convalida arresto

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  13 febbraio 2014, n. 7004

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Catania, con ordinanza emessa il 13/08/2013 -provvedendo sulla richiesta di riesame avanzata da A.G. , avverso l’ordinanza del Gip del Tribunale di Catania, in data 26/07/2013, con la quale era stata applicata la custodia in carcere nei confronti del predetto A.G. , indagato in ordine al reato ex art. 609 bis cod. pen. in danno di F.V. , convivente dell’A. medesimo – sostituiva la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.
2. L’interessato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen..
2.1. In particolare il ricorrente esponeva che l’ordinanza impugnata non era congruamente motivata quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, né quanto alle esigenze cautelari.
Tanto dedotto il ricorrente chiedeva l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Il Tribunale di Catania, mediante un esame analitico, esaustivo ed immune da errori di diritto delle risultanze processuali finora acquisite al procedimento, ha accertato, allo stato degli atti (quanto ai gravi indizi di colpevolezza in ordine ai contestati reati di cui agli artt. 609 bis, 572, 585 cod. pen.) che A.G. – nelle condizioni di tempo e di luogo come individuate in atti – con una condotta protrattasi per mesi aveva costretto la propria convivente F.V. , con la forza, con le percosse, le lesioni e con la minaccia delle pistola di cui era in possesso (lo stesso svolgeva l’attività di guardia giurata) a subire rapporti sessuali contro la volontà della donna. Parimenti nello stesso periodo di convivenza ((OMISSIS) ) A.G. aveva sottoposto, in modo abituale, la predetto F.V. ad una serie reiterata di sofferenze fisiche e psichiche, quali percosse, lesioni, ingiurie, limitazioni della libertà sessuale, minacce varie, tali da rendere gravemente sofferente la condotta e la vita della donna (vedi ordinanza impugnata pagg. 1 -4).
2. Le esigenze cautelari erano state ravvisate nel pericolo concreto ed attuale del reiterarsi di altri reati della stessa specie per cui si procedeva.
Pericolo desumibile sia dalla gravità e dalle modalità delle condotte illecite ed abusive commesse in danno della donna; sia dalla personalità di A.G. , appalesatosi quale soggetto pericoloso, aggressivo e dedito all’alcol. A.G. , peraltro, non aveva voluto accettare la cessazione della relazione con F.V. , che nel (OMISSIS) aveva deciso di porre fine alla convivenza, perché non era più disposta a subire le angherie dell’uomo.
3. La misura degli arresti domiciliari, come disposta nell’ordinanza de qua – evidenziava il Tribunale – era adeguata ai fatti ed idonea a garantire le predette esigenze cautelari (vedi ordinanza impugnata pag. 4).
4. Le censure dedotte nel ricorso sono sostanzialmente generiche, perché meramente ripetitive di quanto esposto in sede di riesame; già valutato esaustivamente dal Tribunale di Catania. Sono, altresì, infondate perché in contrasto con quanto accertato e congruamente motivato dai giudici del riesame. Dette doglianze, peraltro, costituiscono nella sostanza eccezioni in punto di fatto, poiché non inerenti ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata, ma alle valutazioni operate dai giudici di merito. Si chiede, in realtà, al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori, per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi, più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente. Trattasi di censura non consentita in sede di legittimità perché in violazione della disciplina di cui all’art. 606 cod. proc. pen. [Giurisprudenza consolidata: Sez. U, n. 6402 del 02/07/1997, rv 207944; Sez. U, n. 930 del 29/01/1996, rv 203428; Sez. I, n. 5285 del 06/05/1998, rv 210543; Sez. V, n. 1004 del 31/01/2000, rv 215745; Sez. V, n. 13648 del 14/04/2006, rv 233381].
3. Va dichiarato, pertanto, inammissibile il ricorso proposto da A.G. con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria che si determina in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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