Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 13 febbraio 2015, n. 2847

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27015/2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) entrambi personalmente e nella qualità di esercenti la patria potestà sulla figlia minore (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;
(OMISSIS) (OMISSIS) in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
AZIENDA UNITA’ SOCIO SANITARIA 18 DI ROVIGO (OMISSIS) SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1275/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 01/06/2013, R.G.N. 2774/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 14 giugno 2003 (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla piccola (OMISSIS), convennero innanzi al Tribunale di Rovigo (OMISSIS), (OMISSIS), l’Azienda ULSS (OMISSIS) di Rovigo e la (OMISSIS), per ivi sentirne accertare la responsabilità in ordine alla nascita della figlia, affetta da sindrome di Down, con conseguente condanna degli stessi al risarcimento dei danni.
Esposero che i predetti professionisti, l’uno medico curante della madre, e l’altra ginecologa, nonché moglie del (OMISSIS), non avevano adempiuto all’obbligo di fornire ai genitori una adeguata informazione; che, in particolare, il (OMISSIS), pure a fronte di espressa richiesta di rilascio di impegnativa per amniocentesi o per ulteriori o differenti esami volti a conoscere l’esistenza di anomalie o malformazioni del feto, aveva escluso la necessità che la gestante vi si sottoponesse, in ragione dei connessi rischi abortivi e in assenza di precedenti familiari; che la (OMISSIS), a sua volta, aveva ritenuto la richiesta tardiva, essendo stato, a suo dire, superato il termine utile alla praticabilità dell’esame, laddove, per contro, lo stesso poteva ancora essere effettuato. Sostennero, quindi, che (OMISSIS), che aveva all’epoca 39 anni, era stata dissuasa dal sottoporsi alle predette analisi, di talché le era stato precluso l’esercizio del diritto alla interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla Legge n. 194 del 1978, articoli 6 e 7.
Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono le avverse pretese. La (OMISSIS) chiese ed ottenne di chiamare in causa (OMISSIS) – (OMISSIS), per esserne manlevata in caso di soccombenza.
Con sentenza del 23 settembre 2008 il giudice adito rigetto’ la domanda. Proposto gravame dai soccombenti, la Corte d’appello di Venezia, in data 30 agosto 2013, lo ha respinto, compensando integralmente tra tutte le parti le spese di giudizio. Per la cassazione di detta decisione ricorrono a questa Corte (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e nella qualità, formulando tre motivi, illustrati anche da memoria, e notificando l’atto a (OMISSIS), a (OMISSIS), all’Azienda Unità Socio Sanitaria di Rovigo, alla (OMISSIS) e a (OMISSIS) s.p.a..
Resistono (OMISSIS) e (OMISSIS) nonché, con distinto controricorso, la (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Nel motivare il suo convincimento la Corte territoriale ha ritenuto indimostrato che il (OMISSIS) si fosse rifiutato di rilasciare l’impegnativa necessaria a che la gestante potesse effettuare l’amniocentesi, adducendo la superfluità di un esame che metteva in pericolo la sopravvivenza del feto. Dalle allegazione attoree e dalle risposte date dal medico nel corso del suo interrogatorio emergeva piuttosto che la questione era stata sicuramente presente nei colloqui che le parti avevano avuto al riguardo, sia pure in termini non ben definibili nel contenuto, il che consentiva di ritenere soddisfatto il dovere generico di informativa gravante sul medico di base, considerato che la (OMISSIS), laureata e insegnante in un liceo scientifico, per quanto da lei stessa ammesso, era stata dal (OMISSIS) invitata a rivolgersi a uno specialista in ginecologia.
Quanto poi alla posizione della (OMISSIS), ha ritenuto il decidente la sussistenza di elementi presuntivi in ordine all’adempimento dell’obbligo professionale di informare la paziente, posto che nella scheda sanitaria da questa prodotta vi era l’annotazione “colloquio amniocentesi”, con l’aggiunta, nel rigo successivo, che la gestante non l’avrebbe fatta, mentre del tutto inconsistenti erano i rilievi in ordine alla non genuinità del documento, esibito senza riserve proprio dagli istanti.
In particolare, alla luce degli elementi probatori acquisiti e in conformità al parere espresso dal c.t.u., appariva credibile che la (OMISSIS), al termine del colloquio, avesse manifestato di non volere effettuare l’analisi, per tutelare una gravidanza preziosa, in quanto insorta dopo 18 anni di matrimonio. Del resto lo scarso interesse per la diagnosi prenatale emergeva anche dal lungo intervallo di tempo intercorso tra l’effettuazione dell’ecografia ostetrica e la visita ginecologica, avvenuta solo alla 20 settimana.
2.1 A fronte di tale percorso motivazionale gli impugnanti denunciano, con il primo motivo, violazione degli articoli 1218 e 2697 c.c..
Le critiche si appuntano segnatamente contro la ritenuta mancanza di competenza specialistica del dottor (OMISSIS) nonché contro il valore di scusante a tale carenza attribuito, senza considerare che il sanitario avrebbe dovuto avvertire la (OMISSIS) di essere portatrice, in ragione dell’età, di gravidanza a grave rischio per cromosopatia, a norma del decreto Bindi, indirizzando la stessa verso la villocentesi e poi verso lo screening della traslucenza nucale.
In tale contesto, e considerato che la Corte d’appello aveva dato atto della impossibilità di determinare il contenuto del colloquio informativo intercorso tra le parti, benché ben precise fossero le circostanze di cui il dottor (OMISSIS) avrebbe dovuto rendere edotta la gestante, la domanda doveva essere accolta.
2.2 Con il secondo mezzo i ricorrenti lamentano violazione delle medesime norme in relazione alla mancata informazione, da parte della dottoressa (OMISSIS), dei rischi ai quali andava incontro la paziente e della possibilità di avvalersi della amniocentesi. Evidenziano segnatamente gli esponenti che nulla era dato sapere sul contenuto del colloquio intervenuto tra la ginecologa e la (OMISSIS), se non che tra le stesse si era parlato di amniocentesi, in spregio al principio per cui l’informazione del medico deve essere completa e che il relativo onere probatorio grava sul professionista.
2.3 Con il terzo motivo gli esponenti deducono violazione dell’articolo 2729 c.c., in relazione alla pretesa completezza della informazione fornita dalla dottoressa (OMISSIS), certo essendo unicamente che, secondo la stessa, la gravidanza era ormai in una fase troppo avanzata perché potesse essere praticata l’amniocentesi, laddove il solo fatto che vi fosse stato un colloquio sul punto smentiva tale assunto. Segnatamente la Corte d’appello neppure avrebbe verificato la correttezza degli assunti del medico in ordine alla tempistica dell’accertamento, assunti che furono invece proprio quelli che trassero in inganno la (OMISSIS).
3 Le critiche, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondate.
Costituisce principio assolutamente consolidato che la responsabilità conseguente alla mancata ottemperanza agli obblighi informativi ha carattere contrattuale e non precontrattuale, di talché a fronte dell’allegazione, da parte del paziente, dell’inadempimento di siffatti obblighi, è il medico gravato dell’onere della prova di avere adempiuto alla relativa obbligazione (Cass. civ. 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ. 9 febbraio 2010, n. 2847). Altrettanto consolidata è poi la massima secondo cui detta informazione deve essere completa, senza che si possa presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo queste incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve comunque sostanziarsi in spiegazioni dettagliate e adeguate al livello culturale del destinatario (confr. Cass. civ. 11 dicembre 2013, n. 27751; Cass. civ. 20 agosto 2013, n. 19220).
4 L’adesione del collegio a tali principi non giova tuttavia agli impugnanti per le ragioni che seguono.
Anzitutto la ricostruzione dei fatti posta a base della domanda attrice appare incentrata più che su un comportamento omissivo dei due medici evocati in giudizio (id est, sulla mancata somministrazione, da parte degli stessi, di informazioni adeguate), su una condotta attiva dissuasiva, considerato che, secondo gli assunti attorei, la richiesta da essi rivolta al (OMISSIS), quale medico curante, e alla (OMISSIS), quale specialista in ginecologia, di rilascio di impegnativa per amniocentesi o per ulteriori o differenti esami idonei a evidenziare l’esistenza di anomalie o malformazioni del feto, avrebbe incontrato la resistenza dei due professionisti, motivata, dal primo, con la prospettazione dei rischi abortivi connessi a un accertamento particolarmente invasivo che, in mancanza di precedenti familiari, non appariva necessario, e, dalla seconda, con l’assunto dell’asserito superamento del tempo utile alla sua praticabilità.
Il delineato contesto deduttivo di riferimento – non contestato, è il caso di precisare, dai ricorrenti – comporta l’eccentricità di buona parte delle critiche svolte in questa sede, le quali, senza troppo confrontarsi con la specificita’ delle deduzioni poste a base della pretesa azionata e con le argomentazioni esposte dal decidente per confutarne la fondatezza, ruotano sul tralaticio richiamo ai principi enunciati da questa Corte in punto di incidenza ed estensione degli oneri probatori in materia di consenso informato.
5 Ciò posto, con specifico riferimento alla posizione del (OMISSIS), ritiene il collegio che correttamente la Corte d’appello abbia valorizzato la sua qualità di medico di base, scriminando tout court le allegate resistenze del professionista al rilascio di una impegnativa per amniocentesi, senza che si fosse prima pronunciato uno specialista.
E invero, considerato che i ricorrenti neppure hanno lamentato malgoverno degli esiti della compiuta istruttoria sotto il profilo che da questa, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di merito, sarebbe emerso il secco rifiuto del medico a una loro altrettanto precisa richiesta di prescrizione, la condotta del (OMISSIS), nei termini in cui è stata ricostruita dal decidente, appare ispirata a un doveroso e prudente tempismo. Rientra invero nei doveri informativi del buon sanitario allertare il paziente sui pericoli connessi all’espletamento di indagini invasive, invitandolo a consultare, prima di prendere una decisione definitiva al riguardo, l’esperto del settore. Ne deriva che la scelta decisoria adottata resiste, in definitiva, alle critiche formulate in ricorso.
6 Quanto alla (OMISSIS), i rilievi degli impugnanti sono inficiati dall’errore prospettico di fondo di dare per scontato ciò che il giudice di merito ha ritenuto non provato: e cioe’ che la ginecologa avesse distolto la gestante dalla diagnosi amniocentesica con l’assunto, contrario al vero, del superamento dei tempi tecnici entro i quali lo stesso poteva essere utilmente effettuato.
In realtà le argomentazioni con le quali la Corte d’appello ha motivato il suo convincimento, innanzi sinteticamente riportate (sub n. 1), sono assolutamente ineccepibili, sul piano logico e giuridico, oltre che pienamente aderenti alla piattaforma fattuale di riferimento.
E’ sufficiente al riguardo osservare che l’adesione alla tesi difensiva secondo cui sarebbe stata la (OMISSIS) a decidere liberamente e consapevolmente di non sottoporsi ad amniocentesi poggia sull’ovvio rilievo che le annotazioni “colloquio amniocentesi” e “non la farà” non avrebbero avuto alcun senso ove la ginecologa avesse reputato tardiva la richiesta della gestante di accedere all’esame, di talché, a fronte di un appunto siffatto, che inequivocabilmente ne presuppone la persistente praticabilità, non appare sostenibile l’assunto della somministrazione di un’informazione errata sul punto.
In tale contesto il ricorso deve essere integralmente rigettato.
La peculiarità della fattispecie e la difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.
La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione – delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *