Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 11 febbraio 2014, n. 6370

Ritenuto in fatto

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza impugnata, gli odierni ricorrenti sono stati condannati, il L., alla pena di 1500 € e, l’E., a quella di 2000 €, di ammenda per avere, nella loro qualità di Dirigente del Settore Manutenzione edifici del Comune di Caivano – competente, tra l’altro, alla effettuazione di manutenzione presso la scuola elementare “Mameli” di Caivano – omesso di provvedere alla manutenzione dell’edificio scolastico in questione, in particolare, degli impianti elettrici nonché di altre specifiche parti dell’edificio (per umidità, tinteggiatura, crepe, segnaletica di sicurezza, apertura delle finestre… ecc. ecc.).
Va precisato che la carica amministrativa in ragione della quale gli odierni ricorrenti sono stati imputati è stata ricoperta, dal L., a far data dal 10 maggio 2009 e, dall’E., negli anni precedenti.
Le accuse scaturiscono da una ispezione – originata da una segnalazione anonima – espletata il 14 maggio 2009.
2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso, personalmente, deducendo:
L.
1) violazione di legge e vizio di motivazione. Si ricorda, infatti, che quello contestato (artt. 80, 86, 64 d.lgs. 8108) è un reato “proprio” che, cioè, può essere ascritto esclusivamente al soggetto che assume la qualifica di “datore di lavoro”.
Tale figura viene individuata, dall’art. 2 d.lgs 81/08, nel “dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui … sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale… e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa». Orbene, nella specie, è da escludere che il L. fosse in suddetta condizione, soprattutto, perché non possedeva una autonomia gestionale, decisionale e/o di spesa. Il termine “dirigente” del servizio Manutenzione, infatti, non deve trarre in inganno, essendo egli del tutto privo di poteri decisionali e di spesa ovvero di budget o fondi finanziari ai quali attingere.
Inoltre, come provato in udienza, mediante attestazione rilasciata dal segretario generale del Comune di Caivano, dal 2.3.04 al 27.10.09, la qualifica di datore di lavoro era attribuita – in virtù di delibera della giunta comunale del 2.3.04, all’ing. D.A.F. e, sul punto, la sentenza nulla dice. In ogni caso, si ricorda il precedente di questa S.C. in base al quale «il responsabile del servizio manutenzione ed il responsabile del reparto sono privi di responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, avendo poteri di livello inferiore, solitamente rapportati all’effettivo potere di spesa, e quindi, pur avendo qualifica dirigenziale, non sono equiparabili al datore di lavoro» (Sez. IV, 28.4.11, Miilo, Rv. 250709);
2) violazione dell’art. 18. 3° co d.lgs. 81/08 perché la disposizione in esame precisa che gli obblighi previsti in capo a pubblica amministrazione e p.u. «si intendono assolti da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati con la richiesta del loro adempimento all’amministrazione competente o al soggetto che ne abbia l’obbligo giuridico».
Si fa notare che, per l’appunto, il L., sebbene fosse in carica solo da una decina di giorni al momento dell’ispezione, ha – come dimostrato in giudizio – fatto tutto quanto in suo potere per attivare i soggetti competenti ad intervenire;
3) nullità della sentenza per inesegibilità della condotta omessa. Come spiegato anche in giudizio dal ricorrente, i ritardi nell’adempimento delle prescrizioni imposte dagli ispettori non sono ascrivibili al L., bensì, agli altri organi comunali. A tal fine, si ricorda anche altro precedente di legittimità (sez. III, 11.1.08, Rv. 239279) in base al quale, «l’inottemperanza da parte del contravventore alle prescrizioni di regolarizzazione impartite dall’organo di vigilanza a norma del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, costituisce una condizione di punibilità. Ne consegue che è onere del giudice accertare se il contravventore abbia omesso di ottemperare alla prescrizione per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di norme regolamentari ovvero se sia stato impossibilitato a ottemperare per caso fortuito o per forza maggiore».
E.
1) nullità della sentenza per totale estraneità dei ricorrente. Si fa, infatti, notare che, all’E., non risulta essere stata mai mossa alcuna contestazione. Si ripropongono, quindi, gli stessi argomenti di cui al primo motivo di L.;
2) nullità della sentenza impugnata perché in materia di contravvenzioni alla sicurezza sul lavoro, trovano applicazione le disposizioni in tema di prescrizione ed estinzione del reato la cui applicazione costituisce – secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale – una vera e propria condizione di procedibilità per l’esercizio dell’azione penale. Orbene, nella specie, non essendo mai stata rivolta all’imputato alcuna prescrizione cui ottemperare entro un certo termine, egli era nell’impossibilità di adempiervi.
I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

3. Motivi della decisione – I ricorsi sono fondati perché tale è il primo motivo, comune ad entrambe le doglianze, ed il suo accoglimento risulta assorbente rispetto ai restanti argomenti difensivi.
Ricordandolo in estrema sintesi, la sentenza impugnata fonda il proprio giudizio di responsabilità muovendo dalla premessa che la successione dei soggetti nella carica non ha escluso la responsabilità di alcuno dei due.
Inoltre, quanto all’E. – che ha ricoperto il ruolo di dirigente più a lungo – pur prendendo atto delle obiettive e documentate difficoltà finanziarie del Comune invocate dalla difesa dell’imputato, la sentenza conclude che, a fronte di ciò, egli avrebbe dovuto prendere la – impopolare ma necessitata – decisione di chiudere la scuola, visto l’evidente rischio cui erano esposti – soprattutto – gli alunni (causa fili elettrici scoperti e penzolanti fuori).
Anche per L., pur riconoscendo la brevità di tempo dell’incarico ricoperto, si evidenzia il ritardo notevole con cui egli ha adempiuto alle prescrizioni impostegli dagli ispettori (ben oltre il termine concessogli).
Le argomentazioni predette non sono né convincenti né corrette ed offrono il fianco a molteplici obiezioni quali, ad esempio, per quel che attiene a L., il non avere, la sentenza, minimamente replicato alla obiezione difensiva secondo cui, nel periodo incriminato, dal 2.3.04 al 27.10.09, in virtù di delibera della giunta comunale del 2.3.04, la qualifica di datore di lavoro era stata attribuita a persona diversa dall’imputato (I’ing. D.A.F.).
Quanto, poi, all’E., non è priva di pregio anche l’ulteriore obiezione, contenuta nel suo primo motivo, circa l’assenza, nei suoi confronti, di qualsiasi contestazione visto che, come sottolineato anche dalla giurisprudenza di questa Corte (sez. III, 11.1.08, Pirovano, Rv. 239279), – dal momento che, in materia antinfortunistica, l’inottemperanza da parte dei contravventore alle prescrizioni di regolarizzazione costituisce una condizione di punibilità – ne consegue che è onere del giudice accertare se il contravventore abbia omesso di ottemperare alla prescrizione per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di norme regolamentari ovvero se sia stato impossibilitato a ottemperare per caso fortuito o per forza maggiore.
Nella specie, difficilmente si può negare che l’E. non ha ottemperato perché mai avvertito, visto che l’8.6.09, quando fu redatto il verbale di prescrizioni, non ricopriva più alcun incarico essendogli subentrato il L. I suddetti rilievi – cui potrebbero sommarsene altri di segno analogo ove si analizzassero anche i motivi successivi al primo – sono tuttavia, superati da quello, assorbente, che, come dimostrato (e non negato neppure nella decisione impugnata), sia il L., che l’E., pur avendo una qualifica “dirigenziale”, erano del tutto sforniti di poteri di spesa.
Il vizio della sentenza impugnata risiede nell’avere operato una sorta di equazione tra la posizione apicale ricoperta dagli imputati e la addebitalità ad essi dei mancato approntamento dei lavori di messa in sicurezza e ristrutturazione dell’edificio scolastico “Mameli” di Caivano trascurando, però, di considerare se, a tale posizione corrispondesse o meno anche una effettiva disponibilità di risorse finanziarie.
Come giustamente ricordato dai ricorrenti, questa S.C. (sez. IV, 28.4.11, Miao, n. 23292, Rv. 250709) ha già avuto modo di sottolineare, sia pure con riferimento ad imprese di grandi dimensioni, che il soggetto responsabile per la mancata adozione di misure di sicurezza non può essere individuato, automaticamente, in colui o in coloro che occupano la posizione di vertice.
Occorre, infatti, un accertamento puntuale, ed in concreto, circa la effettiva situazione della gerarchia delle responsabilità, all’interno dell’apparato strutturale, onde non incorrere nel rischio di ascrivere all’organo di vertice quasi una sorta di responsabilità oggettiva rispetto a situazioni ragionevolmente non controllabili, perché devolute alla cura ed alla conseguente responsabilità di altri che abbiano anche piena ed esclusiva autonomia di spesa.
Di qui, il principio enunciato nel precedente giurisprudenziale – citato dal ricorrente L. – cui questo Collegio ritiene di allinearsi, secondo cui, in tema di posizioni di garanzia in materia antinfortunistica, «il responsabile del servizio manutenzione ed il responsabile del reparto sono privi di responsabilità inerenti alle scelte gestionali generali, avendo poteri di livello inferiore, solitamente rapportati all’effettivo potere di spesa, e quindi, pur avendo qualifica dirigenziale, non sono equiparabili al datore di lavoro».
Nel caso che occupa, è la stessa decisione impugnata a dare atto delle ampie prove fornite dagli imputati per dimostrare la impossibilità di fronteggiare il problema per la disastrosa situazione economica del Comune di Caivano e per non avere, essi, mai avuto a disposizione somme di denaro assegnate a titolo di piano economico di gestione.
Tanto è valido l’argomento che il provvedimento impugnato lo supera in modo incongruo ascrivendo agli imputati la mancata adozione di una misura (la chiusura dell’istituto scolastico) che, di certo, non rientrava nelle loro competenze, bensì, di quelle del preside e che, comunque, a tutto concedere, rappresenta contestazione di una condotta ulteriore e diversa rispetto a quelle per le quali gli imputati sono stati rinviati a giudizio e giudicati.
Come anticipato, si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto contestato non è ascrivibile agli imputati.

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per non avere gli imputati commesso il fatto.

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