Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 1 aprile 2014, n. 7521
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17812/2010 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., banca con socio unico ed appartenente al Gruppo Bancario (OMISSIS), in persona del Quadro Direttivo Dott.ssa (OMISSIS), fusa per incorporazione alla (OMISSIS) S.P.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio (OMISSIS) in ROMA 19/11/2013, REP. n. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), in qualita’ di erede dell’On.le (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce;
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO ITALIANO;
– intimati –
e contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio (OMISSIS), in ALCAMO 16/11/2010, REP. (OMISSIS);
– resistente con procura speciale –
avverso la sentenza n. 2160/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/05/2009, R.G.N. 1937/2003 + 1938/2003 + 2021/2003 + 2145/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il ric. c/ (OMISSIS): inammissibilita’; ric. c/ (OMISSIS) e (OMISSIS) rigetto 1, 2 e 3 motivo, inammissibilita’ 4 e 5.
Ric. c/ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS): rigetto 1 e 2 motivo, inammissibilita’ 4 e 5 e accoglimento del 3 motivo.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17812/2010 proposto da:
(OMISSIS) S.P.A., banca con socio unico ed appartenente al Gruppo Bancario (OMISSIS), in persona del Quadro Direttivo Dott.ssa (OMISSIS), fusa per incorporazione alla (OMISSIS) S.P.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio (OMISSIS) in ROMA 19/11/2013, REP. n. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS), in qualita’ di erede dell’On.le (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce;
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine;
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), PARTITO SOCIALISTA DEMOCRATICO ITALIANO;
– intimati –
e contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale del Dott. Notaio (OMISSIS), in ALCAMO 16/11/2010, REP. (OMISSIS);
– resistente con procura speciale –
avverso la sentenza n. 2160/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/05/2009, R.G.N. 1937/2003 + 1938/2003 + 2021/2003 + 2145/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il ric. c/ (OMISSIS): inammissibilita’; ric. c/ (OMISSIS) e (OMISSIS) rigetto 1, 2 e 3 motivo, inammissibilita’ 4 e 5.
Ric. c/ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS): rigetto 1 e 2 motivo, inammissibilita’ 4 e 5 e accoglimento del 3 motivo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato nel marzo 1997 la (OMISSIS) s.p.a. cito’ in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il Partito Socialista Democratico Italiano (in prosieguo indicato come PSDI) ed alcuni suoi esponenti: i sigg. (OMISSIS) ed (OMISSIS), che di quel partito erano stati in tempi diversi segretari politici, i sigg. (OMISSIS) e (OMISSIS), che pure in tempi diversi avevano ricoperto la carica di segretario amministrativo, ed i sig.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), che erano stati a capo, rispettivamente, del gruppo parlamentare del PSDI alla Camera dei deputati ed al Senato. La (OMISSIS) affermo’ di essere creditrice del PSDI per l’importo di lire 2.581.583.430 in conseguenza di diverse aperture di credito in conto corrente concessegli dal marzo 1986 al 1987 su richiesta dell’allora segretario amministrativo del partito sig. (OMISSIS) G., quando la carica di segretario politico era ricoperta dal sig. (OMISSIS) F.. Nel luglio 1989 i sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) A., (OMISSIS) F. e (OMISSIS), nelle suindicate loro qualita’, avevano proposto alle varie banche creditrici di sottoscrivere un accordo in cui, previo risconoscimento dei debiti del partito, se ne prevedeva la sistemazione mediante la sottoscrizione di un piano di rientro quinquennale, da finanziare consentendo alla banca di incassare e trattenere gli erogandi contributi statali in favore del Partito, accordo accettato dalla (OMISSIS) come dagli altri istituti creditori del PSDI. Per i primi quattro anni l’accordo fu regolarmente adempiuto, mentre non venne pagata l’ultima tranche, probabilmente a causa della intervenuta abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti.
La (OMISSIS), muovendo dal presupposto che i firmatari di tale accordo avessero anche prestato una garanzia personale e solidale per l’adempimento dell’indicato piano di sistemazione, chiese la condanna solidale in proprio favore sia del partito che dei suoi segretari che dei firmatari dell’accordo.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1802 del 2002, condanno’ in solido il PSDI, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento in favore dell’istituto di credito della richiesta somma di lire 2.581.538.430, maggiorata di interessi dal 1994; rigetto’ invece la domanda proposta dalla (OMISSIS) nei confronti di F. (OMISSIS), A. (OMISSIS) e G. (OMISSIS).
Impugnata la sentenza di primo grado da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ da parte di (OMISSIS), subentrata a (OMISSIS), la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2160 del 21 maggio 2009, premesso che nelle more del giudizio era entrato in vigore la Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera d), respingeva l’appello proposto da (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS)) e, in accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) respingeva la domanda proposta nei loro confronti dalla (OMISSIS) s.p.a., ora (OMISSIS).
In particolare, la corte territoriale faceva immediata applicazione della nuova disposizione introdotta con la Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, applicabile per espressa previsione contenuta nel terzo comma dello stesso articolo ai giudizi in corso, a norma della quale i creditori dei partiti e movimenti politici partecipanti ad elezioni per il Parlamento nazionale, per quello europeo o per i consigli regionali “non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l’adempimento delle obbligazioni del partito o del movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave”.
La corte territoriale riteneva che la norma avesse inteso individuare nel partito l’unico soggetto legittimato a rispondere dei debiti assunti per le attivita’ dello stesso, e di conseguenza dava una interpretazione assai ampia del termine atecnico “amministratori”, utilizzato dalla legge, comprensiva cioe’ non solo di coloro che avessero rivestito la carica formale di amministratori all’epoca della assunzione delle obbligazioni ma anche dei soggetti che si assumeva avessero agito in nome e per conto del partito e che sarebbero stati percio’ tenuti al pagamento, secondo le ordinarie regole in materia di obbligazioni. Sulla base della sopravvenuta normativa e di tale lata interpretazione della norma, affermando che non fosse emersa alcuna prova di un comportamento gravemente colposo o doloso in capo ai soggetti che ebbero a contrarre le obbligazioni e ritenendo assorbito l’esame dei motivi di appello proposti dalla banca, la corte territoriale riformava la sentenza di primo grado rigettando la domanda della banca anche nei confronti del (OMISSIS), del (OMISSIS) e della (OMISSIS) e confermando il rigetto della domanda nei confronti del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) gia’ disposto in primo grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) s.p.a. quale cessionaria dei crediti di (OMISSIS) s.p.a. (subentrata a (OMISSIS)) e per essa (OMISSIS) s.p.a., formulando cinque motivi di censura. Hanno resistito, con separati controricorsi, i sigg. (OMISSIS) G., (OMISSIS) F. e (OMISSIS), in qualita’ di erede di (OMISSIS).
I sig. (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ il P.S.D.I., regolarmente intimati, non hanno svolto attivita’ difensiva.
La signora (OMISSIS), anch’essa regolarmente intimata, ha depositato soltanto procura alle liti.
La signora (OMISSIS) ha depositato memoria a norma dell’articolo 378 c.p.c..
La (OMISSIS), muovendo dal presupposto che i firmatari di tale accordo avessero anche prestato una garanzia personale e solidale per l’adempimento dell’indicato piano di sistemazione, chiese la condanna solidale in proprio favore sia del partito che dei suoi segretari che dei firmatari dell’accordo.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1802 del 2002, condanno’ in solido il PSDI, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento in favore dell’istituto di credito della richiesta somma di lire 2.581.538.430, maggiorata di interessi dal 1994; rigetto’ invece la domanda proposta dalla (OMISSIS) nei confronti di F. (OMISSIS), A. (OMISSIS) e G. (OMISSIS).
Impugnata la sentenza di primo grado da parte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ da parte di (OMISSIS), subentrata a (OMISSIS), la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2160 del 21 maggio 2009, premesso che nelle more del giudizio era entrato in vigore la Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera d), respingeva l’appello proposto da (OMISSIS) s.p.a. (gia’ (OMISSIS)) e, in accoglimento dell’appello proposto da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) respingeva la domanda proposta nei loro confronti dalla (OMISSIS) s.p.a., ora (OMISSIS).
In particolare, la corte territoriale faceva immediata applicazione della nuova disposizione introdotta con la Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, applicabile per espressa previsione contenuta nel terzo comma dello stesso articolo ai giudizi in corso, a norma della quale i creditori dei partiti e movimenti politici partecipanti ad elezioni per il Parlamento nazionale, per quello europeo o per i consigli regionali “non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l’adempimento delle obbligazioni del partito o del movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave”.
La corte territoriale riteneva che la norma avesse inteso individuare nel partito l’unico soggetto legittimato a rispondere dei debiti assunti per le attivita’ dello stesso, e di conseguenza dava una interpretazione assai ampia del termine atecnico “amministratori”, utilizzato dalla legge, comprensiva cioe’ non solo di coloro che avessero rivestito la carica formale di amministratori all’epoca della assunzione delle obbligazioni ma anche dei soggetti che si assumeva avessero agito in nome e per conto del partito e che sarebbero stati percio’ tenuti al pagamento, secondo le ordinarie regole in materia di obbligazioni. Sulla base della sopravvenuta normativa e di tale lata interpretazione della norma, affermando che non fosse emersa alcuna prova di un comportamento gravemente colposo o doloso in capo ai soggetti che ebbero a contrarre le obbligazioni e ritenendo assorbito l’esame dei motivi di appello proposti dalla banca, la corte territoriale riformava la sentenza di primo grado rigettando la domanda della banca anche nei confronti del (OMISSIS), del (OMISSIS) e della (OMISSIS) e confermando il rigetto della domanda nei confronti del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) gia’ disposto in primo grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) s.p.a. quale cessionaria dei crediti di (OMISSIS) s.p.a. (subentrata a (OMISSIS)) e per essa (OMISSIS) s.p.a., formulando cinque motivi di censura. Hanno resistito, con separati controricorsi, i sigg. (OMISSIS) G., (OMISSIS) F. e (OMISSIS), in qualita’ di erede di (OMISSIS).
I sig. (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ il P.S.D.I., regolarmente intimati, non hanno svolto attivita’ difensiva.
La signora (OMISSIS), anch’essa regolarmente intimata, ha depositato soltanto procura alle liti.
La signora (OMISSIS) ha depositato memoria a norma dell’articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va esaminato il motivo di inammissibilita’ del ricorso principale sollevato da (OMISSIS). Nel proprio controricorso, (OMISSIS), che si costituisce in qualita’ di erede del defunto onorevole (OMISSIS), eccepisce preliminarmente l’inammissibilita’ del ricorso notificato il 2 luglio 2010 all’on. (OMISSIS)presso l’avvocato ove aveva eletto domicilio per il giudizio di appello, in quanto notificato dopo la morte della parte, verificatasi il 20 febbraio 2010, per difetto di evocazione nel presente giudizio di impugnazione della giusta parte.
Effettivamente il motivo e’ fondato, in quanto, come gia’ affermato da questa corte di legittimita’ a sezioni unite, ponendo fine ad un ripetuto contrasto giurisprudenziale, “L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso e’ avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non puo’ trovare applicazione la disciplina di cui all’articolo 291 cod. proc. civ. (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un giudizio iniziato in epoca anteriore alla Legge 26 novembre 1990, n. 353)” (Cass. S.U. n. 26279 del 2009).
La inammissibilita’ della impugnazione, notificata alla parte deceduta, non puo’ ritenersi sanata dalla costituzione dell’erede, in quanto essa e’ avvenuta mediante notifica del controricorso oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza, termine ultimo entro il quale puo’ avvenire la sanatoria (sentenza pubblicata il 21.5.2009, controricorso notificato il 21.9.2010), come indicato sempre da Cass. n. 26279 del 2009, che richiama Cass. n. 11394 del 1996.
Ne consegue che la sentenza della corte d’appello di Roma impugnata e’ definitivamente passata in giudicato in riferimento alla posizione dell’on. (OMISSIS).
Con il primo motivo di ricorso, la banca ricorrente chiede la remissione alla Corte di Giustizia della Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 34 quaterdecies, comma 2, lettera D), che ha disposto che i creditori dei partiti e dei movimenti politici “non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l’adempimento delle obbligazioni del partito e movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave” nella interpretazione di esso data dalla Corte d’appello con la sentenza impugnata, n. 2160 del 2009 perche’ ne esamini il contrasto con le disposizioni di cui all’articolo 87 e segg. del trattato CE relative alla incompatibilita’ con il mercato comune degli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma allorche’ gli stessi creino un ingiustificato regime di favore nei confronti di alcuni soggetti e/o persone giuridiche operanti in uno Stato membro a discapito dei medesimi soggetti e/o persone giuridiche operanti in altro Stato membro. In particolare, sostiene il ricorrente, l’ingiustificato esonero di responsabilita’ in favore degli amministratori dei partiti politici e movimenti politici che abbiano contratto obbligazioni in loro nome e per conto si traduce sostanzialmente in un aiuto di natura economica incompatibile con il dettame degli articoli 87 e 88 del Trattato CE, in quanto pone illegittimamente tali amministratori in una posizione privilegiata e di assoluto favore rispetto ai loro omologhi degli altri stati membri.
Il motivo va rigettato.
In relazione alla richiesta di rinvio per interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia occorre premettere che e’ ben vero che il testo dell’articolo 267 TFUE pone una distinzione tra giudici di merito e giudici di ultima istanza dalla quale sembra far discendere che, in caso il rinvio per pregiudizialita’ sia richiesto al giudice di ultima istanza, esso non sia libero di valutare se rimettere o meno la questione di pregiudizialita’ all’esame della Corte di Giustizia, ma sia tenuto ad effettuare la rimessione: “Quando una questione del genere e’ sollevata in un giudico pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale e’ tenuto a rivolgersi alla Corte”.
Tuttavia, tale obbligo di rimessione non puo’ essere letto come implicante l’indiscriminato rinvio, da parte della corte di legittimita’, alla Corte di Giustizia di qualsiasi questione pregiudiziale di interpretazione di norme dell’Unione che venga sollevata dalle parti, anche se non motivata, priva di rilevanza nel caso concreto o manifestamente infondata. La piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ ha recentemente affermato a sezioni unite, “il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessita’. (Nella specie, il ricorrente aveva chiesto il rinvio alla Corte di Giustizia con riguardo alle disposizioni del Trattato aventi ad oggetto la materia del recupero dei contributi comunitari e la possibilita’ per gli Stati membri di perseguire la tutela di pregiudizi dell’erario europeo; le S.U. hanno disatteso l’istanza evidenziando, tra l’altro, che la suddetta richiesta concretizzava una anomala sollecitazione alla Corte di Giustizia a riconsiderare la propria consolidata giurisprudenza)” (Cass. S.U. n. 20701 del 2013). Puo’ dirsi che la Corte di legittimita’, dinanzi alla quale venga sollevata la questione di rimessione per pregiudizialita’ alla Corte di Giustizia affinche’ dia l’interpretazione di norme dell’Unione Europea, ha un potere-dovere di delibare la questione, al fine di impegnare la Corte di Giustizia soltanto con questioni che siano effettivamente rilevanti e necessarie ai fini della decisione, ovvero che siano pertinenti e rilevanti nel caso concreto, non siano gia’ state sollevate in riferimento a fattispecie analoghe (Cass. n. 4667 del 2012), non siano manifestamente infondate (Cass. n. 15003 del 2013) e non siano volte impropriamente a sollecitare un mutamento di un consolidato orientamento giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia in senso favorevole al richiedente (Cass. S.U. n. 20701 del 2013).
Nel caso di specie, la questione e’ manifestamente infondata in quanto cio’ che prospetta il ricorrente e’ una violazione della normativa comunitaria (l’articolo 87 del Trattato CE ora articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) che prevede l’incompatibilita’ con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, degli “aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Si tratta di una normativa dettata per tutelare la libera concorrenza negli scambi commerciali tra stati membri, che si applica quando uno Stato membro pratichi un regime di particolare favore a vantaggio di talune imprese o produzioni in modo tale da favorirle a discapito di analoghe imprese di altri Stati operanti nel medesimo settore di mercato. Il concetto di impresa nell’ambito dell’Unione fa riferimento alla nozione economica, comune agli Stati, di entita’ che eserciti un’attivita’ economica volta alla produzione o allo scambio di beni e servizi, piuttosto che alla nozione giuridica, che puo’ variare da Stato a Stato. E’ evidente che un partito politico non sia riconducibile neppure a questa lata accezione di impresa, non esercitando alcuna attivita’ economica ne’ imprenditoriale e che quindi essi rimangano del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione delle norme richiamate. Inoltre, il beneficio concesso, ovvero l’esenzione di responsabilita’ in favore degli amministratori dei partiti politici, non e’ idoneo ad alterare la concorrenza o ad incidere sugli scambi comunitari proprio in quanto i partiti politici, non svolgendo attivita’ economica, non operano in un settore del mercato piuttosto che in un altro ne’ tanto meno in regime di concorrenza economica e l’aiuto, in questo caso concesso per consentire ai loro amministratori di operare liberamente, non puo’ incidere su alcun settore di mercato alterandone gli equilibri.
Con il secondo motivo di ricorso l’istituto di credito ricorrente solleva eccezione di illegittimita’ costituzionale della Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2 lettera D), rispetto agli articoli 3, 41 e 42 Cost..
Anche questo motivo e’ infondato.
La questione e’ gia’ stata esaminata e decisa da questa corte che, con sentenza n. 14612 del 2009, dal cui arresto motivazionale sul punto non vi e’ ragione di discostarsi, l’ha ritenuta manifestamente infondata. Come gia’ osservato da Cass. n. 14612 del 2009, infatti, se e’ vero che l’esonero da responsabilita’ degli amministratori dei partiti e movimenti politici, per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni collettive, cosi’ come e’ stato previsto dal citato articolo 6-bis, da vita ad un regime speciale rispetto alla regola generale ricavabile dall’articolo 38 c.c., e’ anche vero che i partili ed i movimenti politici, pur se giuridicamente riconducibili alla figura delle associazioni non riconosciute, hanno innegabilmente caratteristiche e finalita’ affatto peculiari. Basta a dimostrarlo l’espresso richiamo contenuto nell’articolo 49 Cost., che istituisce un chiaro collegamento tra l’attivita’ dei partiti, in cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, ed il metodo democratico con il quale si determina la politica nazionale. Di modo che la previsione di regole peculiari, destinate ad agevolare l’attivita’ dei partiti in vista del perseguimento delle su accennate loro finalita’, non puo’ essere di per se’ sola considerata una violazione del canone di uguaglianza, fintantoche’ quelle regole appaiano funzionali alla realizzazione del suindicato intento agevolativo e non ledano irragionevolmente contrapposti interessi di pari rango costituzionale. Entro tali limiti, che nel caso in esame non appaiono superati – stante la possibilita’ per i creditori di ricorrere ad un apposito fondo di garanzia per bilanciare il venir meno della garanzia personale degli amministratori, sulla quale essi avrebbero altrimenti potuto contare in presenza delle condizioni richieste dall’articolo 38 c.c., la scelta compiuta rientra nella discrezionalita’ del legislatore e non appare percio’ in alcun modo sindacabile.
Anche il richiamo agli articoli 41 e 42 Cost., non sembra produttivo, ai fini di dimostrare l’illegittimita’ della norma in discussione, che di per se’ non lede in alcun modo la libera iniziativa economica dei privati. Ne’ si vede come a diversa conclusione potrebbe condurre il carattere retroattivo, che a tale norma il legislatore ha inteso attribuire con la previsione, contenuta nel terzo comma del predetto articolo, in base alla quale la nuova disciplina e’ immediatamente applicabile anche ai procedimenti in corso, non essendo per il resto il regime di retroattivita’ incompatibile con disposizioni non aventi contenuto sanzionatorio.
Con il terzo motivo di ricorso l’istituto di credito ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della Legge n. 159 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera D), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, contestando l’interpretazione lata associata dal giudice di seconde cure alla nozione di “amministratori dei partiti” atta a ricondurvi non solo i soggetti che, all’interno del partito o del movimento abbiano rivestito la carica di amministratore ma anche tutti quei soggetti che abbiano agito in nome e per conto del partito e che come tali sarebbero tenuti al pagamento in base alle ordinarie regole in tema di obbligazioni. La ricorrente sottolinea che proprio perche’ l’articolo 6 bis introduce una norma eccezionale, derogatoria rispetto alla disciplina civilistica dettata dall’articolo 38 c.c., deve essere interpretata restrittivamente e cita a sostegno della sua ipotesi interpretativa le due precedenti letture della norma gia’ fornite da questa corte di legittimita’ con le sentenze n. 14612 del 2009 e 982 del 2010. Inoltre, la ricorrente lamenta che i giudici di seconde cure, adottando la sopra indicata lata interpretazione della categoria dei soggetti che ex articolo 6 bis non possono essere gravati di responsabilita’ per le obbligazioni assunte in nome e per conto dei partiti politici di appartenenza, hanno del tutto omesso di verificare in che veste ciascuno dei soggetti coinvolti abbia assunto le obbligazioni pecuniarie per cui e’ causa.
Il motivo di ricorso e’ fondato.
Come gia’ affermato da questa corte di legittimita’ con le citate sentenze n. 14612 del 2009 e 982 del 2010, e’ evidente il carattere eccezionale della disposizione, il che ne esclude ogni possibile applicazione analogica e suggerisce di adottare al riguardo un criterio di stretta interpretazione. Cio’ si riflette immediatamente sull’individuazione della portata della norma in esame ed, in particolare, sull’individuazione dei soggetti che, pur avendo assunto obbligazioni in nome e per conto del partito, sono esonerati dalla relativa responsabilita’. Il regime generale applicabile alle obbligazioni contratte in nome e per conto di un partito politico, posto che i partiti politici, come gia’ dianzi si accennava, sono di regola riconducibili al genus delle associazione non riconosciute (cfr., tra le altre, Cass. n. 17921 del 2007 e n. 26 del 2003), prevede che delle obbligazioni assunte in loro nome e per loro conto dovrebbero rispondere solidalmente e personalmente oltre all’associazione anche coloro dalla cui azione quelle obbligazioni sono derivate, secondo l’espressa previsione del citato articolo 38 c.c.. Ma siffatta responsabilita’ – secondo un orientamento giurisprudenziale ben consolidato – non e’ collegata alla mera titolarita’ della rappresentanza dell’associazione o di una qualche carica pubblica all’interno di essa, bensi’ all’attivita’ negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatoli con i terzi, con la conseguenza che chi la invoca in giudizio e’ gravato dall’onere di provare la concreta attivita’ svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (si vedano, tra le tante, Cass. n. 26290 del 2007, n. 25748 del 2007, n. 718 del 2006, n. 8919 del 2004 e n. 5089 del 1998).
L’esonero di responsabilita’ ora previsto dalla sopravvenuta disposizione della legge speciale si riferisce, invece, in modo del tutto atecnico, agli “amministratori” dei partili e movimenti politici. Nulla consente di ritenere che la parola “amministratori”, nel menzionato testo di legge, sia volta ad indicare chiunque abbia assunto obbligazioni verso i terzi in nome e per conto del partito. In difetto di altra piu’ specifica menzione, e’ logico ipotizzare che con quell’espressione il legislatore abbia inteso designare coloro cui fa capo la gestione ed, almeno di regola, la rappresentanza statutaria dell’ente: coloro, cioe’, che istituzionalmente – in forza di poteri loro attribuiti dall’atto costitutivo o dallo statuto che liberamente disciplina l’ordinamento interno, l’amministrazione e la rappresentanza dell’associazione (articolo 36 c.c.) siano investiti di compiti amministrativi del partito e come tali agiscano e si presentino anche all’esterno. Quel che spiega il suaccennato regime speciale di esonero da responsabilita’ e’, come gia’ accennato, la volonta’ del legislatore di non far gravare sull’operativita’ dei partiti le preoccupazioni di carattere personale che potrebbero altrimenti condizionare l’azione di coloro attraverso i quali essi agiscono. Un siffatto intento si giustifica se riferito non gia’ a chiunque di volta in volta eventualmente assuma obbligazioni in nome e per conto dell’ente, bensi’ soltanto se si tratta dei soggetti ai quali la gestione del partito fa capo stabilmente e per incarico istituzionale.
Ne consegue che l’esonero da responsabilita’ di cui si sta discutendo e’ destinato ad operare solo con riguardo alle obbligazioni in concreto assunte, in nome e per conto del partito, da un soggetto che operi in veste tale da poter essere considerato amministratore del partito medesimo in base allo statuto dell’ente, nell’accezione sopra richiamata. Non altrettanto puo’ dirsi per le obbligazioni assunte da chi, essendo invece privo di detta veste statutaria e non potendo percio’ qualificarsi come “amministratore”, continuera’ a risponderne a norma dell’articolo 38 c.c..
E’ poi appena il caso di aggiungere che la disposizione esonerativa di cui si sta parlando non puo’ interferire in alcun modo con eventuali obbligazioni di garanzia da chiunque volontariamente assunte verso i creditori del partito.
La sentenza impugnata, che utilizza una vasta e indiscriminata nozione di “amministratori” accomunando in essa sia i soggetti che in concreto hanno agito assumendo obbligazioni in nome e per conto del partito politico, sia chi aveva cariche rappresentative, sia chi a vario titolo si e’ impegnato per il partito, va cassata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma perche’, in applicazione del principio di diritto, gia’ enunciato da questa corte (Cass. n. 14612 del 2009) quali degli ex esponenti del PSDI coinvolti in causa possa godere dell’esenzione di responsabilita’ ex articolo 6 bis citato nella piu’ ristretta interpretazione fornita da questa corte.
Con il quarto motivo di ricorso l’istituto di credito censura ancora la violazione e falsa applicazione fatta dalla corte territoriale della Legge n. 159 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera D), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, laddove, avendo ritenuto erroneamente applicabile l’esonero da responsabilita’ previsto dal predetto articolo a tutti i soggetti che abbiano assunto obbligazioni in nome e per conto del partito e non soltanto a coloro che abbiano rivestito la carica formale di amministratori dello stesso, ha altresi’ affermato che non sussistessero le prove di un comportamento doloso o gravemente colposo dei soggetti indicati, tale da escludere l’applicazione della norma. Ritiene infatti l’istituto di credito che, avendo la corte deciso sulla base del ius superveniens, entrato in vigore nel 2006 rispetto ad una causa iniziata in grado di appello nel 2003, essa avrebbe dovuto rimettere la causa in istruttoria al fine di permettere alle parti, e alla banca in particolare di meglio articolare le proprie difese in relazione ai nuovi campi di indagine introdotti dalla nuova legge, ed in particolare alla configurabilita’ del dolo o della colpa in capo a chi aveva agito per il partito socialdemocratico, articolando mezzi di prova e producendo documenti, attivita’ che per causa ad essa non imputabile la ricorrente non aveva potuto svolgere all’inizio del giudizio di secondo grado.
Anche questo motivo di ricorso e’ fondato e va accolto.
Dalla sentenza di appello emerge effettivamente che la corte ha deciso prendendo in esclusiva considerazione la nuova normativa, entrata in vigore “nelle more dell’appello”, come riferisce la sentenza impugnata, ovvero successivamente alla costituzione delle parti e allo svolgimento dell’udienza di trattazione ex articolo 350 c.p.c., senza che la questione sia stata sottoposta previamente all’attenzione delle parti sollecitando il contraddittorio sul punto e consentendo loro di integrare l’esercizio del diritto di difesa in relazione al nuovo tema di indagine introdotto dalla normativa ed in particolare senza consentire alla banca, appellante ed odierna ricorrente, di offrire la prova in ordine all’esistenza del dolo della colpa grave in capo agli amministratori del PSDI, ovvero di provare il fatto estintivo dell’esonero da responsabilita’. Si tratta di una questione del tutto nuova, scaturente esclusivamente dalla nuova normativa e sulla quale la banca non poteva evidentemente aver chiesto, all’inizio del giudizio di appello, di essere ammessa a svolgere nuova attivita’ istruttoria. Non rileva in contrario il fatto che non risulti che la banca abbia chiesto all’udienza di precisazione delle conclusioni di formulare nuove difese o di articolare nuove istanze istruttorie in ordine a questo tema, chiedendo una rimessione in termini alla corte di appello, in quanto la questione non era stata precedentemente discussa ne’ sollevata e non puo’ ritenersi che fosse onere della ricorrente sollecitare in prima persona un possibile allargamento del thema decidendum evidenziando al giudice e a tutte le altre, contrapposte parti del giudizio l’entrata in vigore di una nuova normativa a se’ pregiudizievole, allo scopo di poter integrare le proprie difese. E’ il giudice che, qualora ritenga di dover porre a base della propria decisione una normativa nuova ma immediatamente applicabile, come nella specie (ovvero una questione rilevabile d’ufficio mai in precedenza sollevata nel corso del giudizio), e’ tenuto a sottoporla preliminarmente all’attenzione delle parti per provocare, un pieno contraddittorio anche sull’aspetto non in precedenza esaminato, tanto piu’ quando, come nella specie, dalla nuova normativa scaturisca anche un ampliamento del tema di indagine e il possibile ampliamento del thema probandum (a proposito della necessita’ di sollecitare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d’uficio v. in questo senso Cass. n. 25054 del 2013 e Cass. n. 14039 del 2013).
Anche in accoglimento di questo motivo la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice di appello affinche’ in tale sede – in applicazione dell’articolo 394 cod. proc. civ., comma 3 – venga dato spazio alle attivita’ processuali omesse.
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, la banca ricorrente lamenta che la corte territoriale, avendo ritenuto dirimente l’applicazione alla fattispecie sottoposta al suo esame della nuova norma introdotta con la Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera D), non si sia poi pronunciata sui quattro motivi di censura proposti dalla banca (e volti a far accertare che la sottoscrizione dell’atto del 1989 da parte di alcuni dei controricorrenti fosse idonea a far sorgere in capo ad essi una garanzia personale, e alla accessorieta’ o meno della garanzia assunta, all’applicabilita’ o meno dell’articolo 1957 c.p.c., alla posizione di alcuni dei contro ricorrenti, alla proponibilita’ o meno dell’eccezione di decadenza da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS)) e neppure sui motivi di appello proposti dalle altre parti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e sulla controdeduzioni formulate dalla difesa della banca. Chiede quindi che, previa cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello di Roma in altra composizione, il giudice del rinvio si pronunci sui su citati motivi di gravame.
Il motivo di ricorso e’ inammissibile.
Le questioni dedotte in se’ sono assorbite dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso, che devolve nuovamente alla corte d’appello l’individuazione dei soggetti responsabili insieme al PSDI, delle obbligazioni residue verso la banca.
Il motivo proposto comunque non contiene alcuna individuazione dell’ipotesi di ricorso per cassazione prospettata, ovvero non precisa se con esso si intenda denunziare o’ un vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ex articolo 360 c.p.c. comma 1, n. 3, o piuttosto di nullita’ della sentenza per omessa pronunzia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e soprattutto non sottopone alla corte alcun quesito di diritto, a chiusura del motivo stesso, come e’ obbligatoriamente previsto essendo il ricorso soggetto, ratione temporis, all’applicazione dell’articolo 366 bis c.p.c..
A seguito dell’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso, la causa viene rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione affinche’ decida la controversia (provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione) attenendosi ai seguenti principi di diritto:
“La Legge 3 giugno 1999, n. 157, articolo 6-bis (aggiunto dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con modificazioni nella Legge 23 febbraio 2006, n. 51), nel prevedere l’esonero degli amministratori dei partiti e movimenti politici dalla responsabilita’ per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni salvo che abbiano agito con dolo o colpa grave, introduce un regime speciale e di stretta interpretazione, rispetto alla regola generale della responsabilita’ personale e solidale disciplinata dall’articolo 38 cod. civ., per le associazioni non riconosciute. In ratio della norma risiede nella volonta’ del legislatore di non far gravare sull’operativita’ dei partiti politici le preoccupazioni di carattere personale che potrebbero condizionare l’azione di coloro attraverso i quali essi agiscono, e si giustifica solo in riferimento ai soggetti ai quali fa stabilmente capo la gestione del partito; ne consegue che l’esonero dalla responsabilita’ opera solo per le obbligazioni assunte, in nome e per conto del partito, da chi operi in una veste tale da poter essere considerato amministratore in base allo statuto dell’ente, mentre continua a rispondere a norma dell’articolo 38 cit. chi assume obbligazioni essendo privo di tale veste statutaria”.
“Qualora il giudice ritenga di dover tener conto ai fini della decisione di una normativa sopravvenuta e immediatamente applicabile che non sia stato oggetto di discussione con le parti, deve sollecitare su di essa il contraddittorio, anche al fine di consentire alla parte interessata di chiedere l’ammissione dei mezzi istruttori resi necessari dall’ampliamento del thema decidendum determinato dalla normativa stessa”.
Effettivamente il motivo e’ fondato, in quanto, come gia’ affermato da questa corte di legittimita’ a sezioni unite, ponendo fine ad un ripetuto contrasto giurisprudenziale, “L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso e’ avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non puo’ trovare applicazione la disciplina di cui all’articolo 291 cod. proc. civ. (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un giudizio iniziato in epoca anteriore alla Legge 26 novembre 1990, n. 353)” (Cass. S.U. n. 26279 del 2009).
La inammissibilita’ della impugnazione, notificata alla parte deceduta, non puo’ ritenersi sanata dalla costituzione dell’erede, in quanto essa e’ avvenuta mediante notifica del controricorso oltre un anno dopo la pubblicazione della sentenza, termine ultimo entro il quale puo’ avvenire la sanatoria (sentenza pubblicata il 21.5.2009, controricorso notificato il 21.9.2010), come indicato sempre da Cass. n. 26279 del 2009, che richiama Cass. n. 11394 del 1996.
Ne consegue che la sentenza della corte d’appello di Roma impugnata e’ definitivamente passata in giudicato in riferimento alla posizione dell’on. (OMISSIS).
Con il primo motivo di ricorso, la banca ricorrente chiede la remissione alla Corte di Giustizia della Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 34 quaterdecies, comma 2, lettera D), che ha disposto che i creditori dei partiti e dei movimenti politici “non possono pretendere direttamente dagli amministratori dei medesimi l’adempimento delle obbligazioni del partito e movimento politico se non qualora questi ultimi abbiano agito con dolo o colpa grave” nella interpretazione di esso data dalla Corte d’appello con la sentenza impugnata, n. 2160 del 2009 perche’ ne esamini il contrasto con le disposizioni di cui all’articolo 87 e segg. del trattato CE relative alla incompatibilita’ con il mercato comune degli aiuti concessi dagli Stati sotto qualsiasi forma allorche’ gli stessi creino un ingiustificato regime di favore nei confronti di alcuni soggetti e/o persone giuridiche operanti in uno Stato membro a discapito dei medesimi soggetti e/o persone giuridiche operanti in altro Stato membro. In particolare, sostiene il ricorrente, l’ingiustificato esonero di responsabilita’ in favore degli amministratori dei partiti politici e movimenti politici che abbiano contratto obbligazioni in loro nome e per conto si traduce sostanzialmente in un aiuto di natura economica incompatibile con il dettame degli articoli 87 e 88 del Trattato CE, in quanto pone illegittimamente tali amministratori in una posizione privilegiata e di assoluto favore rispetto ai loro omologhi degli altri stati membri.
Il motivo va rigettato.
In relazione alla richiesta di rinvio per interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia occorre premettere che e’ ben vero che il testo dell’articolo 267 TFUE pone una distinzione tra giudici di merito e giudici di ultima istanza dalla quale sembra far discendere che, in caso il rinvio per pregiudizialita’ sia richiesto al giudice di ultima istanza, esso non sia libero di valutare se rimettere o meno la questione di pregiudizialita’ all’esame della Corte di Giustizia, ma sia tenuto ad effettuare la rimessione: “Quando una questione del genere e’ sollevata in un giudico pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale e’ tenuto a rivolgersi alla Corte”.
Tuttavia, tale obbligo di rimessione non puo’ essere letto come implicante l’indiscriminato rinvio, da parte della corte di legittimita’, alla Corte di Giustizia di qualsiasi questione pregiudiziale di interpretazione di norme dell’Unione che venga sollevata dalle parti, anche se non motivata, priva di rilevanza nel caso concreto o manifestamente infondata. La piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ ha recentemente affermato a sezioni unite, “il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessita’. (Nella specie, il ricorrente aveva chiesto il rinvio alla Corte di Giustizia con riguardo alle disposizioni del Trattato aventi ad oggetto la materia del recupero dei contributi comunitari e la possibilita’ per gli Stati membri di perseguire la tutela di pregiudizi dell’erario europeo; le S.U. hanno disatteso l’istanza evidenziando, tra l’altro, che la suddetta richiesta concretizzava una anomala sollecitazione alla Corte di Giustizia a riconsiderare la propria consolidata giurisprudenza)” (Cass. S.U. n. 20701 del 2013). Puo’ dirsi che la Corte di legittimita’, dinanzi alla quale venga sollevata la questione di rimessione per pregiudizialita’ alla Corte di Giustizia affinche’ dia l’interpretazione di norme dell’Unione Europea, ha un potere-dovere di delibare la questione, al fine di impegnare la Corte di Giustizia soltanto con questioni che siano effettivamente rilevanti e necessarie ai fini della decisione, ovvero che siano pertinenti e rilevanti nel caso concreto, non siano gia’ state sollevate in riferimento a fattispecie analoghe (Cass. n. 4667 del 2012), non siano manifestamente infondate (Cass. n. 15003 del 2013) e non siano volte impropriamente a sollecitare un mutamento di un consolidato orientamento giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia in senso favorevole al richiedente (Cass. S.U. n. 20701 del 2013).
Nel caso di specie, la questione e’ manifestamente infondata in quanto cio’ che prospetta il ricorrente e’ una violazione della normativa comunitaria (l’articolo 87 del Trattato CE ora articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) che prevede l’incompatibilita’ con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, degli “aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Si tratta di una normativa dettata per tutelare la libera concorrenza negli scambi commerciali tra stati membri, che si applica quando uno Stato membro pratichi un regime di particolare favore a vantaggio di talune imprese o produzioni in modo tale da favorirle a discapito di analoghe imprese di altri Stati operanti nel medesimo settore di mercato. Il concetto di impresa nell’ambito dell’Unione fa riferimento alla nozione economica, comune agli Stati, di entita’ che eserciti un’attivita’ economica volta alla produzione o allo scambio di beni e servizi, piuttosto che alla nozione giuridica, che puo’ variare da Stato a Stato. E’ evidente che un partito politico non sia riconducibile neppure a questa lata accezione di impresa, non esercitando alcuna attivita’ economica ne’ imprenditoriale e che quindi essi rimangano del tutto al di fuori dell’ambito di applicazione delle norme richiamate. Inoltre, il beneficio concesso, ovvero l’esenzione di responsabilita’ in favore degli amministratori dei partiti politici, non e’ idoneo ad alterare la concorrenza o ad incidere sugli scambi comunitari proprio in quanto i partiti politici, non svolgendo attivita’ economica, non operano in un settore del mercato piuttosto che in un altro ne’ tanto meno in regime di concorrenza economica e l’aiuto, in questo caso concesso per consentire ai loro amministratori di operare liberamente, non puo’ incidere su alcun settore di mercato alterandone gli equilibri.
Con il secondo motivo di ricorso l’istituto di credito ricorrente solleva eccezione di illegittimita’ costituzionale della Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2 lettera D), rispetto agli articoli 3, 41 e 42 Cost..
Anche questo motivo e’ infondato.
La questione e’ gia’ stata esaminata e decisa da questa corte che, con sentenza n. 14612 del 2009, dal cui arresto motivazionale sul punto non vi e’ ragione di discostarsi, l’ha ritenuta manifestamente infondata. Come gia’ osservato da Cass. n. 14612 del 2009, infatti, se e’ vero che l’esonero da responsabilita’ degli amministratori dei partiti e movimenti politici, per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni collettive, cosi’ come e’ stato previsto dal citato articolo 6-bis, da vita ad un regime speciale rispetto alla regola generale ricavabile dall’articolo 38 c.c., e’ anche vero che i partili ed i movimenti politici, pur se giuridicamente riconducibili alla figura delle associazioni non riconosciute, hanno innegabilmente caratteristiche e finalita’ affatto peculiari. Basta a dimostrarlo l’espresso richiamo contenuto nell’articolo 49 Cost., che istituisce un chiaro collegamento tra l’attivita’ dei partiti, in cui tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, ed il metodo democratico con il quale si determina la politica nazionale. Di modo che la previsione di regole peculiari, destinate ad agevolare l’attivita’ dei partiti in vista del perseguimento delle su accennate loro finalita’, non puo’ essere di per se’ sola considerata una violazione del canone di uguaglianza, fintantoche’ quelle regole appaiano funzionali alla realizzazione del suindicato intento agevolativo e non ledano irragionevolmente contrapposti interessi di pari rango costituzionale. Entro tali limiti, che nel caso in esame non appaiono superati – stante la possibilita’ per i creditori di ricorrere ad un apposito fondo di garanzia per bilanciare il venir meno della garanzia personale degli amministratori, sulla quale essi avrebbero altrimenti potuto contare in presenza delle condizioni richieste dall’articolo 38 c.c., la scelta compiuta rientra nella discrezionalita’ del legislatore e non appare percio’ in alcun modo sindacabile.
Anche il richiamo agli articoli 41 e 42 Cost., non sembra produttivo, ai fini di dimostrare l’illegittimita’ della norma in discussione, che di per se’ non lede in alcun modo la libera iniziativa economica dei privati. Ne’ si vede come a diversa conclusione potrebbe condurre il carattere retroattivo, che a tale norma il legislatore ha inteso attribuire con la previsione, contenuta nel terzo comma del predetto articolo, in base alla quale la nuova disciplina e’ immediatamente applicabile anche ai procedimenti in corso, non essendo per il resto il regime di retroattivita’ incompatibile con disposizioni non aventi contenuto sanzionatorio.
Con il terzo motivo di ricorso l’istituto di credito ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della Legge n. 159 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera D), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, contestando l’interpretazione lata associata dal giudice di seconde cure alla nozione di “amministratori dei partiti” atta a ricondurvi non solo i soggetti che, all’interno del partito o del movimento abbiano rivestito la carica di amministratore ma anche tutti quei soggetti che abbiano agito in nome e per conto del partito e che come tali sarebbero tenuti al pagamento in base alle ordinarie regole in tema di obbligazioni. La ricorrente sottolinea che proprio perche’ l’articolo 6 bis introduce una norma eccezionale, derogatoria rispetto alla disciplina civilistica dettata dall’articolo 38 c.c., deve essere interpretata restrittivamente e cita a sostegno della sua ipotesi interpretativa le due precedenti letture della norma gia’ fornite da questa corte di legittimita’ con le sentenze n. 14612 del 2009 e 982 del 2010. Inoltre, la ricorrente lamenta che i giudici di seconde cure, adottando la sopra indicata lata interpretazione della categoria dei soggetti che ex articolo 6 bis non possono essere gravati di responsabilita’ per le obbligazioni assunte in nome e per conto dei partiti politici di appartenenza, hanno del tutto omesso di verificare in che veste ciascuno dei soggetti coinvolti abbia assunto le obbligazioni pecuniarie per cui e’ causa.
Il motivo di ricorso e’ fondato.
Come gia’ affermato da questa corte di legittimita’ con le citate sentenze n. 14612 del 2009 e 982 del 2010, e’ evidente il carattere eccezionale della disposizione, il che ne esclude ogni possibile applicazione analogica e suggerisce di adottare al riguardo un criterio di stretta interpretazione. Cio’ si riflette immediatamente sull’individuazione della portata della norma in esame ed, in particolare, sull’individuazione dei soggetti che, pur avendo assunto obbligazioni in nome e per conto del partito, sono esonerati dalla relativa responsabilita’. Il regime generale applicabile alle obbligazioni contratte in nome e per conto di un partito politico, posto che i partiti politici, come gia’ dianzi si accennava, sono di regola riconducibili al genus delle associazione non riconosciute (cfr., tra le altre, Cass. n. 17921 del 2007 e n. 26 del 2003), prevede che delle obbligazioni assunte in loro nome e per loro conto dovrebbero rispondere solidalmente e personalmente oltre all’associazione anche coloro dalla cui azione quelle obbligazioni sono derivate, secondo l’espressa previsione del citato articolo 38 c.c.. Ma siffatta responsabilita’ – secondo un orientamento giurisprudenziale ben consolidato – non e’ collegata alla mera titolarita’ della rappresentanza dell’associazione o di una qualche carica pubblica all’interno di essa, bensi’ all’attivita’ negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatoli con i terzi, con la conseguenza che chi la invoca in giudizio e’ gravato dall’onere di provare la concreta attivita’ svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (si vedano, tra le tante, Cass. n. 26290 del 2007, n. 25748 del 2007, n. 718 del 2006, n. 8919 del 2004 e n. 5089 del 1998).
L’esonero di responsabilita’ ora previsto dalla sopravvenuta disposizione della legge speciale si riferisce, invece, in modo del tutto atecnico, agli “amministratori” dei partili e movimenti politici. Nulla consente di ritenere che la parola “amministratori”, nel menzionato testo di legge, sia volta ad indicare chiunque abbia assunto obbligazioni verso i terzi in nome e per conto del partito. In difetto di altra piu’ specifica menzione, e’ logico ipotizzare che con quell’espressione il legislatore abbia inteso designare coloro cui fa capo la gestione ed, almeno di regola, la rappresentanza statutaria dell’ente: coloro, cioe’, che istituzionalmente – in forza di poteri loro attribuiti dall’atto costitutivo o dallo statuto che liberamente disciplina l’ordinamento interno, l’amministrazione e la rappresentanza dell’associazione (articolo 36 c.c.) siano investiti di compiti amministrativi del partito e come tali agiscano e si presentino anche all’esterno. Quel che spiega il suaccennato regime speciale di esonero da responsabilita’ e’, come gia’ accennato, la volonta’ del legislatore di non far gravare sull’operativita’ dei partiti le preoccupazioni di carattere personale che potrebbero altrimenti condizionare l’azione di coloro attraverso i quali essi agiscono. Un siffatto intento si giustifica se riferito non gia’ a chiunque di volta in volta eventualmente assuma obbligazioni in nome e per conto dell’ente, bensi’ soltanto se si tratta dei soggetti ai quali la gestione del partito fa capo stabilmente e per incarico istituzionale.
Ne consegue che l’esonero da responsabilita’ di cui si sta discutendo e’ destinato ad operare solo con riguardo alle obbligazioni in concreto assunte, in nome e per conto del partito, da un soggetto che operi in veste tale da poter essere considerato amministratore del partito medesimo in base allo statuto dell’ente, nell’accezione sopra richiamata. Non altrettanto puo’ dirsi per le obbligazioni assunte da chi, essendo invece privo di detta veste statutaria e non potendo percio’ qualificarsi come “amministratore”, continuera’ a risponderne a norma dell’articolo 38 c.c..
E’ poi appena il caso di aggiungere che la disposizione esonerativa di cui si sta parlando non puo’ interferire in alcun modo con eventuali obbligazioni di garanzia da chiunque volontariamente assunte verso i creditori del partito.
La sentenza impugnata, che utilizza una vasta e indiscriminata nozione di “amministratori” accomunando in essa sia i soggetti che in concreto hanno agito assumendo obbligazioni in nome e per conto del partito politico, sia chi aveva cariche rappresentative, sia chi a vario titolo si e’ impegnato per il partito, va cassata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma perche’, in applicazione del principio di diritto, gia’ enunciato da questa corte (Cass. n. 14612 del 2009) quali degli ex esponenti del PSDI coinvolti in causa possa godere dell’esenzione di responsabilita’ ex articolo 6 bis citato nella piu’ ristretta interpretazione fornita da questa corte.
Con il quarto motivo di ricorso l’istituto di credito censura ancora la violazione e falsa applicazione fatta dalla corte territoriale della Legge n. 159 del 1999, articolo 6 bis, introdotto dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera D), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, laddove, avendo ritenuto erroneamente applicabile l’esonero da responsabilita’ previsto dal predetto articolo a tutti i soggetti che abbiano assunto obbligazioni in nome e per conto del partito e non soltanto a coloro che abbiano rivestito la carica formale di amministratori dello stesso, ha altresi’ affermato che non sussistessero le prove di un comportamento doloso o gravemente colposo dei soggetti indicati, tale da escludere l’applicazione della norma. Ritiene infatti l’istituto di credito che, avendo la corte deciso sulla base del ius superveniens, entrato in vigore nel 2006 rispetto ad una causa iniziata in grado di appello nel 2003, essa avrebbe dovuto rimettere la causa in istruttoria al fine di permettere alle parti, e alla banca in particolare di meglio articolare le proprie difese in relazione ai nuovi campi di indagine introdotti dalla nuova legge, ed in particolare alla configurabilita’ del dolo o della colpa in capo a chi aveva agito per il partito socialdemocratico, articolando mezzi di prova e producendo documenti, attivita’ che per causa ad essa non imputabile la ricorrente non aveva potuto svolgere all’inizio del giudizio di secondo grado.
Anche questo motivo di ricorso e’ fondato e va accolto.
Dalla sentenza di appello emerge effettivamente che la corte ha deciso prendendo in esclusiva considerazione la nuova normativa, entrata in vigore “nelle more dell’appello”, come riferisce la sentenza impugnata, ovvero successivamente alla costituzione delle parti e allo svolgimento dell’udienza di trattazione ex articolo 350 c.p.c., senza che la questione sia stata sottoposta previamente all’attenzione delle parti sollecitando il contraddittorio sul punto e consentendo loro di integrare l’esercizio del diritto di difesa in relazione al nuovo tema di indagine introdotto dalla normativa ed in particolare senza consentire alla banca, appellante ed odierna ricorrente, di offrire la prova in ordine all’esistenza del dolo della colpa grave in capo agli amministratori del PSDI, ovvero di provare il fatto estintivo dell’esonero da responsabilita’. Si tratta di una questione del tutto nuova, scaturente esclusivamente dalla nuova normativa e sulla quale la banca non poteva evidentemente aver chiesto, all’inizio del giudizio di appello, di essere ammessa a svolgere nuova attivita’ istruttoria. Non rileva in contrario il fatto che non risulti che la banca abbia chiesto all’udienza di precisazione delle conclusioni di formulare nuove difese o di articolare nuove istanze istruttorie in ordine a questo tema, chiedendo una rimessione in termini alla corte di appello, in quanto la questione non era stata precedentemente discussa ne’ sollevata e non puo’ ritenersi che fosse onere della ricorrente sollecitare in prima persona un possibile allargamento del thema decidendum evidenziando al giudice e a tutte le altre, contrapposte parti del giudizio l’entrata in vigore di una nuova normativa a se’ pregiudizievole, allo scopo di poter integrare le proprie difese. E’ il giudice che, qualora ritenga di dover porre a base della propria decisione una normativa nuova ma immediatamente applicabile, come nella specie (ovvero una questione rilevabile d’ufficio mai in precedenza sollevata nel corso del giudizio), e’ tenuto a sottoporla preliminarmente all’attenzione delle parti per provocare, un pieno contraddittorio anche sull’aspetto non in precedenza esaminato, tanto piu’ quando, come nella specie, dalla nuova normativa scaturisca anche un ampliamento del tema di indagine e il possibile ampliamento del thema probandum (a proposito della necessita’ di sollecitare il contraddittorio sulle questioni rilevabili d’uficio v. in questo senso Cass. n. 25054 del 2013 e Cass. n. 14039 del 2013).
Anche in accoglimento di questo motivo la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice di appello affinche’ in tale sede – in applicazione dell’articolo 394 cod. proc. civ., comma 3 – venga dato spazio alle attivita’ processuali omesse.
Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, la banca ricorrente lamenta che la corte territoriale, avendo ritenuto dirimente l’applicazione alla fattispecie sottoposta al suo esame della nuova norma introdotta con la Legge n. 157 del 1999, articolo 6 bis, dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, articolo 39 quaterdecies, comma 2, lettera D), non si sia poi pronunciata sui quattro motivi di censura proposti dalla banca (e volti a far accertare che la sottoscrizione dell’atto del 1989 da parte di alcuni dei controricorrenti fosse idonea a far sorgere in capo ad essi una garanzia personale, e alla accessorieta’ o meno della garanzia assunta, all’applicabilita’ o meno dell’articolo 1957 c.p.c., alla posizione di alcuni dei contro ricorrenti, alla proponibilita’ o meno dell’eccezione di decadenza da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS)) e neppure sui motivi di appello proposti dalle altre parti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e sulla controdeduzioni formulate dalla difesa della banca. Chiede quindi che, previa cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello di Roma in altra composizione, il giudice del rinvio si pronunci sui su citati motivi di gravame.
Il motivo di ricorso e’ inammissibile.
Le questioni dedotte in se’ sono assorbite dall’accoglimento del terzo motivo di ricorso, che devolve nuovamente alla corte d’appello l’individuazione dei soggetti responsabili insieme al PSDI, delle obbligazioni residue verso la banca.
Il motivo proposto comunque non contiene alcuna individuazione dell’ipotesi di ricorso per cassazione prospettata, ovvero non precisa se con esso si intenda denunziare o’ un vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ex articolo 360 c.p.c. comma 1, n. 3, o piuttosto di nullita’ della sentenza per omessa pronunzia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e soprattutto non sottopone alla corte alcun quesito di diritto, a chiusura del motivo stesso, come e’ obbligatoriamente previsto essendo il ricorso soggetto, ratione temporis, all’applicazione dell’articolo 366 bis c.p.c..
A seguito dell’accoglimento del terzo e quarto motivo di ricorso, la causa viene rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione affinche’ decida la controversia (provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione) attenendosi ai seguenti principi di diritto:
“La Legge 3 giugno 1999, n. 157, articolo 6-bis (aggiunto dal Decreto Legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con modificazioni nella Legge 23 febbraio 2006, n. 51), nel prevedere l’esonero degli amministratori dei partiti e movimenti politici dalla responsabilita’ per le obbligazioni contratte in nome e per conto di tali organizzazioni salvo che abbiano agito con dolo o colpa grave, introduce un regime speciale e di stretta interpretazione, rispetto alla regola generale della responsabilita’ personale e solidale disciplinata dall’articolo 38 cod. civ., per le associazioni non riconosciute. In ratio della norma risiede nella volonta’ del legislatore di non far gravare sull’operativita’ dei partiti politici le preoccupazioni di carattere personale che potrebbero condizionare l’azione di coloro attraverso i quali essi agiscono, e si giustifica solo in riferimento ai soggetti ai quali fa stabilmente capo la gestione del partito; ne consegue che l’esonero dalla responsabilita’ opera solo per le obbligazioni assunte, in nome e per conto del partito, da chi operi in una veste tale da poter essere considerato amministratore in base allo statuto dell’ente, mentre continua a rispondere a norma dell’articolo 38 cit. chi assume obbligazioni essendo privo di tale veste statutaria”.
“Qualora il giudice ritenga di dover tener conto ai fini della decisione di una normativa sopravvenuta e immediatamente applicabile che non sia stato oggetto di discussione con le parti, deve sollecitare su di essa il contraddittorio, anche al fine di consentire alla parte interessata di chiedere l’ammissione dei mezzi istruttori resi necessari dall’ampliamento del thema decidendum determinato dalla normativa stessa”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di (OMISSIS). Rigetta i primi due motivi di ricorso, dichiara inammissibile il quinto, accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.
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