Illegittima – perché troppo generica – la motivazione della sentenza che condanni l’utilizzo di fatture inesistenti, in quanto le prestazioni (a fronte delle quali sarebbero state emesse le fatture) non potevano ritenersi effettuate dalle ditte emittenti
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 24 febbraio 2017, n. 9139
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente
Dott. CERRONI Claudio – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza del 15/2/2016 della Corte di appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Enrico Mengoni;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Dr. Marinelli Felicetta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 15/2/2016, la Corte di appello di Genova, in riforma della pronuncia emessa il 28/11/2014 dal Tribunale di Savona, dichiarava (OMISSIS) colpevole del delitto di cui all’articolo 81 cpv. c.p., Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 2, e lo condannava alla pena di un anno e nove mesi di reclusione; il Collegio di appello riteneva che la decisione di primo grado – che aveva assolto l’imputato dall’accusa di aver indicato nelle dichiarazioni dei redditi ed i.v.a. degli anni 2007 e 2008 (prescritta l’annualita’ 2006) elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti – fosse gravata da evidenti illogicita’, risultando per contro che i lavori indicati nei documenti medesimi non fossero stati mai effettuati.
2. Propone diffuso ricorso per cassazione quest’ultimo, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi, cosi’ sintetizzati:
– vizio motivazionale ed erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2.
La Corte di merito, contrariamente all’oggetto della contestazione, avrebbe riconosciuto la responsabilita’ del ricorrente solo per aver concorso nella falsificazione delle fatture, in palese dissonanza con la lettera e la ratio della norma di cui alla rubrica; tale eventuale falsita’, infatti, non sarebbe sufficiente ad integrare il reato;
– vizio motivazionale ed erronea applicazione del Decreto Legge n. 16 del 2012, articoli 1 e 2 e articolo 8, comma 1. La sentenza avrebbe condannato l’ (OMISSIS) per aver indicato nelle dichiarazioni fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, a fronte di un’accusa avente ad oggetto fatture oggettivamente inesistenti; ipotesi del tutto diversa ed esclusa dalle risultanze dibattimentali, che avevano confermato la pacifica esecuzione dei lavori di cui ai documenti, e la congruita’ degli importi in essi indicati;
– vizio motivazionale e violazione di legge quanto all’affermazione di responsabilita’. Il Collegio di appello – contrariamente all’insegnamento della Suprema Corte, oltre che della C.e.d.u. – avrebbe ribaltato la pronuncia di primo grado senza la necessaria motivazione “rafforzata” e, soprattutto, omettendo di escutere di nuovo i testi della difesa che – gia’ ritenuti attendibili in primo grado – avevano confermato che le lavorazioni di cui trattasi erano state eseguite proprio dagli emittenti le fatture in oggetto. Attesa la diversa valutazione di queste deposizioni, la rinnovazione dell’istruttoria sarebbe stata necessaria; del resto, ad opinare diversamente – e cioe’ ritenere irrilevanti tali affermazioni – si ravviserebbe comunque una carenza motivazionale, atteso che delle stesse la pronuncia impugnata non avrebbe fatto alcuna menzione;
– vizio motivazionale e violazione di legge con riferimento agli articoli 192 e 194 c.p.p., con travisamento dei fatti. La condanna si fonderebbe su numerose petizioni di principio (quanto all’assenza di prove circa il subappalto delle opere; quanto alla capacita’ “imprenditoriale” delle ditte emittenti le fatture; quanto alla ragione della presenza di (OMISSIS) e (OMISSIS) sui cantieri) palesemente illogiche e, soprattutto, prive di ogni riscontro, come agevolmente confermato da numerosi passaggi dibattimentali, che il ricorso riporta in modo analitico (pagg. 19-20, 23);
– mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione all’articolo 27 Cost., articolo 530 c.p.p., comma 2. In forza di quanto precede, la condanna sarebbe stata pronunciata in spregio al principio dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio” e con un’inammissibile inversione dell’onere della prova a carico del ricorrente, a fronte delle macroscopiche carenze investigative riscontrate e delle prove a discarico offerte dalla difesa;
– vizio motivazionale e violazione di legge con riguardo alle circostanze attenuanti generiche. Queste sarebbero state escluse con ragionamento incongruo e, soprattutto, ravvisando erroneamente il profitto del reato nell’intero importo di cui alle fatture e non nella minore imposta evasa;
– vizio motivazionale e violazione di legge in relazione agli articoli 240 e 322-ter c.p.. La confisca sarebbe stata disposta senza alcuna verifica del rapporto tra valore dei beni in sequestro e provento del reato; che, peraltro, nel caso di specie risulterebbe assente, atteso che la fatturazione in esame sarebbe avvenuta in regime di “reverse charge”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta fondato; al riguardo, peraltro, le doglianze in punto di responsabilita’ possono essere trattate congiuntamente, attesane la sostanziale identita’ di ratio.
In primo luogo, ed in ordine al rapporto tra le due difformi pronunce di merito, va innanzitutto rammentato che, ai fini della riforma di una decisione assolutoria, non e’ sufficiente “una diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilita’ rispetto a quella operata dal primo Giudice”, ma occorre che la sentenza di appello abbia “una forza persuasiva superiore, tale da far cadere ogni ragionevole dubbio, in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto” (tra le altre, Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, Paparo e altri, Rv. 256869). La condanna, si e’ detto infatti, deve presupporre “la certezza della colpevolezza”, mentre “l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza, ma la mera non certezza della colpevolezza” (Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066). Anche da cio’, pertanto, deriva la conseguenza, piu’ volte anch’essa ribadita da questa Corte, secondo cui nel caso di riforma da parte del Giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudicante ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’insostenibilita’ sul piano logico e giuridico degli argomenti piu’ rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo Giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (da ultimo, tra le tante, Sez. 5, n. 35762 del 05/05/2008, P.G. in proc. Aleksi e altri, Rv. 241169).
4. Orbene, tutto cio’ premesso, ritiene il Collegio che la Corte di merito non abbia fatto buon governo di questi principi, concludendo per la responsabilita’ dell’ (OMISSIS) in forza di una motivazione incongrua e, soprattutto, non “rafforzata” nei termini anzidetti.
In particolare, la sentenza di appello ha mosso dalle dichiarazioni rese da (OMISSIS) e (OMISSIS) (titolari di due delle ditte che avevano emesso le fatture di cui alla rubrica, in apparente subappalto dei lavori commissionati all’ (OMISSIS) da terzi) e – condividendo l’assunto del primo Giudice – le ha ritenute inattendibili; dal che la conclusione circa la falsita’ delle fatture medesime, aventi ad oggetto lavori che le ditte in esame – in uno con quella in capo a (OMISSIS) – non avevano mai eseguito. Questa conclusione e’ stata tratta dalla Corte di merito in ragione di numerose emergenze probatorie, che avevano evidenziato che 1) il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) non avevano alcuna struttura imprenditoriale idonea a svolgere i lavori fatturati ed asseritamente subappaltati dal ricorrente, anche alla luce della consistenza degli stessi come desumibile dai relativi importi ((OMISSIS) svolgeva attivita’ di imbianchino e piastrellista, senza dipendenti e con semplici attrezzi da muratore; lo stesso, peraltro, aveva negato di aver svolto i lavori fatturati. (OMISSIS), per suo contro, era un autotrasportatore, e parimenti aveva negato di aver svolto i lavori di cui alla fattura n. (OMISSIS), peraltro patteggiando relativa la pena ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8); 2) (OMISSIS) non aveva ricordato di aver eseguito le opere fatturate (peraltro, quanto al 2006, per quasi 70 mila Euro), affermando di aver alle dipendenze due ignoti cittadini extracomunitari, giammai regolarizzati. Lo stesso, peraltro, aveva riferito – quanto alla fattura n. (OMISSIS), per quasi 40 mila Euro – di esser stato pagato in contanti e con assegni, ma di non esser in grado di documentare alcunche’, in quanto mai titolare di un conto corrente bancario o postale. Da ultimo. (OMISSIS) aveva affermato di aver lavorato come artigiano edile soltanto nel 2005 e 2006, poi cessando l’attivita’ senza formali comunicazioni; 3) tutte le fatture di cui trattasi, sempre di importi considerevoli (fino a 110.000,00 Euro, la n. (OMISSIS) emessa apparentemente da (OMISSIS)) sarebbero state pagate dall’ (OMISSIS) in contanti, senza alcun riscontro documentale. Una modalita’ del tutto anomala, dunque, ed assolutamente non credibile attese le somme interessate.
5. Elementi oggettivi, questi che precedono, e peraltro mai contestati con il presente ricorso, in forza dei quali la Corte di merito – con motivazione non certo manifestamente illogica – ha dunque concluso per la palese falsita’ delle fatture in oggetto, atteso che le prestazioni ivi indicate non potevano ritenersi effettuate dalle ditte emittenti.
6. Pervenuto, sino a questo punto, ad identica conclusione gia’ raggiunta dal primo Giudice, il Collegio si e’ pero’ poi distinto dal Tribunale, ed in tal senso la motivazione risulta viziata nei termini anzidetti; in particolare, mentre la sentenza di primo grado aveva concluso che i lavori – accertati nella loro materiale esistenza – erano stati verosimilmente eseguiti da imprese diverse da quelle facenti capo a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ed al nero, la Corte di appello ha negato tale assunto, affermando che le stesse opere non sarebbero mai state realizzate, si’ da confermare l’originaria imputazione nei termini dell’utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
Tale differente conclusione, tuttavia, non appare congruamente motivata. In particolare, neppure un accenno risulta compiuto alle emergenze dibattimentali in se’ non manifestamente illogiche – in forza delle quali il Tribunale aveva riconosciuto l’esistenza delle opere: 1) i rilievi fotografici di cui ad una consulenza tecnica della difesa, che “forniscono una rappresentazione dei fabbricati interessati dai lavori che, pur non consentendone una stima, da’ conto, senza trovare smentita in alcun elemento contrario, della loro concreta esecuzione”; 2) l’assenza di “alcuna contestazione in ordine al fatto che l’ (OMISSIS) abbia a sua volta fatturato ai clienti finali i lavori eseguiti, il che depone ancora nel senso dell’effettivita’ degli stessi”.
Argomenti, questi che precedono, ai quali la Corte di appello non ha dedicato nessun passaggio, neppure di segno critico, trattandoli tamquam non essent; la sentenza, infatti, si e’ concentrata soltanto sulla falsita’ delle fatture di cui all’imputazione, come gia’ ricordato, non anche sull’effettivita’ delle opere in esse indicate.
Argomenti, per contro, che risultano decisivi per l’affermazione del giudizio di responsabilita’, atteso che l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – contestato, con precisione, nella rubrica in esame richiede per certo che i lavori o le prestazioni ivi contenuti non abbiano mai avuto luogo, in tutto o in parte; quel che la sentenza di primo grado aveva affermato in ragione delle indicate emergenze processuali, e l’altra ha invece negato, senza alcun confronto con la precedente motivazione. Con assorbimento di ogni ulteriore censura.
La decisione, pertanto, deve esser annullata con rinvio alla Corte di appello di Genova in diversa composizione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Genova in diversa composizione
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