Corte di Cassazione, S.U.P., sentenza 22 febbraio 2017, n. 8825.

L’appello (al pari del ricorso per cassazione) e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata

Suprema Corte di Cassazione

S.U.P.

sentenza 22 febbraio 2017, n. 8825

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere

Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere

Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere

Dott. CERVADORO Mirella – Consigliere

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessand – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 24/05/2016 della Corte di appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Componente Dr. Alessandro Maria Andronio;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Aniello Roberto, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 gennaio 2012 resa all’esito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Parma ha condannato (OMISSIS) alla pena di un mese di reclusione e Euro 50 di multa, in relazione al delitto di tentato furto pluriaggravato di un telefono cellulare (cosi’ diversamente qualificata l’originaria imputazione di furto consumato), con esclusione della contestata recidiva, applicazione delle attenuanti di cui all’articolo 62 c.p., n. 4 e articolo 62-bis c.p., ritenute prevalenti sulle aggravanti di cui all’articolo 625 c.p., n. 2 e 7, ed applicazione della diminuente per il rito.

Il Tribunale, dopo avere esposto le ragioni alla base della derubricazione, della concessione delle predette attenuanti con giudizio di prevalenza e dell’esclusione della recidiva, ha determinato il trattamento sanzionatorio – “visti e valutati i parametri di cui all’articolo 133 c.p.” – partendo da una pena base di mesi tre di reclusione ed Euro 150 di multa e ha negato la concessione dei benefici di legge, richiamando i precedenti penali, indicati come ostativi.

2. Avverso la sentenza il difensore dell’imputato ha presentato appello, lamentando che il Tribunale, nella quantificazione della pena, avesse posto come pena-base una condanna elevata, secondo i criteri di cui all’articolo 133 c.p., ed eccessiva in considerazione delle modalita’ del fatto. Su tali basi, ha formulato le seguenti richieste: rideterminazione della pena in senso favorevole all’imputato; applicazione del minimo della pena; prevalenza delle attenuanti sulle contestate aggravanti; applicazione della diminuente per il rito, concessione dei benefici di legge.

3. Con ordinanza del 24 maggio 2015, emessa d’ufficio ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 2, la Corte di appello di Bologna ha dichiarato inammissibile l’appello dell’imputato, rilevando che l’impugnazione constava della mera richiesta di riduzione della pena, in quanto “eccessiva in considerazione delle modalita’ del fatto” e che le richieste risultavano palesemente deficitarie, sia con riferimento ad elementi oggettivi di valutazione, sia per i profili di critica rispetto alle argomentazioni del Tribunale.

4. Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, contestando la ritenuta genericita’ dell’atto d’appello, poiche’, avendo lamentato l’eccessivita’ della pena nonostante la derubricazione del reato e la mancata concessione delle attenuanti generiche in regime di prevalenza sulle aggravanti, non era necessaria “una esposizione lunga, prolissa e maggiormente specifica”.

Il difensore ha svolto poi ulteriori doglianze relative all’equivalenza tra le circostanze che – a suo dire – il Tribunale avrebbe ritenuto, e ha censurato la quantificazione della pena (che si era discostata “in maniera illegittima e immotivata dal minimo edittale”) e la riduzione per le attenuanti generiche in misura inferiore ad un terzo (da due mesi a quarantacinque giorni di reclusione), chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.

5. Con decreto del 29 luglio 2016, il Primo Presidente ha assegnato d’ufficio il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 610 c.p.p., comma 2, per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 611 c.p.p., in considerazione della necessita’ di risolvere il persistente contrasto rilevabile, nella giurisprudenza della Suprema Corte, sul tema della specificita’ dei motivi di appello e dei poteri di declaratoria di inammissibilita’ delle impugnazioni, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p..

6. Con memoria depositata il 29 settembre 2016, il Procuratore generale ha preso posizione sul contrasto giurisprudenziale oggetto della rimessione alle Sezioni Unite, concernente la necessita’ o meno di valutare “con minore rigore” la specificita’ dei motivi di appello rispetto a quelli di ricorso in cassazione: necessita’ sostenuta da uno dei contrapposti indirizzi, talora in base al c.d. favor impugnationis, talaltra in base ai tratti distintivi dei due giudizi (manifesta infondatezza rilevabile solo in cassazione; diversita’ del meccanismo devolutivo).

Al riguardo, il P.g. ha osservato che tali peculiarita’ non possono implicare un minore rigore valutativo, ne’ incidere di per se’ sulla portata del requisito della specificita’, sul rilievo che le differenze tra i due mezzi di impugnazione riguardano i vizi deducibili e la cognizione attribuita al giudice, ma sempre nell’ambito di una impugnazione ammissibile e quindi dotata di motivi specifici.

In ordine, poi, alla definizione della “specificita’” del motivo di impugnazione, il P.g. ha ritenuto di dover distinguere tra le questioni di fatto (in relazione alle quali e’ necessario esporre con precisione le circostanze fattuali poste a sostegno delle richieste, indicandone la rilevanza e il collegamento logico rispetto alla conclusioni critiche prospettate nei confronti della sentenza impugnata), le questioni di diritto (dove la specificita’ assume una minore pregnanza, essendo necessario enunciare con chiarezza il principio di diritto posto a fondamento della richiesta) e le questioni concernenti il trattamento sanzionatorio e le circostanze (che implicano necessariamente un riferimento alla situazione di fatto, non potendo quindi ritenersi sufficiente il mero richiamo agli elementi previsti dall’articolo 133 c.p.p.).

Infine, ha esaminato la questione della necessita’ che vi sia, anche in appello, una correlazione tra le argomentazioni svolte nel motivo di impugnazione e quelle poste a base della decisione impugnata; questione che per il P.g. assorbe quella, non meno controversa in giurisprudenza, relativa alla possibilita’ di riproporre le questioni prospettate in primo grado e disattese dalla sentenza. Sul punto, il P.g. ha osservato che la correlazione deve ritenersi necessaria, anche alla luce della rilevanza costituzionale conferita all’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, e che quindi l’appello non puo’ non contenere una critica alla motivazione del provvedimento impugnato. Peraltro, attese le peculiarita’ del giudizio di appello, la critica non deve necessariamente evidenziare – a differenza di quanto avviene con il ricorso per cassazione – profili di illogicita’ o contraddittorieta’ della motivazione, essendo sufficiente che il motivo di appello non sia avulso dalle argomentazioni svolte in sentenza, delle quali deve tener conto. Ne consegue che, con i motivi di appello si possono anche riproporre questioni, di fatto e di diritto, gia’ affrontate dal giudice di primo grado, ma si deve comunque tenere conto della motivazione della sentenza impugnata: il giudice d’appello dovra’ valutare, ai fini dell’ammissibilita’, non la fondatezza della tesi esposta, ma l’esistenza di una critica pertinente ed argomentata.

Su tali basi ricostruttive, il P.g. ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, evidenziando l’intrinseca genericita’ del motivo di appello proposto nel caso in esame, con cui la difesa si era limitata a dedurre l’eccessivita’ della pena, richiamando le modalita’ del fatto (non meglio precisate), ed aveva tra l’altro invocato un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti che era gia’ stato in realta’ formulato in primo grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto per la quale il ricorso e’ stato rimesso alle Sezioni Unite, in presenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, e’ la seguente: “Se, e a quali condizioni e limiti, il difetto di specificita’ dei motivi di appello comporti l’inammissibilita’ dell’impugnazione”.

1.1. Si tratta di un problema che concerne uno dei piu’ delicati snodi dell’intero sistema processuale penale, perche’ concerne l’ampiezza del “filtro” costituito dalla declaratoria di inammissibilita’ delle impugnazioni, previsto dall’articolo 591 c.p.p., comma 2; declaratoria che il giudice deve emettere, tra l’altro, qualora l’atto impugnatorio difetti di uno dei requisiti individuati dall’articolo 581 c.p.p. (articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c). Tali disposizioni si collocano entrambe nel Titolo 1 (“Disposizioni generali”) del Libro 9 (“Impugnazioni”) e sono, percio’, certamente applicabili sia all’appello che al ricorso per cassazione. Esse disciplinano i requisiti formali e sostanziali cui deve sottostare l’atto introduttivo, e rappresentano il superamento del principio di liberta’ delle forme che caratterizzava il previgente codice di rito del 1930, nel quale, tra l’altro, il momento della presentazione dell’impugnazione era separato da quello della presentazione dei motivi.

Il codice vigente delinea, dunque, un “modello” di impugnazione in forma scritta che, da un lato, deve consentire l’individuazione del provvedimento impugnato, attraverso l’indicazione anche della data e dell’autorita’ emittente (articolo 581, alinea) e, dall’altro lato, deve “enunciare” i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione (articolo 581, lettera a), le richieste (lettera b) nonche’ i motivi, per i quali – a differenza degli altri requisiti di cui alle lettere a e b – e’ prevista la necessita’ dell’indicazione “specifica” delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta (lettera c). E la dottrina individua le ragioni di tale impostazione – ritenuta funzionale ad una rigorosa definizione sia dell’oggetto del giudizio di controllo, sia dell’ambito dei poteri cognitivi e decisori attribuiti al giudice dell’impugnazione – nella finalita’ di garantire il diritto alla verifica della giustizia, in senso ampio, della decisione, evitando, pero’, iniziative pretestuose e dilatorie.

La giurisprudenza di legittimita’ si pone in armonia con tale ricostruzione interpretativa, evidenziando, a proposito dei requisiti di forma richiesti dall’articolo 581 c.p.p., che “il contenuto tipico della impugnazione e’ stato (…) rigorosamente definito dal codice di rito che, nel riconoscere alla parte le piu’ ampie possibilita’ di iniziativa contro le decisioni ritenute erronee, ha inteso al tempo stesso evitare ogni uso strumentale e meramente dilatorio dei rimedi previsti” (Sez. 6, n. 5489 del 29/04/1999, Bassi).

1.2. L’individuazione dell’ambito di applicazione dei richiamati articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 591 c.p.p., con riferimento agli atti introduttivi del giudizio di appello costituisce, dunque, una problematica di rilevanza tutt’altro che teorica, ove solo si consideri che la declaratoria di inammissibilita’ puo’ essere adottata anche d’ufficio in sede di legittimita’, qualora l’inammissibilita’ stessa non sia stata rilevata dal giudice d’appello. Dall’articolo 591 c.p.p., comma 4 e articolo 627 c.p.p., comma 4, infatti, emerge che l’inammissibilita’ puo’ essere dichiarata in ogni stato e grado del processo, se non rilevata dal giudice dell’impugnazione, salvo che nel giudizio conseguente ad annullamento con rinvio, in cui e’ invece preclusa la rilevazione delle inammissibilita’ verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari.

A cio’ deve aggiungersi che anche l’inammissibilita’ dell’impugnazione per il difetto di specificita’ dei motivi, come ogni altro vizio “genetico”, preclude non solo l’esame del merito, ma anche l’eventuale rilevazione, ex articolo 129 c.p.p., di eventuali cause di non punibilita’, come la prescrizione del reato, anche se intervenuta prima della sentenza impugnata, e tuttavia non rilevata ne’ eccepita in quella sede, e neppure dedotta con i motivi di ricorso.

L’inammissibilita’ dell’impugnazione deve essere considerata, infatti, una categoria unitaria, nell’ambito di un sistema contraddistinto dal principio dispositivo, “nel senso che e’ nella facolta’ delle parti dare ingresso, attraverso un atto conforme ai requisiti di legge richiesti, al procedimento di impugnazione e delimitare i punti del provvedimento da sottoporre al controllo dell’organo giurisdizionale del grado successivo. Ne consegue che il momento di operativita’ dell’effetto devolutivo ope legis non puo’ che coincidere con la proposizione di una valida impugnazione, che investa l’organo giudicante della cognizione della res iudicanda, con riferimento sia ai motivi di doglianza articolati dalle parti sia a quelli che, inerendo a questioni rilevabili d’ufficio, si affiancano per legge ai primi (…). Esistono all’interno dell’ordinamento fondamentali esigenze di funzionalita’ e di efficienza del processo, che devono garantire – nel rispetto delle regole normativamente previste e in tempi ragionevoli – l’effettivo esercizio della giurisdizione e che non possono soccombere di fronte ad un uso non corretto, spesso strumentale e pretestuoso, dell’impugnazione” (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266818).

2. Prima di esaminare il contrasto giurisprudenziale emerso in ordine alla specificita’ dei motivi di appello, appare opportuno richiamare, in sintesi, gli orientamenti di legittimita’ relativi alle conseguenze derivanti dal mancato o difettoso assolvimento, da parte dell’impugnante, dell’onere di “indicare” ed “enunciare”, nel proprio atto, gli altri elementi menzionati dall’articolo 581 c.p.p., ovvero gli elementi identificativi del provvedimento impugnato, i capi o punti censurati e le richieste.

2.1. Quanto al primo dei requisiti sopra menzionati, si afferma che, ai fini dell’ammissibilita’ dell’impugnazione, l’omessa od errata indicazione del provvedimento impugnato, della data del medesimo e del giudice che lo ha emesso non ha rilievo di per se’, ma solo in quanto puo’ determinare incertezza nell’individuazione dell’atto (ex multis, Sez. 1, n. 23932 del 17/05/2013, Marini, Rv. 255813). E cio’, perche’ il combinato disposto dell’articolo 591 c.p.p., comma 2 e articolo 581 c.p.p., alinea, deve esser letto non isolatamente, bensi’ nel contesto normativo complessivo concernente le impugnazioni, che denota la scelta legislativa del favor impugnationis (ex multis, Sez. 6, n. 13832 del 26/02/2015, Bertolucci, Rv. 262935 Sez. U, n. 10296 del 12/10/1993, Balestriere, Rv. 195000).

2.2. In relazione all’enunciazione dei “capi” o dei “punti” cui si riferisce l’impugnazione (articolo 581, lettera a), le Sezioni Unite hanno chiarito che la nozione di “capo di sentenza”, riferibile soprattutto alle sentenze plurime o cumulative, va riferita ad ogni decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato: si tratta, cioe’, di “un atto giuridico completo, tale da poter costituire anche da solo, separatamente, il contenuto di una sentenza”; laddove invece “il concetto di “punto della decisione” ha una portata piu’ ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, pero’, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione”. E lo scopo della enunciazione dei capi o punti della decisione e’ quello di delimitare con precisione l’oggetto dell’impugnazione e di scongiurare impugnazioni generiche e dilatorie, in modo tale che sia lo stesso impugnante a segnare gli esatti confini dell’oggetto del gravame. Il requisito della specificita’ costituisce, cosi’, l’asse portante delle prescrizioni richieste dal richiamato articolo 581: dall’indicazione dei capi e dei punti della decisione che si impugna, per terminare con le richieste ed i motivi (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, e Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, Michaeler, Rv. 235697, che hanno espressamente richiamato i principi espressi da Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239). Anche per tale requisito, comunque, la giurisprudenza ha assunto un atteggiamento antiformalistico: si e’ infatti esclusa l’inammissibilita’ dell’impugnazione nel caso in cui il capo della sentenza che si intende impugnare sia stato erroneamente indicato, purche’ tale capo possa essere agevolmente identificato attraverso la lettura dei motivi di gravame che costituiscono parte integrante dell’atto di impugnazione, concorrendo efficacemente a delinearne il reale contenuto (Sez. 6, n. 539 del 17/02/1998, Sacco, Rv. 210753; Sez. 6, n. 1441 del 01/12/1993, dep. 1994, Marongiu, Rv. 197180).

2.3. Anche quanto alle “richieste” di cui all’articolo 581, lettera b), si registra nella giurisprudenza di legittimita’ un orientamento non formalistico, essendosi piu’ volte affermato che esse possono anche desumersi implicitamente dai motivi quando da questi emergano in modo inequivoco; e cio’ perche’ l’atto di impugnazione va valutato nel suo complesso in applicazione del principio del favor impugnationis (Sez. 5, n. 23412 del 06/05/2003, Caratossidis, Rv. 224932; in senso analogo, Sez. 6, n. 29235 del 18/05/2010, Amato, Rv. 248205; Sez. 6, n. 7742 del 06/02/2004, Gaudiso, Rv. 228978). Si e’ precisato, peraltro, che la valutazione giudiziale puo’ supplire ad un’enunciazione erronea o insufficiente delle richieste, ma non alla sua assoluta mancanza (Sez. 6, n. 42764 del 18/09/2003, Scalia, Rv. 226934).

3. A differenza che per i profili appena esaminati, l’articolo 581 c.p.p. prevede espressamente, per l’enunciazione dei “motivi” di impugnazione, il requisito della “specificita’”, riferita alle “ragioni di diritto” e agli “elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”. E la precisazione delle caratteristiche e dei contorni di tale specificita’ assume rilevanza decisiva ai fini della valutazione di ammissibilita’, da effettuarsi ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c).

4. A prescindere dalla casistica giurisprudenziale che ha per oggetto le ipotesi, assolutamente patologiche, nelle quali l’impugnazione risulta intrinsecamente priva di specificita’ e prima di passare ad analizzare la questione della specificita’ dell’appello, e’ opportuno richiamare la consolidata giurisprudenza che ha affermato l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione in caso di mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.

Sul piano generale, si e’ evidenziato che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili “non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato” (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), e che le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo “non puo’ ignorare le ragioni del provvedimento censurato” (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

Piu’ in particolare, si e’ ritenuto “inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli gia’ dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso” (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone, Rv. 243838). Nella medesima prospettiva e’ stata rilevata, per un verso, l’inammissibilita’ del ricorso per cassazione “i cui motivi si limitino a enunciare ragioni ed argomenti gia’ illustrati in atti o memorie presentate al giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento impugnato” (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181). E non e’ comunque sufficiente, ai fini della valutazione di ammissibilita’, che ai motivi di appello vengano aggiunte “frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento “attaccato” e l’indicazione delle ragioni della loro decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito” (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584)”.

5. Le considerazioni che precedono valgono, pero’, solo con riferimento ai requisiti di specificita’ estrinseca dei motivi di ricorso per cassazione. Diversa e’ invece la situazione con riferimento alla valutazione dei motivi di appello, in relazione alla quale si e’ sviluppato il contrasto interpretativo oggetto della presente decisione.

Prima di procedere all’analisi dei due indirizzi interpretativi in contrasto, e’ opportuno evidenziare preliminarmente che la questione controversa e’ stata trattata, anche di recente, da un numero elevatissimo di pronunce: cio’ rende inevitabile fare riferimento solo alle decisioni che sono apparse particolarmente rappresentative, perche’ contengono esplicite enunciazioni di principio. Tali decisioni si differenziano dal gran numero di quelle in cui i diversi criteri valutativi utilizzati hanno costituiscono un presupposto implicito del decidere, e non l’espressione di un principio enunciato e giuridicamente motivato sul piano astratto.

5.1. L’indirizzo favorevole ad una differente valutazione dell’inammissibilita’ dei motivi di appello, con specifico riguardo alla necessita’ di sottoporre ad una puntuale critica la motivazione della sentenza impugnata, afferma la necessita’ di valutare il requisito della specificita’ dei motivi di appello in termini meno stringenti e comunque diversi rispetto al corrispondente scrutinio dei motivi di ricorso per cassazione, talora limitandosi a richiamare il principio del favor impugnationis, in altre occasioni valorizzando anche la diversa struttura del giudizio di appello rispetto a quello di legittimita’, con particolare riferimento alla differente funzione rispettivamente svolta, dai motivi di ricorso, nell’individuazione dei poteri cognitivi e decisori del giudice dell’impugnazione.

Le sentenze che sono espressione di tale indirizzo non negano la necessita’ di valutare con rigore la c.d. “genericita’ intrinseca” dei motivi, ritenendo inammissibili gli appelli fondati su considerazioni generiche o astratte, o comunque non pertinenti al caso concreto (ex plurimis, Sez. 6, n. 3721 del 2016 e Sez. 1, n. 12066 del 05/10/1992, Makram), ovvero su generiche doglianze concernenti l’entita’ della pena a fronte di sanzioni sostanzialmente coincidenti con il minimo edittale (ex multis, Sez. 6, n. 18746 del 21/01/2014, Raiani, Rv. 261094).

Il segnalato contrasto ha, dunque, per oggetto la sola c.d. “genericita’ estrinseca” dei motivi di appello, ovvero la mancanza di correlazione fra questi e le ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza impugnata.

5.1.1. Si e’ infatti sostenuto che la valutazione del tasso di determinatezza dei motivi di impugnazione, da cui dipende l’ammissibilita’ dell’atto, deve essere volta ad accertare la loro chiarezza e specificita’ in rapporto ai principi della domanda, della devoluzione e del diritto di difesa dei controinteressati. E cio’ in considerazione del fatto che, pur essendo le norme in materia d’impugnazione ispirate ad un principio di articolato formalismo, nella implicita e necessaria prospettiva di delimitare nei suoi esatti confini il campo di indagine del giudice del gravame, tale formalismo non deve essere inutilmente esasperato, ogni qualvolta sia possibile la sicura individuazione dei vari elementi dell’atto di impugnazione, altrimenti mortificandosi il principio del favor impugnationis. Si valorizza, dunque, la necessita’ di valutare l’atto di appello nel suo complesso, al fine di apprezzarne la completezza e quindi l’idoneita’ a dare impulso al successivo grado di giudizio, e si esclude che l’inammissibilita’ possa discendere dal fatto che le censure, riproposte con i motivi di appello, siano state gia’ esaminate e confutate dal giudice di primo grado. E cio’ in quanto “tale rilievo, se e’ pertinente nell’ambito del giudizio di cassazione, nel quale costituisce motivo di “aspecificita’” la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, non puo’ essere utilizzato con riferimento al giudizio di appello in considerazione dell’effetto devolutivo dei motivi di impugnazione, che consente ed impone al giudice di secondo grado la rivisitazione dei capi e dei punti impugnati” (Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012, Livrieri, Rv. 253983; in senso analogo, ex multís, Sez. 3, n. 23317 del 09/02/2016, Iosa; Sez. 5, n. 8645 del 20/01/2016, Stabile; Sez. 3, n. 5907 del 07/01/2014, F.R.; Sez. 2, n. 6609 del 03/12/2013, dep. 2014, Diop, Rv. 258199).

Le conclusioni appena esposte sono state ribadite da numerose pronunce, anche in tempi recenti, con varieta’ di accenti argomentativi (ex multis, Sez. 3, n. 30388 del 13/04/2016, Curti; Sez. 6, n. 3721 del 24/11/2015, dep. 2016, Sanna, Rv. 265827; Sez. 5, n. 5619 del 24/11/2014, dep. 2015, Stankovic, Rv. 262814; Sez. 1, n. 1445 del 14/10/2013, dep. 2014, Spada, Rv. 258357).

Altre pronunce riconducibili all’indirizzo in esame pongono l’accento non tanto sulla diversita’ strutturale e funzionale del giudizio di appello rispetto a quello di cassazione, quanto sulla centralita’ del principio del favor impugnationis, inteso come una clausola generale, alla cui stregua deve essere interpretato l’articolo 581 c.p.p., lettera c), per evitare che esso divenga uno strumento di fatto per la deflazione dei carichi di lavoro (Sez. 6, n. 9093 del 14/01/2013, Lattanzi, Rv. 255718. V. anche Sez. 2, n. 16350 del 03/02/2016, Cerreto; Sez, 2, n. 2782 del 24/11/2015, dep. 2016, Tavella; Sez. 5, n. 41082 del 19/09/2014, dep. 2015, Sforzato, Rv. 260766).

5.1.2. Vi sono poi alcune pronunce che si collocano in posizione intermedia tra l’orientamento di cui sopra e l’opposto orientamento, restrittivo, di cui si dira’. Esse riguardano, in particolare, il profilo della riproposizione, nell’atto di impugnazione, di questioni gia’ esaminate e disattese nella sentenza impugnata ed affermano che e’ la diversita’ strutturale tra i due giudizi a far escludere che la riproposizione di questioni gia’ esaminate e disattese in primo grado sia causa di inammissibilita’ dell’appello, che ha per contenuto la rivisitazione integrale del punto “attaccato”, con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel motivo: inammissibilita’ che sussiste invece nel giudizio di cassazione, dove la censura deve colpire uno dei vizi della motivazione tassativamente indicati nell’articolo 606 c.p.p., lettera E).

(Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, Rv. 259456; Sez. 4, n. 48469 del 07/12/2011, El Katib, Rv. 251934).

Si tratta di affermazioni che sono state in piu’ occasioni riprese da altre pronunce, che hanno anch’esse escluso, per ragioni sistematiche, l’inammissibilita’ del motivo di appello contenente una mera richiesta di rivalutazione delle prove. Si e’ osservato, in particolare, che il carattere peculiare del giudizio di appello e’ proprio quello di avere ad oggetto la riproposizione delle medesime questioni prospettate e respinte in primo grado ed una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti in primo grado, dal momento che non si verte in un caso di ricorso di legittimita’, bensi’ di una impugnazione di merito, naturalmente diretta ad una piena revisio prioris instantiae, ovviamente nei limiti del devoluto (ex multis, Sez. 3, n. 11678 del 03/03/2015, Mazzucchetti; Sez. 6, n. 50613 del 06/12/2013, Kalboussi, Rv. 258508; Sez. 3, n. 1470 del 20/11/2012, dep. 2013, Labzaoui, Rv. 254259).

5.2. Il secondo orientamento che ha dato vita al contrasto oggetto del presente giudizio e’ quello che afferma la sostanziale omogeneita’ della valutazione della specificita’ estrinseca dei motivi di appello e dei motivi di ricorso per cassazione; omogeneita’ che trova la sua base in considerazioni di tipo sistematico, imperniate sulla struttura del giudizio di appello. Si tratta anche in questo caso di affermazioni formulate con accenti diversi, a cui la giurisprudenza di legittimita’ e’ giunta attraverso percorsi argomentativi non sempre omogenei.

Una prima ragione alla base della piena equiparazione tra appello e ricorso per cassazione, quanto alla specificita’ dei motivi di censura, e’ stata individuata come anticipato – nella natura del giudizio di appello, che non costituisce un “nuovo giudizio”, ma “uno strumento di controllo o, rectius, di censura, su specifici punti e per specifiche ragioni, della decisione impugnata”; con la conseguenza che l’impugnazione deve “esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto” (Sez. 6, n. 13621 del 06/02/2003, Valle, Rv. 227194).

In alcuni casi, peraltro, il requisito della specificita’ estrinseca e’ delineato in termini di particolare rigore, nel senso che sono stati ritenuti generici i motivi non attinenti alla effettiva ratio decidendi della decisione appellata, e quelli che “non impingono le strutture portanti del costrutto argomentativo della decisione appellata nella prospettiva, prescritta dal rito, della confutazione dialettica delle ragioni specifiche effettivamente poste dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata” (Sez. 1, n. 26336 del 09/06/2011, Borra). E si e’ osservato che solo la rilevazione di una “manifesta carenza” di specificita’ del motivo, per la mancanza di ogni concreta correlazione con le ragioni esposte nella sentenza impugnata, puo’ ritenersi compatibile – secondo una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 591 c.p.p., comma 2, – con la procedura de piano ivi prevista (Sez. 3, n. 12355 del 07/01/2014, Palermo, Rv. 259742).

Il variegato panorama delle pronunce ascrivibili all’orientamento “restrittivo” e’ poi arricchito da una serie di decisioni che hanno evidenziato la necessita’ di valutare “con minor rigore” la specificita’ dei motivi di appello, rispetto a quelli di ricorso per cassazione, pur contestualmente precisando che tale differente valutazione “non puo’ comportare la sostanziale elisione” del requisito di cui all’articolo 581 c.p.p., lettera c), (ex plurimis, Sez. 6, n. 2345 del 18/12/2015, dep. 2016, Carpiceci; Sez. 7, n. 17461 del 03/07/2015, dep. 2016, Pantano; Sez. 5, n. 39210 del 29/05/2015, Jovanovic, Rv. 264686).

6. Ritengono le Sezioni Unite, condividendo le considerazioni svolte dal Procuratore generale, che il secondo dei due orientamenti sopra descritti sia piu’ coerente con il dato normativo, perche’ assimila sostanzialmente l’appello e il ricorso per cassazione, ricostruendo correttamente l’ambito e la portata degli articoli 581 e 591 c.p.p., dai quali emerge che, tra i requisiti di ammissibilita’ dell’appello, rientrano anche l’enunciazione e l’argomentazione di rilievi critici relativi alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

6.1. E’ opportuno procedere preliminarmente a delineare i tratti comuni e i tratti distintivi dei due mezzi di impugnazione, ai fini che qui interessano.

6.1.1. Sotto il primo profilo, vengono in rilievo i richiamati articoli 581 e 591 c.p.p., disposizioni che si collocano entrambe nel Titolo 1 (“Disposizioni generali”) del Libro 9 (“Impugnazioni”). La prima delle due disposizioni disciplina la “forma dell’impugnazione, prevedendo che questa si “propone con atto scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo, il giudice che lo ha emesso, e sono enunciati: a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”. Essa deve essere letta in combinato disposto con la seconda, la quale – tra le altre fattispecie di inammissibilita’ dell’impugnazione (di cui alle lettera a, b, d, del comma 1) – prevede, alla lettera c), l’inosservanza di una serie di disposizioni, tra le quali e’ indicato l’articolo 581.

I successivi commi dell’articolo 591 disciplinano il procedimento per la dichiarazione di inammissibilita’, che ha una struttura fortemente semplificata. Si prevede, infatti: a) che “il giudice dell’impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l’inammissibilita’ e dispone l’esecuzione del provvedimento impugnato” (comma 2)”; b) che tale ordinanza e’ notificata a chi ha proposto l’impugnazione ed e’ soggetta a ricorso per cassazione e che, se l’impugnazione e’ stata proposta personalmente dall’imputato, e’ notificata anche al difensore (comma 3); c) che “l’inammissibilita’, quando non e’ stata rilevata a norma del comma 2, puo’ essere dichiarata in ogni stato e grado del procedimento” (comma 4). Non e’ questa la sede per analizzare nel dettaglio tale speciale procedimento, essendo sufficiente qui rimarcare che la sua previsione codicistica conferma la centralita’ della valutazione dell’ammissibilita’ dell’impugnazione, nonche’ l’autonomia di tale valutazione, logicamente prioritaria ed eventualmente preclusiva, rispetto a quella del merito.

6.1.2. Quanto ai tratti distintivi, va evidenziato che l’appello costituisce un’impugnazione “a critica libera”, non essendo tipizzate dal legislatore le categorie dei motivi di censura che possono essere formulati, ed “attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti” (articolo 597 c.p.p., comma 1). Invece, il ricorso per cassazione costituisce un mezzo di impugnazione a critica vincolata (essendo inammissibile se proposto per motivi diversi da quelli stabiliti dalla legge, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., commi 1 e 3), che, di regola, “attribuisce alla corte di cassazione la cognizione del procedimento limitatamente ai motivi proposti” (articolo 609 c.p.p., comma 1).

6.2. In tale contesto normativo si colloca il contrasto giurisprudenziale oggetto del presente giudizio, che trova il suo fondamento nella tensione che indubbiamente esiste fra il principio di specificita’ dell’appello, enunciato dal richiamato articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), che non opera alcuna distinzione fra appello e ricorso per cassazione, e il principio devolutivo fissato dall’articolo 597, comma 1, secondo cui la cognizione del giudice d’appello non e’ limitata ai motivi proposti, ma si estende ai punti della decisione ai quali essi si riferiscono.

Si tratta di un contrasto che non ha per oggetto il requisito della “specificita’ intrinseca” dei motivi, la cui mancanza e’ pacificamente causa di inammissibilita’ dell’appello. E cosi’ devono essere ritenuti inammissibili gli appelli fondati su considerazioni di per se’ generiche o astratte, o evidentemente non pertinenti al caso concreto.

Le difformita’ tra le soluzioni giurisprudenziali sopra evidenziate riguardano, dunque, la cosiddetta “specificita’ estrinseca”, che puo’ essere definita come la esplicita correlazione dei motivi di impugnazione con le ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

7. La tesi della riferibilita’ della “specialita’ estrinseca” anche all’appello, oltre che al ricorso per cassazione, si fonda su solide basi letterali e sistematiche.

7.1. Deve preliminarmente rilevarsi che il richiamo all’esigenza di specialita’ estrinseca dei motivi di appello non e’ ostacolato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani in materia di processo equo (articolo 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo). Infatti essa ammette che vi siano requisiti di ammissibilita’ delle impugnazioni ed evidenzia che non sussiste una “garanzia alla “doppia conforme” sul merito della regiudicanda”, richiamando l’ampia discrezionalita’ degli Stati in ordine alla configurazione dei mezzi di impugnazione e dei conseguenti giudizi.

7.1.1. Sotto il primo profilo, assume rilievo la sentenza della Corte EDU, Sez. 4, 16/06/2015, Mazzoni c. Italia, §§ 39-40, in cui si afferma che “il “diritto a un tribunale”, di cui il diritto di accesso costituisce un aspetto particolare, non e’ assoluto e si presta a limitazioni implicitamente ammesse, soprattutto per quanto riguarda le condizioni di ricevibilita’ di un ricorso, perche’ per sua stessa natura richiede anche una regolamentazione da parte dello Stato, il quale a tale proposito gode di un certo margine di apprezzamento. Tuttavia, queste restrizioni non possono limitare l’accesso disponibile alla parte in causa in maniera o a un punto tali che il suo diritto a un tribunale venga leso nella sua stessa sostanza; infine, esse si conciliano con l’articolo 6 § 1 soltanto se tendono ad uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalita’ tra i mezzi utilizzati e lo scopo perseguito (si veda, fra molte altre, Edificaciones March Gallego S.A. c. Spagna, 19 febbraio 1998, § 34 (…))”. Inoltre, la compatibilita’ delle limitazioni previste dal diritto interno con il diritto di accesso a un tribunale, riconosciuto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, dipende dalle particolarita’ della procedura in causa e dall’insieme del processo condotto nell’ordinamento giuridico interno (ex multis, Khalfaoui c. Francia, n. 34791/97, CEDU 1999-9; Mohr c. Lussemburgo, n. 29236/95, 20 aprile 1999; in senso analogo, Corte EDU, Sez. 3, 12/10/2010, Atanasiu c. Romania, §§ 114-115; Corte EDU, Sez. 2, 03/11/2009, Davran c. Turchia, § 37-38).

7.1.2. Sotto il secondo profilo – quello della garanzia del doppio grado di giurisdizione – viene in rilievo l’articolo 2 del Protocollo n. 7 della Convenzione, il cui primo comma prevede che “ogni persona dichiarata colpevole da un tribunale ha il diritto di far esaminare la dichiarazione di colpevolezza o la condanna da una giurisdizione superiore. L’esercizio di tale diritto, ivi compresi i motivi per cui esso puo’ essere esercitato, e’ disciplinato dalla legge”.

E l’interpretazione giurisprudenziale (Corte EDU, Sez. 4, 20/10/2015, Di Silvio c. Italia, § 50) ha chiarito che tale disposizione regola principalmente questioni istituzionali, “come l’accesso a una corte di appello o la portata del riesame che puo’ essere effettuato da quest’ultima (Shvydka c. Ucraina, n. 17888/12, § 49, 30 ottobre 2014)”; con la conseguenza che gli Stati contraenti dispongono, in linea di principio, di un ampio potere discrezionale per decidere le modalita’ di esercizio del relativo diritto.

Sempre sotto tale profilo, vengono anche in rilievo le affermazioni contenute nella recente sentenza della Corte EDU, Sez. 1, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia, riferita al sistema del cosiddetto filtro “a quesiti”, di cui all’abrogato articolo 366-bis c.p.c.. Tali affermazioni, pur essendo riferite a una diversa categoria di giudizio e a un diverso mezzo di impugnazione, sono suscettibili di essere estese anche all’appello penale. Con esse si ribadisce, infatti, che il legislatore, nell’ambito del suo margine di apprezzamento, puo’ imporre requisiti formali, anche rigorosi, per l’ammissibilita’ dell’impugnazione, a condizione che questi rispettino il principio di proporzionalita’, ovvero: non siano tali da vanificare il diritto a una pronuncia di merito attraverso l’imposizione eccessivi formalismi, siano chiari e prevedibili, non impongano eccessivi oneri alla parte impugnante per l’esercizio del diritto di difesa.

7.2. Venendo all’ordinamento interno, deve osservarsi che, dal combinato disposto dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), e articolo 597 c.p.p., comma 1, emerge che l’ultima di tali disposizioni – nello stabilire che la cognizione del procedimento e’ attribuita al giudice d’appello limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti – non puo’ essere interpretata nel senso che sia sufficiente, ai fini dell’ammissibilita’ dell’appello, che i motivi si riferiscano semplicemente a “punti della decisione”. Infatti l’espressione “si riferiscono”, contenuta nella disposizione, deve essere riempita di contenuto proprio sulla base dell’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c); con la conseguenza che essa non puo’ che significare “indicano specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”, in relazione ai punti della sentenza e, dunque, in relazione alla motivazione della sentenza che sorregge tali punti. In altri termini, il richiamato combinato disposto delinea: una

prima fase, necessaria, di delibazione dell’ammissibilita’, che ha per oggetto tutte le verifiche richieste dall’articolo 591, comma 1, compresa quella sulla specificita’ estrinseca dei motivi; una seconda fase, successiva ed eventuale, di valutazione del merito. Dunque, alla circostanza che la valutazione del merito nel giudizio di appello sia riferita ai “punti” e non ai “motivi” e che all’esito di tale valutazione il giudice di appello possa giungere anche a ricostruzioni di fatto o di diritto diverse da quelle prospettate dall’appellante non consegue che il giudice d’appello possa accedere alla valutazione del merito a fronte di motivi che non rispettino il requisito della specificita’. In altri termini, la piena cognitio che caratterizza i poteri del giudice d’appello – privo di vincoli rispetto sia al contenuto dei motivi di ricorso, sia alle argomentazioni svolte dal primo giudice – viene in rilievo solo se e nei limiti in cui questo sia stato legittimamente investito di quei poteri: cio’ che puo’ avvenire solo a seguito di un’impugnazione che risulti rispettosa anche delle previsioni di cui all’articolo 581 c.p.p., funzionali alla tutela di esigenze sistematiche che assumono rilievo costituzionale.

A tale conclusione non si puo’ opporre il principio del favor impugnationis richiamato nelle sentenze che sono espressione dell’indirizzo interpretativo qui non condiviso – perche’ tale principio non puo’ che operare nell’ambito dei rigorosi limiti rappresentati dalla natura intrinseca del mezzo di impugnazione, che e’ delineata non solo dall’articolo 597, comma 1, ma anche dall’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c). In altri termini, la necessita’ di valutare con minore rigore la specificita’ dei motivi di appello, rispetto a quelli di ricorso per cassazione, non puo’ comportare la sostanziale elisione di tale requisito, con la sua riduzione alla sola specificita’ intrinseca. E non si tratta, come pure affermato in giurisprudenza, di una indebita utilizzazione dell’articolo 581, comma 1, lettera C), quale strumento di fatto per una generalizzata “deflazione dei carichi di lavoro”, perche’ la valorizzazione del requisito della specificita’ estrinseca dei motivi di appello consente, invece, una selezione razionale delle impugnazioni, escludendo la trattazione nel merito per quelle che non contengono sufficienti riferimenti “ai punti della decisione”, che delimitano la cognizione del giudice d’appello.

7.3. Sul piano sistematico, la necessita’ della specificita’ estrinseca dei motivi di appello trova fondamento nella considerazione che essi non sono diretti all’introduzione di un nuovo giudizio, del tutto sganciato da quello di primo grado, ma sono, invece, diretti ad attivare uno strumento di controllo, su specifici punti e per specifiche ragioni, della decisione impugnata. E in un processo accusatorio, basato sulla centralita’ del dibattimento di primo grado e sull’esigenza di un diretto apprezzamento della prova da parte del giudice nel momento della sua formazione, il giudizio di appello non puo’ e non deve essere inteso come un giudizio a tutto campo; con la conseguenza che le proposizioni argomentative sottoposte a censura devono essere, in relazione al punto richiesto, enucleate dalla decisione impugnata. L’impugnazione deve, in altri termini, esplicarsi attraverso una critica specifica, mirata e necessariamente puntuale della decisione impugnata e da essa deve trarre gli spazi argomentativi della domanda di una decisione corretta in diritto ed in fatto. Le esigenze di specificita’ dei motivi non sono, dunque, attenuate in appello, pur essendo l’oggetto del giudizio esteso alla rivalutazione del fatto. Poiche’ l’appello e’ un’impugnazione devolutiva, tale rivalutazione puo’ e deve avvenire nei rigorosi limiti di quanto la parte appellante ha legittimamente sottoposto al giudice d’appello con i motivi d’impugnazione, che servono sia a circoscrivere l’ambito dei poteri del giudice stesso sia a evitare le iniziative meramente dilatorie che pregiudicano il corretto utilizzo delle risorse giudiziarie, limitate e preziose, e la realizzazione del principio della ragionevole durata del processo, sancito dall’articolo 111 Cost., comma 2.

Ne’ puo’ essere invocata la necessita’ di presidiare il “diritto di difesa” in considerazione del fatto che il giudizio d’appello configurerebbe l’ultima possibilita’ di rivalutazione del merito della vicenda processuale, poiche’ il giudizio di appello non e’ configurato come pura e semplice revisio prioris instantiae; mentre, nel sistema delineato dagli articoli 581 e 591 c.p.p., articolo 597 c.p.p., comma 1, si ravvisa l’esigenza di delimitare e circoscrivere i poteri del giudice di appello, in modo da rendere effettivo l’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica coordinata di atti, rispondente al valore costituzionale della ragionevole durata (Sez. U, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella).

Ed e’ per questo che i motivi, per indirizzare realmente la decisione di riforma, devono contenere, seppure nelle linee essenziali, ragioni idonee a confutare e sovvertire, sul piano strutturale e logico, le valutazioni del primo giudice. Solo attribuendo tali connotazioni al requisito di specificita’ dei motivi di appello, in definitiva, il giudice dell’impugnazione puo’ dirsi efficacemente investito dei poteri decisori di cui all’articolo 597 c.p.p., comma 2, lettera b), nonche’ legittimato a verificare tutte le risultanze processuali e a riconsiderare anche i punti della sentenza di primo grado che non abbiano formato oggetto di specifica critica, senza essere vincolato alle alternative decisorie prospettate nei motivi di appello.

7.4. L’affermazione della necessaria esplicita correlazione dei motivi di appello con la sentenza impugnata si pone, peraltro, in coerenza con l’attuale indirizzo di riforma legislativa, rappresentato dal disegno di legge recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, approvato dalla Camera dei Deputati il 23/09/2015, ed attualmente all’esame del Senato (Atti Senato, n. 2067), diretto, fra l’altro, alla razionalizzazione, deflazione ed efficacia delle procedure impugnatorie.

Tale intervento modificativo si muove in una duplice direzione: da un lato, si prevede la costruzione di un modello legale di motivazione in fatto della decisione di merito, che si accorda con l’onere di specificita’ dei motivi di impugnazione; dall’altro, si interviene sui requisiti formali di ammissibilita’ dell’impugnazione, che vengono resi coerenti con tale modello. In particolare, l’articolo 18 del disegno di legge reca una modifica radicale dell’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), disponendo che la sentenza debba contenere “la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione e’ fondata, con la indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e con la enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie, con riguardo: 1) all’accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono alla imputazione e alla loro qualificazione giuridica; 2) alla punibilita’ e alla determinazione della pena, secondo le modalita’ stabilite dall’articolo 533, comma 2, e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilita’ civile derivante dal reato; 4) all’accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali”. In sostanza, si riconosce e si rafforza il necessario parallelismo che sussiste fra motivazione della sentenza e motivo di impugnazione, richiedendo, per entrambi, un pari rigore logico-argomentativo. E, in tale ottica, l’articolo 21, comma 2, del disegno di legge interviene sull’articolo 581 c.p.p., anzitutto prevedendo in via generale che, a pena di inammissibilita’, l’enunciazione dei vari requisiti sia “specifica” (laddove invece l’attuale testo dell’articolo 581 richiede la specificita’ per i soli motivi, non anche per i capi o punti della decisione censurati, ne’ per le richieste); inoltre, si richiede l’enunciazione specifica anche “delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione e l’omessa o erronea valutazione”; infine, si dispone che l’enunciazione specifica delle richieste comprenda anche quelle “istruttorie”.

Si tratta, dunque, di interventi che, realizzando un collegamento sistematico fra l’articolo 581 e l’articolo 546 c.p.p. ancora piu’ stretto di quello gia’ esistente, confermano la conclusione che l’onere di specificita’ dei motivi di impugnazione, proposti con riferimento ai singoli punti della decisione, e’ direttamente proporzionale alla specificita’ delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, con riferimento ai medesimi punti.

7.5. La valorizzazione della specificita’ dei motivi di appello nel processo risulta pienamente coerente anche con gli sviluppi del modello del processo civile, che risulta caratterizzato – sia nell’interpretazione giurisprudenziale data alla previgente disciplina, sia nel tenore letterale della disciplina attualmente vigente – dal principio di specificita’ dell’impugnazione, addirittura con la previsione che, ai fini dell’ammissibilita’, assuma rilievo la ragionevole probabilita’ che l’impugnazione sia accolta.

In particolare, la disciplina dei requisiti formali dell’atto di appello e’ contenuta nell’articolo 342 c.p.c., che, nel testo in vigore prima della modifica introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, si limitava a prevedere che l’appello contenesse “l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione”, senza peraltro esplicitamente prevedere conseguenze per il difetto di specificita’.

Tuttavia, le Sezioni Unite civili avevano ricondotto tale patologica ipotesi nell’alveo dell’inammissibilita’, ricostruita come conseguenza della nullita’ di un atto inidoneo al raggiungimento del suo scopo (evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado) ed insuscettibile di sanatoria (Sez. U civ., n. 16 del 29/01/2000, Rv. 533632). Le stesse Sezioni Unite civili hanno in seguito ulteriormente precisato i contorni della specificita’, anche in relazione alla necessita’ di correlarsi con il percorso motivazionale del provvedimento impugnato, chiarendo che, “affinche’ un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato, non e’ sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volonta’ in tal senso, ma e’ necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico” (Sez. U civ., n. 23299 del 09/11/2011 Rv. 620062).

La modifica dell’articolo 342 c.p.c. introdotta nel 2012 ha fornito pieno riscontro a tale orientamento. Infatti, il nuovo testo del primo comma del predetto articolo ha eliminato il generico riferimento ai “motivi specifici dell’impugnazione”, disponendo che l’appello debba essere motivato, e prevedendo espressamente la sanzione di inammissibilita’, qualora la motivazione non contenga “l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado” (articolo 342, comma 1, n. 1), ovvero “l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata” (articolo 342, comma 1, n. 2). Dello stesso tenore sono le prescrizioni introdotte dalla riforma del 2012 anche nel nuovo testo dell’articolo 434 c.p.c., dedicato ai requisiti formali dell’atto di appello nelle controversie in materia di lavoro. E, come anticipato, si e’ parallelamente introdotta, con il nuovo articolo 348-bis c.p.c., una nuova causa di inammissibilita’ dell’appello, sostanzialmente corrispondente alla manifesta infondatezza, che il giudice deve dichiarare con ordinanza – salvo che nelle ipotesi contemplate dal cit. articolo 348-bis, comma 2 – quando l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilita’ di essere accolta”.

8. Affermata la necessita’ della specificita’, anche estrinseca, dei motivi di appello resta da delinearne l’effettiva portata.

8.1. Un primo profilo problematico, che emerge da pronunce ascrivibili ad entrambi gli orientamenti in contrasto sopra descritti e’ rappresentato dalla riproposizione, attraverso l’appello, di questioni gia’ di fatto dedotte in prima istanza.

Dal complesso di tali pronunce emergono solo difformita’ marginali, che si manifestano sotto il profilo del maggiore o minore rilievo attribuito all’uno o all’altro argomento nell’economia complessiva della motivazione, essendo chiaramente individuabile un quadro di riferimento comune, rappresentato, anche in questo caso, dalla maggiore ampiezza dell’ambito di cognizione del giudizio d’appello rispetto al giudizio di cassazione.

E proprio la diversita’ strutturale tra i due giudizi deve indurre ad escludere che la riproposizione di questioni gia’ esaminate e disattese in primo grado sia di per se’ causa di inammissibilita’ dell’appello. Il giudizio di appello ha infatti per oggetto la rivisitazione integrale del punto di sentenza oggetto di doglianza, con i medesimi poteri del primo giudice ed anche a prescindere dalle ragioni dedotte nel relativo motivo. Invece il giudizio di cassazione puo’ avere per oggetto i soli vizi di mancanza, contraddittorieta’, manifesta illogicita’ della motivazione, tassativamente indicati nell’articolo 606 c.p.p., lettera E); con la conseguenza che il motivo di ricorso non puo’, per definizione, costituire una mera riproposizione del motivo di appello, perche’ deve avere come punto di riferimento non il fatto in se’, ma il costrutto logico-argomentativo della sentenza d’appello che ha valutato il fatto.

Per contro – lo si ribadisce – se nel giudizio d’appello sono certamente deducibili questioni gia’ prospettate e disattese dal primo giudice, l’appello, in quanto soggetto alla disciplina generale delle impugnazioni, deve essere connotato da motivi caratterizzati da specificita’, cioe’ basati su argomenti che siano strettamente collegati agli accertamenti della sentenza di primo grado.

8.2. In secondo luogo, va rimarcato che il sindacato sull’ammissibilita’ dell’appello, condotto ai sensi degli articoli 581 e 591 c.p.p., non puo’ ricomprendere – a differenza di quanto avviene per il ricorso per cassazione (articolo 606 c.p.p., comma 3) o per l’appello civile – la valutazione della manifesta infondatezza dei motivi di appello. La manifesta infondatezza non e’ infatti espressamente menzionata da tali disposizioni quale causa di inammissibilita’ dell’impugnazione. Dunque, il giudice d’appello non potra’ fare ricorso alla speciale procedura prevista dall’articolo 591 c.p.p., comma 2, in presenza di motivi che siano manifestamente infondati e pero’ caratterizzati da specificita’ intrinseca ed estrinseca.

8.3. Va infine sottolineato che le considerazioni che precedono riguardano, non solo i motivi in fatto, che devono contenere una precisa esposizione degli elementi a sostegno e una puntuale confutazione della motivazione della sentenza impugnata, ma anche i motivi in diritto, con i quali devono essere specificamente dedotte le violazioni di legge, sostanziale o processuale, nonche’ le ragioni della loro rilevanza nel caso concreto, non essendo sufficiente il mero richiamo delle disposizioni cui si riferiscono.

9. Deve essere dunque enunciato il seguente principio di diritto:

“L’appello (al pari del ricorso per cassazione) e’ inammissibile per difetto di specificita’ dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata”.

10. Venendo al caso di specie, in applicazione di tale principio, il ricorso per cassazione proposto nell’interesse dell’imputato deve essere ritenuto infondato.

10.1. L’ordinanza impugnata, emessa d’ufficio ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 2, ha correttamente dichiarato inammissibile l’appello dell’imputato, rilevando che esso constava della mera richiesta di riduzione della pena, in quanto “eccessiva in considerazione delle modalita’ del fatto”, evidenziando che una richiesta cosi’ formulata risulta palesemente deficitaria sotto il profilo della motivazione, siccome del tutto priva sia di riferimenti ad elementi oggettivi di valutazione, sia di una critica dialettica rispetto alle argomentazioni svolte dal Tribunale.

10.2. La declaratoria di inammissibilita’ dell’appello assume rilievo preclusivo rispetto all’esame delle ulteriori doglianze svolte dal ricorrente, relative: all’equivalenza tra le circostanze che – a suo dire – il Tribunale avrebbe ritenuto; alla quantificazione della pena (che si era discostata “in maniera illegittima e immotivata dal minimo edittale”); alla riduzione per le attenuanti generiche in misura inferiore ad un terzo. Si tratta, infatti, di doglianze che non attengono a vizi dell’ordinanza di inammissibilita’ impugnata, ma a pretesi vizi della sentenza di primo grado, che avrebbero dovuto essere censurati davanti al giudice d’appello con la formulazione di motivi di impugnazione sufficientemente specifici.

11. Il ricorso deve essere, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali

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