Lo scarico di acque reflue provenienti da un centro di emodialisi configura il reato di cui all’art. 137, comma 1, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di acque provenienti da un’attività che ha ad oggetto l’effettuazione di prestazioni terapeutiche caratterizzate dall’impiego di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attività domestiche

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 31 agosto 2016, n. 35850

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/10/2014 del Tribunale di Nocera Inferiore;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16.10.2014, il Tribunale di Nocera Inferiore dichiarava (OMISSIS), nella qualita’ di legale rappresentante del Centro di Emodialisi sito in (OMISSIS) responsabile del reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137, comma 1, perche’ effettuava o comunque consentiva lo scarico di acque reflue industriali derivanti da postazioni di dialisi (fatti accertati in (OMISSIS)) e, concesse le attenuanti generiche, la condannava alla pena di Euro 1000,00 di ammenda.
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello (OMISSIS), a mezzo del difensore di fiducia, articolando i motivi di seguito enunciati:
Con un primo motivo chiede l’assoluzione perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato, deducendo che, in base alla normativa regionale vigente all’epoca dei fatti, i reflui provenienti dal Centro di Emodialisi non erano assimilabili a reflui industriali ne’ per categoria ne’ per attivita’, difettando la menzione dei Centri di Emodialisi nell’elenco delle attivita’ i cui scarichi venivano definiti industriali.
Con un secondo motivo chiede l’assoluzione ex articolo 530 c.p.p., comma 2, non essendo emersa la prova che il Centro di Emodialisi scaricasse reflui di tipo industriale.
Con ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Salerno in data 15.5.2015, depositata in pari data, previa qualificazione dell’appello come ricorso per cassazione e’ stata disposta la trasmissione degli atti a questa Corte, trattandosi di sentenza di condanna alla sola pena dell’ammenda.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato.
La rilevanza penale dell’illecito in materia di scarichi presuppone che lo scarico abbia ad oggetto acque reflue industriali, per cui la natura del refluo scaricato costituisce il criterio di discrimine tra tutela punitiva di tipo amministrativo e quella strettamente penale.
Ai fini della tutela penale dall’inquinamento idrico nella nozione di acque reflue industriali Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ex articolo 74, comma 1, lettera h, (come modificato dal Decreto Legislativo 16 gennaio 2008, n. 4) rientrano tutti i tipi di acque derivanti dallo svolgimento di attivita’ commerciali e produttive, in quanto detti reflui non attengano prevalentemente al metabolismo umano ed alle attivita’ domestiche di cui alla nozione di acque reflue domestiche, come definite dall’articolo 74, comma 1, lettera g).
Per determinare, quindi, le acque che derivano dalle attivita’ produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realta’ domestica (cfr. sez. 3, 27 novembre 2003, dep. 20 gennaio 2004 n. 978; conformi sez. 3, 1 luglio 2004 n. 35870, sez. 3, 24 ottobre 2002 n. 42932, sez. 3 n. 1774/2000).
Le attivita’ produttive, inoltre, non necessitano per essere tali di un vero e proprio stabilimento: l’insediamento puo’ essere effettuato anche in un edificio che non abbia complessivamente destinazione industriale.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, il criterio distintivo tra insediamenti civili e insediamenti produttivi deve essere ricercato in concreto sulla base dell’assimilabilita’ o meno dei rispettivi scarichi, per quantita’ e qualita’ dei reflui, a quelli provenienti da insediamenti abitativi.
Tate principio, gia’ espresso piu’ volte nella vigenza della L. n. 319 del 1976, e’ stato ribadito anche nella vigenza delle successive discipline (ex plurimis, sez. 3, 6 dicembre 2011, n. 45341;sez. 3 n.2340 del 2013; sez. 3, 13 maggio 2014, n. 24330, la quale contiene una disamina della giurisprudenza sul punto).
Deve, dunque, ribadirsi quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la definizione di acque reflue domestiche, contenuta nel Decreto Legislativo n. 152 del 2006, quali acque provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attivita’ domestiche, e’ tale da non ricomprendere ai sensi del successivo articolo 101, comma 7, lettera e) le acque reflue non aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche (ex plurimis, sez. 3, 15 dicembre 2010, n. 2313, Rv. 249532; sez. 3, 18 giugno 2009, n. 35137, Rv. 244587).
Pertanto, nella nozione di acque reflue industriali rientrano tutti i reflui derivanti da attivita’ che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attivita’ domestiche e non sono costituiti da acque meteoriche di dilavamento (ex multis, sez. 3, 7 luglio 2011, n. 36982).
Le acque reflue prodotte da un centro di emodialisi, quindi, in quanto provenienti da una attivita’ che ha ad oggetto l’effettuazione di prestazioni terapeutiche (l’emodialisi’ e’ una terapia fisica sostitutiva della funzionalita’ renale somministrata a soggetti nei quali essa e’ criticamente ridotta e si attua mediante l’utilizzo di un impianto attraverso il quale il sangue del soggetto dializzato viene estratto dal paziente, filtrato ponendolo a contatto con il liquido di dialisi attraverso l’interposizione di una membrana di dialisi a livello della quale si determina lo scambio di soluti tra i fluidi- sangue e liquido di dialisi- e, quindi, reinfuso:; il liquido di dialisi contiene soluti ma anche sostanze microinquinanti provenienti dall’acqua utilizzata dagli apparecchi di dialisi, dai concentrati e, in particolari condizioni sfavorevoli, dalle stesse attrezzature di dialisi), sono caratterizzate dalla presenza di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attivita’ domestiche; non possono, quindi, essere qualificate come acque reflue domestiche ma vanno qualificate come acque reflue industriali.
Giova ricordare, poi, che, sebbene con riferimento alla materia dei rifiuti sanitari, questa Corte ha ritenuto che le acque di emodialisi rientrano nella nozione di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254, in quanto la presenza di sangue nelle stesse e’ da sola sufficiente a farle rientrare nella predetta categoria (Sez. 3, n. 22021 del 13/04/2010, Rv. 247604).
Va rimarcato, infine, la delibera Giunta Regionale Campania n. 1350 del 6 agosto 2008, richiamata dalla ricorrente a fondamento del motivo proposto quale normativa regionale vigente al momento dei fatti, non menziona affatto tra gli scarichi assimilabili alle acque reflue domestiche i centri di emodialisi e, quindi, non assume alcun rilievo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 152 del 2006, articolo 101, comma 7, lettera e), che, comunque, prevede l’applicabilita’ della normativa regionale purche’ le acque indicate come assimilate alle acque reflue domestiche abbiano caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche.
Il Giudice di merito, pertanto, avendo accertato che l’imputata, nella qualita’ di legale rappresentante del Centro di Emodialisi sito in Sarno, ha effettuato scarichi senza autorizzazione dei relativi reflui nella raccolta delle acque piovane, ne ha correttamente affermato la penale responsabilita’, in applicazione dell’articolo 74, comma 1, nel combinato disposto delle lettera g) e h), in relazione al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 101, comma 7, lettera e), trattandosi di acque reflue industriali per cui e’ configurabile la contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 137, comma 1.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ inammissibile.
Va ricordato che l’impugnazione proposta come appello, riqualificata dalla Corte territoriale come ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 568 c.p.p., comma 5, in base al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l’automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato, cio’ comportando che l’atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (ex multis: Sez. 1, n. 2846 del 08/04/1999 – dep. 09/07/1999, Annibaldi’ R, Rv. 213835).
Nel caso in esame, il motivo proposto e’ diverso da quelli consentiti dalla legge ex articolo 606 c.p.p., comma 3, atteso che, come si desume dal tenore dell’originario gravame, esso attiene a censure di merito, riguardanti, da un lato la rivalutazione del compendio probatorio e dall’altro la ricostruzione in fatto della vicenda, ambiti che esulano dal sindacato di legittimita’.
3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
5. L’inammissibilita’ del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza del motivo proposto non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione (Sez. U. del 25.3.2016 n. 12602; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv.256463; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Rv.231164; Sez. 4 n. 18641, 22 aprile 2004).
P.Q.M.

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