primo motivo di riesame in ordine all’assenza dei gravi indizi di colpevolezza, al fine di evidenziarne l’infondatezza manifesta e la genericita’, e’ sufficiente qui rilevare quanto segue.

L’ordinanza impugnata – dopo aver riassunto gli elementi indiziari raccolti in fase investigativa a sostegno dell’esistenza dell’associazione armata finalizzata alla commissione di piu’ reati in materia di stupefacenti del tipo cocaina, eroina ed hashish, composta da almeno 10 persone, nonche’ della sussistenza di plurimi episodi di cessione a terzi delle medesime sostanze anche all’interno di strutture carcerarie, trattandosi peraltro di ingenti quantita’ di sostanze stupefacenti (v. pagg. 2/10, alla cui lettura si rimanda non costituendo oggetto di contestazione l’esistenza del sodalizio quanto, piuttosto, avuto riguardo al tenore dell’impugnazione proposta in questa sede, la questione della partecipazione del (OMISSIS) al sodalizio medesimo) -, passa ad esaminare dalla pag. 11 a seguire il ruolo specifico del ricorrente, evidenziando che della sua partecipazione al sodalizio guidato dal (OMISSIS) avrebbero riferito i due collaboratori (OMISSIS) e (OMISSIS) che lo avrebbe riconosciuto nei loro interrogatori, indicandolo entrambi col soprannome di “(OMISSIS)” in cui questi e’ conosciuto negli ambienti criminali; sul punto, l’ordinanza richiama quanto dichiarato dal collaboratore (OMISSIS), che indica il (OMISSIS) quale addetto allo spaccio della cocaina per conto del (OMISSIS), chiarendo come il predetto collaboratore, unitamente al (OMISSIS) avrebbero condiviso un’esperienza detentiva temporalmente coincidente presso la casa circondariale di (OMISSIS) in alcuni periodi, cio’ che consentirebbe di evidenziare come il (OMISSIS) sarebbe stato libero sino al 5/04/2011 nonche’ nell’arco temporale 29/08/2011 – 5/04/2011, periodi in cui anche il (OMISSIS) era in stato di liberta’; cio’ avvalorerebbe, secondo i giudici del riesame, le dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), in quanto dimostra che i due poterono frequentare gli stessi luoghi in un preciso arco temporale che coincide con il primo anno di vita dell’associazione; il tribunale, a conforto del coinvolgimento del (OMISSIS) nei traffici associativi criminali, richiama poi le dichiarazioni rese da altro collaboratore, il (OMISSIS), che ha dichiarato come il (OMISSIS) fosse affiliato al clan Strisciuglio operante a Bari vecchia, elemento questo che confermerebbe la frequentazione tra il ricorrente e gli altri associati e fra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) anche nel periodo antecedente al 2011 cui si riferiscono le dichiarazioni del (OMISSIS); terza fonte dichiarativa valorizzata dall’ordinanza impugnata e’ quella rappresentata dal collaboratore (OMISSIS) che nel corso dell’interrogatorio avrebbe indicato quale spacciatore di ” (OMISSIS) il (OMISSIS)” (alias (OMISSIS)) proprio il “(OMISSIS)”, soprannome del ricorrente, descrivendo analiticamente la figura del (OMISSIS) quale irriducibile del gruppo di Bari vecchia del clan Strisciuglio, come confermato dal altro collaboratore, tale (OMISSIS); i giudici del riesame, peraltro, tornando al tema del riscontro offerto dal (OMISSIS) alle precise dichiarazioni accusatorie del (OMISSIS), pervengono alla conclusione che all’uscita dal carcere dopo un lungo periodo di detenzione e nel lasso di tempo in cui era rimasto libero, dal giugno 2012 al maggio 2013, il (OMISSIS) si era avvicinato al gruppo capeggiato dal (OMISSIS) dedito al traffico di stupefacenti, pur restando affiliato agli Strisciuglio, avvertendo l’esigenza di avere disponibilita’ economiche che non derivassero dalla divisione dell’ordinario clan, scegliendo di far parte del gruppo (OMISSIS) che condivideva con lui lo stesso legame con la casa madre di (OMISSIS) e, pur se malvolentieri, allineandosi alla strategia delineata dal (OMISSIS) di spacciare sullo stesso territorio senza entrare in contrasto con altri gruppi; si legge nell’ordinanza impugnata (v. pag. 14) che fu in quel frangente temporale che il (OMISSIS) ebbe rapporti con il (OMISSIS) essendosi il primo rifugiato a (OMISSIS) dopo l’attentato subito il (OMISSIS) venendo messo al corrente delle modalita’ di gestione del traffico di droga, dei gruppi criminali che se ne occupavano, delle affiliazioni ed alleanze, ricevendo la precisa indicazione da parte del (OMISSIS) che il (OMISSIS) spacciava per suo conto, indicazione che il tribunale della liberta’ interpreta come vendita di droga per il gruppo del (OMISSIS) cui faceva capo in quel frangente anche il (OMISSIS). Cosi’ ricapitolato in fatto il coacervo delle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori, i giudici del riesame passano poi a valutarne processualmente la idoneita’ probatoria nei confronti del (OMISSIS) richiamando il principio della riscontrabilita’ reciproca delle dichiarazioni rese dai collaboranti chiamanti in correita’, pervenendo ad affermare che le dichiarazioni lineari, coerenti e convergenti dei collaboratori nel caso in esame si riscontrano reciprocamente, in quanto provenienti da soggetti che, anche autoaccusandosi di gravi fatti-reato, hanno fornito altri importanti elementi a loro volta oggetto di puntuale riscontro, in ordine, ad esempio, alla struttura organica, ai ruoli ricoperti, ai reati-scopo prediletti, ai territori di influenza, illustrando le ragioni della loro scelta collaborativa; nella specie, si legge nell’ordinanza impugnata (v. pag. 15) i collaboratori hanno indicato il (OMISSIS) come uno degli spacciatori del gruppo Milloni attivo sulla piazza di (OMISSIS), cio’ sconfessando la tesi difensiva che aveva ritenuto generiche le accuse rivolte dai due chiamanti che, invece, hanno dato identiche indicazioni sul gruppo di appartenenza e sui compiti concretamente svolti, indicazioni verificate di persona o provenienti da fonti qualificate; a cio’ si aggiunge, poi, una serie nutrita di controlli del (OMISSIS) in compagnia di altri pregiudicati, eseguiti nella zona della citta’ vecchia di (OMISSIS) ove avveniva lo spaccio, nell’arco temporale (OMISSIS), nonche’ i numerosi interventi repressivi (di cui peraltro lo stesso tribunale del riesame esclude la rilevanza quale riscontro in senso tecnico) e di controllo della P.G. eseguiti tra il 2009 ed il 2013 a carico del (OMISSIS), da cui si ricaverebbe come il medesimo ha una risalente e continuativa storia legata proprio alla violazione delle disciplina in materia di stupefacenti.

10. A fronte di tale apparato argomentativo, il ricorrente svolge censure con cui il medesimo si duole della presunta illogicita’ manifesta della motivazione nella conferma del quadro indiziario a carico del (OMISSIS) per aver, anzitutto, integrato la motivazione dell’ordinanza genetica con elementi che sarebbero in contrasto con il teorema accusatorio (elementi indicati nelle esperienze detentive di (OMISSIS) – (OMISSIS), nelle dichiarazioni di tale (OMISSIS), nelle dichiarazioni del (OMISSIS) da parte del (OMISSIS)). La censura viene sviluppata attraverso il richiamo di stralci di dichiarazioni rese dai tre collaboratori ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS)) che, raffrontate con le argomentazioni dell’ordinanza, farebbero emergere l’esistenza di profili di contraddittorieta’ tra le dichiarazioni medesime che si riverbererebbero sulla motivazione dell’ordinanza impugnata, rendendola manifestamente illogica.

Sul punto evidenzia il Collegio che l’impugnazione proposta debba dichiararsi generica e manifestamente infondata in quanto, con il ricorso, il (OMISSIS), piu’ che prospettare un vizio di motivazione, chiede a questa Corte di operare una (ri)valutazione in fatto di quanto emerso dalle dichiarazioni dei collaboranti al fine di dimostrare l’estraneita’ del (OMISSIS) rispetto al sodalizio, nel senso di escludere che questi possa ritenersi come uno degli spacciatori del gruppo del (OMISSIS).

Diversamente, il giudice del riesame ha sottoposto a valutazione proprio quegli elementi su cui il ricorrente fonda l’impugnazione di legittimita’, ritenendo che agli stessi potesse essere attribuita quella rilevanza necessaria per valutare in senso affermativo sia la sussistenza della gravita’ indiziaria quanto al coinvolgimento del ricorrente nel sodalizio criminoso in questione che, come si vedra’, anche dell’esigenza cautelare richiamata che dell’adeguatezza della misura custodiale detentiva carceraria.

Anzitutto, deve rilevarsi che la questione della presunta contraddittorieta’ del dichiarato dei tre collaboratori che sarebbe stato poi non correttamente valutato dal tribunale del riesame rendendo illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata soffre di un vizio originario, non altrimenti superabile.

Il ricorrente, infatti, a sostegno della tesi difensiva, intende dimostrare tale contraddittorieta’ impiegando la tecnica dello “stralcio” delle dichiarazioni, ossia estrapolando singole frasi dagli interrogatori dei collaboratori per poi attribuire alle stesse un significato coerente con il proprio assunto, nell’intento di far

apparire illogico il percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata.

Si tratta di operazione purtroppo frequente, soprattutto nelle impugnazioni di legittimita’ proposte in fase cautelare, che tuttavia non tiene conto dei limiti cognitivi di questa Corte, giudice di legittimita’ e non terzo giudice del fatto, cui troppo spesso viene richiesto di svolgere apprezzamenti di fatto, dimenticando che cio’ esula dalla cognizione della Suprema Corte. Ed invero, deve qui essere ribadito ancora una volta che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volonta’ del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilita’ di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207944). Sul punto, poi, questa Corte nella sua massima espressione, ha chiarito che l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciarle, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794): dunque compito di questa Corte e’ riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003 – dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074). Il controllo di legittimita’ non concerne, infatti, ne’ la ricostruzione dei fatti, ne’ l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilita’ delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze gia’ esaminate dal giudice di merito: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014 – dep. 19/11/2014, Contarini, Rv. 261400).

A cio’, poi, va aggiunta un’ulteriore considerazione.

La tecnica del richiamo “a stralcio” delle dichiarazioni al fine di far rilevare il vizio di manifesta illogicita’ sotto il profilo, non espresso ma evidente dal tenore dell’impugnazione, del travisamento della prova dichiarativa impone pur sempre in questa sede il rispetto del principio della ed. autosufficienza del ricorso. Ed invero, e’ stato ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione,

sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericita’, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicita’ o di contraddittorieta’ della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell’atto processuale al fine di trarre rafforzamento dall’indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (da ultimo, v.: Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 – dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601). E’ di palmare evidenza come, nel caso in esame, la tecnica espositiva impiegata dal ricorrente, basata sullo stralcio delle dichiarazioni dei collaboratori seguita dal loro raffronto con le argomentazioni dell’ordinanza impugnata al fine di tentare di dimostrarne l’illogicita’, non coglie nel segno e non sfugge alle censure di genericita’ e di mancato rispetto del principio di autosufficienza.

11. Puo’ quindi, procedersi all’esame del secondo, terzo e quarto motivo gia’ illustrati congiuntamente e che meritano esame contestuale per le ragioni dianzi esplicitate. La doglianza verte sulla presunta mancanza di motivazione sul motivo del riesame vertente sull’assenza delle esigenze cautelari, nonche’ per la presunta violazione della legge processuale (articolo 292, comma 2 e 309, comma 9, cod. proc. pen.).

Sul punto, al fine di rilevare l’infondatezza dei predetti motivi di ricorso, e’ sufficiente richiamare quanto esposto nella motivazione dell’ordinanza impugnata. Ed infatti, quanto all’esigenza cautelare di cui alla lettera c) dell’articolo 274 cod. proc. pen., i giudici hanno osservato che, anche tenuto conto della personalita’ dell’indagato gia’ valutata dal GIP ai fini della prognosi richiesta dall’articolo 274 cod. proc. pen., i caratteri della concretezza e dell’attualita’ fossero ravvisabili in relazione al pericolo di reiterazione criminosa, desumibile dalle modalita’ organizzative ed attuative del reato sub c), indicative di capacita’ delinquenziali, di assenza di remore, e di una riprovevole personalita’ incline a procurarsi dal crimine i mezzi per vivere; evidenziano, ancora, i giudici del riesame come i fatti sono contestati all’attualita’, attestando l’indagine la continuita’ delle attivita’ illecite del gruppo di riferimento, oltre che del (OMISSIS) che ha ceduto sostanza stupefacente anche nel 2013; concludono, pertanto, i giudici della cautela che l’estrema gravita’ dei fatti monitorati, in considerazione del titolo di reato per cui si procede e della stabile dedizione del (OMISSIS) al narcotraffico come emergente dalle dichiarazioni dei collaboratori, si accompagna un giudizio negativo che investe la personalita’ dell’indagato, come emergente dai fatti contestati, segnatamente dall’aver partecipato ad un’associazione con complici plurirecidivi per gravissimi reati, anche in materia di armi.

Trattasi di argomentazioni che escludono, anzitutto, il denunciato vizio di mancanza della motivazione, quanto al presunto silenzio sulle esigenze cautelari; la censura sollevata dal ricorrente infatti, da un lato, richiama quanto argomentato dal GIP in punto di esigenze cautelari, che valorizza il grave precedente penale a carico del (OMISSIS) in quanto gia’ condannato per il delitto di cui all’articolo 416 bis c.p., cio’ che non sarebbe idoneo a soddisfare i requisiti minimi imposti dall’articolo 292 c.p.p., comma 2, lettera c).

Orbene, tale ultima disposizione, nella attuale stesura da ultimo modificata dalla Legge 16 aprile 2015, n. 47, articolo 8, comma 1, prevede che l’ordinanza del GIP deve contenere “c) l’esposizione e l’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato”. Nello specifico tanto in riferimento agli indizi cautelari e alle esigenze cautelari, quanto in relazione alla irrilevanza degli elementi forniti a discarico dalla difesa e alle specifiche esigenze che non consentono di ricorrere ad una misura meno afflittiva rispetto alla custodia in carcere, e’ oggi richiesta una “autonoma valutazione” di detti elementi.

Sul punto, l’ordinanza del tribunale del riesame, non soltanto si limita a richiamare quanto argomentato dal GIP condividendolo in ordine alla valutazione del GIP sulla personalita’ dell’indagato ai fini della prognosi richiesta dall’articolo 274 c.p.p., ma provvede con sviluppo argomentativo autonomo a lumeggiare i caratteri della concretezza e dell’attualita’ dell’esigenza cautelare, dunque integrando la motivazione del GIP in punto di esigenze cautelari.

Osserva il Collegio come la novella recentemente introdotta al comma 9 dell’articolo 309 c.p.p., modificato dalla Legge 16 aprile 2015, n. 47, articolo 11, comma 3, secondo cui “Il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”, non ha fatto venir meno il potere del giudice del riesame di integrare la motivazione dell’ordinanza genetica laddove, ovviamente, si tratti di integrazione propriamente detta e non di colmare una lacuna motivazionale qualificata dalla stessa novella del 2015 in termini di assenza di motivazione o di assenza dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari. Nella specie, in particolare, i giudici del riesame hanno confermato la validita’ del ragionamento svolto dal primo giudice quanto alla sussistenza dell’esigenza cautelare richiamata, aggiungendo ulteriori specificazioni in punto di attualita’ e concretezza di tale esigenza, cosi’ completando l’apparato motivazionale sul punto delle esigenze cautelari.

Orbene, va qui ricordato che la natura ed il carattere totalmente devolutivo del mezzo di impugnazione costituito dal riesame contro il provvedimento coercitivo genetico riverbera particolari effetti anche in ordine all’apparato razionale della decisione in parola. Allorquando, come nel caso in esame, tale decisione sia di conferma del provvedimento impugnato, la giurisprudenza ha da tempo chiarito

che “in tema di motivazione dei provvedimenti sulla liberta’ personale, l’ordinanza applicativa della misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro strettamente collegate e complementari, sicche’ la motivazione del tribunale del riesame integra e completa l’eventuale carenza di motivazione del provvedimento del primo giudice, e viceversa” (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996 – dep. 03/07/1996, Moni, Rv. 205257). Cio’ si spiega laddove si consideri che il tribunale del riesame, a fronte di un difetto di motivazione del provvedimento applicativo della misura coercitiva, deve porvi rimedio con le necessarie integrazioni e non annullare il provvedimento, perche’ solo al giudice di legittimita’ e’ dato il potere di pronunciare l’annullamento per difetto di motivazione (Sez. 3, n. 15416 del 02/02/2011 – dep. 15/04/2011, P.M.T. in proc. D’Agostino, Rv. 250306), salvo che la motivazione del provvedimento genetico sia radicalmente assente o meramente apparente, dovendo, in tali ipotesi, essere rilevata la nullita’ del provvedimento impugnato per violazione di legge (v., tra le tante, da ultimo: Sez. 2, n. 12537 del 04/12/2013 – dep. 17/03/2014, Susassi, Rv. 259554).

Trattasi di principi che, a giudizio del Collegio, mantengono la loro attualita’ anche a seguito della novella del 2015, che, a ben vedere, rispetto al regime previgente, ha semplicemente trasfuso in norma positiva quanto gia’ la giurisprudenza di questa Corte aveva avuto modo di esplicitare nell’esegesi del previgente testo normativo dell’articolo 309 c.p.p., comma 8, nel senso di imporre al giudice del riesame l’esercizio del potere di annullamento in caso di “motivazione mancante” o nel caso in cui l’ordinanza genetica “non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa”. Tertum genus non datur: il che, in altri termini, altro non significa che consentire al tribunale del riesame la potesta’ di integrare la motivazione dell’ordinanza genetica in tutte le altre ipotesi, tra cui rientra quella in esame, ossia, a tutto voler ammettere, una situazione di motivazione carente od insufficiente ma non certo mancante ne’ apparente ne’ tantomeno inficiata dalla mancata autonoma valutazione delle esigenze cautelari da parte del primo giudice. Trattasi di valutazione del resto condivisa anche dalla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, successiva all’entrata in vigore della novella del 2015, essendosi infatti affermato che la normativa introdotta con la Legge n. 47 del 2015, nella parte in cui modifica le disposizioni in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, di cui agli articoli 292 e 309 c.p.p., non ha carattere innovativo, ma adegua la formulazione delle norme alla preesistente giurisprudenza di legittimita’ che ha ritenuto necessario che la ordinanza di custodia cautelare abbia comunque un chiaro contenuto indicativo della concreta valutazione della vicenda da parte del giudicante (Sez. 6 , n. 40978 del 5/09/2015 – dep. 12/10/2015, non massimata).

Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto:

“In tema di motivazione dei provvedimenti sulla liberta’ personale, la normativa introdotta con la Legge n. 47 del 2015, nella parte in cui modifica le disposizioni in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, di cui agli articoli 292 e 309 c.p.p., non ha carattere del tutto innovativo, ma adegua la formulazione delle norme alla preesistente giurisprudenza di legittimita’, prevedendosi oggi l’obbligo del giudice del riesame di esercitare il potere di annullamento dell’ordinanza genetica in caso di motivazione mancante/apparente o nel caso in cui la stessa non contenga l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa; ne consegue che, al di fuori di tali ipotesi, resta fermo che la motivazione dell’ordinanza che decide sulla richiesta di riesame, atteso lo stretto collegamento e la complementarieta’ esistente con quella genetica, integra e completa l’eventuale carenza o insufficienza della motivazione del provvedimento del primo giudice”.

Ne discende, pertanto, l’infondatezza del relativo motivo di gravame.

12. Quanto, poi, alla residua censura esposta nel quinto motivo avente ad oggetto la presunta violazione della legge processuale costituita dall’articolo 275 c.p.p., comma 3 bis, in punto di adeguatezza della misura cautelare applicata, rilevandosi un vizio di omessa valutazione quanto alla possibilita’ di concedere gli arresti domiciliari con il c.d. braccialetto elettronico, osserva il Collegio quanto segue.

L’ordinanza impugnata, sul punto, motiva ritenendo idonea, in quanto proporzionata all’assoluta gravita’ del caso di specie ed all’elevata pena irrogabile, nonche’ adeguata ad arginare la predetta esigenza cautelare la misura detentiva carceraria, non rinvenendosi nella personalita’ del ricorrente elemento alcuno da cui desumere profili denotanti capacita’ di autocontrollo e di spontaneo rispetto, da parte del medesimo, delle prescrizioni connaturate alla restrizione domiciliare; a specificazione della inidoneita’ della misura degli arresti domiciliari, i giudici del riesame rilevano come il (OMISSIS) ha riportato condanne definitive per reati in materia di armi, per partecipazione ad associazione di tipo mafioso e per ben tre violazioni della misura di prevenzione a lui comminata, due nel 2008 ed una nel 2009; si aggiunge, infine, che al mantenimento della misura custodiale non osta il nuovo disposto dell’articolo 275 c.p.p., comma 2 bis, come sostituito dal Decreto Legge n. 92 del 2014, atteso che la pena da applicarsi e quella da eseguire risultera’ sicuramente superiore ai tre anni di reclusione alla luce della cornice edittale della pena, della gravita’ dei fatti e della pluralita’ delle contestazioni.

A fonte di tale apparato argomentativo in punto di proporzionalita’ ed adeguatezza della misura custodiale detentiva carceraria, la difesa svolge censura di omessa motivazione circa la presunta violazione di legge non avendo argomentato i giudici del riesame (e, prima ancora, il giudice dell’ordinanza genetica) circa la possibilita’ di applicazione del ed. braccialetto elettronico.

La censura e’ fondata.

Ed infatti, la recente Legge 16 aprile 2015, n. 47, recante “Modifiche al codice di procedura penale in materia di misure cautelari personali. Modifiche alla Legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da handicap in situazione di gravita’”, e’ intervenuta mediante gli articoli 3 e 4 sulla norma in commento operando su vari aspetti. Per quanto qui di interesse, in particolare, si prevista la specifica considerazione degli arresti domiciliari unitamente al c.d. braccialetto elettronico quale strumento per scongiurare la massima privazione della liberta’, obbligando il giudice a motivare circa l’inidoneita’ dei predetti arresti domiciliari “aggravati”.

Nel caso di specie, l’articolo 275 c.p.p., nuovo comma 3 bis, inserito dalla Legge 16 aprile 2015, n. 47, articolo 4, comma 3, prevede infatti che “Nel disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis, comma 1”.

Nel caso in esame i giudici del riesame, prima ancora, il gip non risultano aver assolto all’obbligo motivazionale indicato dalla norma processuale in esame, limitandosi solo a chiarire le ragioni dell’inadeguatezza degli arresti domiciliari “semplici” a salvaguardare l’esigenza cautelare richiamata, senza tuttavia argomentare in ordine all’inidoneita’ a fronteggiare la predetta esigenza cautelare mediante la predetta misura domiciliare “aggravata”.

L’assenza di motivazione sul punto, impone l’annullamento in parte qua dell’ordinanza impugnata, con rinvio al tribunale della liberta’ per rimediare al predetto vuoto motivazionale.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente all’omessa motivazione sull’idoneita’ o meno della misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis c.p.p., comma 1, e rinvia al tribunale di BARI, sezione del riesame.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia tramessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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