Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 24 agosto 2016, n. 35386

In materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini della applicazione dell’art. 157, cod. proc. pen., per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che convivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che si trovino al momento della notificazione nella sua casa di abitazione, purché le stesse, per la qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che l’atto perverrà all’interessato

In tema di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini del computo del termine utile per provvedere al pagamento del debito contributivo, integrante causa di non punibilità ai sensi dell’art. 2, comma primo bis del d.l. 12 settembre 1983, n. 463 (convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638), è sufficiente l’effettiva e sicura conoscenza da parte del contravventore dell’accertamento previdenziale svolto nei suoi confronti, a prescindere dall’impiego di particolari formalità per la notifica, e la richiesta di rateizzazione del debito previdenziale prova sicuramente la conoscenza da parte del richiedente dell’accertamento previdenziale

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 24 agosto 2016, n. 35386

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Salerno, con sentenza del 17 giugno 2014, ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 26 settembre 2012, che aveva condannato B.P. alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa oltre alle spese per il reato di cui all’art. 81 cod. pen. e 2, comma 1 bis, del d. I. 463 del 1983, perché, in qualità di legale rappresentante della ditta Hotel Palumbo S.r.l., con sede in (omissis) , ometteva di versare all’Inps di Salerno ritenute contributive operate mensilmente nei confronti dei lavoratori dipendenti complessivamente pari ad Euro 37.484,00 relativa al periodo da maggio a ottobre 2008, da dicembre 2008 a ottobre 2009.
2. Ricorre in cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen..
2.1. Nullità del decreto di citazione e nullità della sentenza.
La notifica della raccomandata dell’INPS per consentire il pagamento è irrituale, e anche il decreto di citazione a giudizio notificato a persona non convivente, non presente nello stato di famiglia del ricorrente.
2.2. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 606, comma 1, lettera B del cod. proc. pen..
La raccomandata INPS è stata inviata e ricevuta il 19 marzo 2010, ma non dal ricorrente che non ha ricevuto nulla.
2.3. Mancanza della motivazione della sentenza impugnata.
La mancata ricezione della diffida esclude la responsabilità del ricorrente.
Ha chiesto quindi l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi.
Nel ricorso in Cassazione genericamente si ripropongono gli stessi motivi dell’appello, senza critiche specifiche alla decisione della Corte di appello.
La sentenza della Corte di Appello di Salerno impugnata ha con esauriente e logica motivazione risposto a tutte le motivazioni dell’appello del ricorrente. Nel ricorso in cassazione il ricorrente ripropone le stesse argomentazioni dell’appello senza criticare adeguatamente il percorso motivazionale della sentenza di appello. È inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l’appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato. (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014 – dep. 28/10/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
Per la notifica del decreto di citazione il ricorrente ribadisce che la stessa è stata effettuata nella sua residenza, ma a persona non convivente e non presente sullo stato di famiglia. La sentenza impugnata adeguatamente motiva ritenendo perfezionata la notifica “… mediante consegna a una persona che conviva anche temporaneamente. Pertanto, è irrilevante che colui che ha ricevuto il piego fosse residente o meno presso l’abitazione del destinatario dell’atto, potendo intendersi perfezionato: la notifica anche in caso di presenza solo occasionale in tale luogo… Peraltro, coglie nel segno primo giudice ritiene che la prova della mancata conoscenza dell’atto avrebbe dovuto essere fornita in modo oltremodo rigoroso dall’imputato, il quale, tuttavia omesso di adempiere al relativo onere”.
Sul punto vedi Cassazione, Sez. 3, n. 5930 del 17/12/2014 – dep. 10/02/2015, Currò, Rv. 263177:
“In materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini della applicazione dell’art. 157, cod. proc. pen., per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che convivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che si trovino al momento della notificazione nella sua casa di abitazione, purché le stesse, per la qualifica declinata all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore il ragionevole affidamento che l’atto perverrà all’interessato. (Nella specie la S.C. ha ritenuto valida la notificazione di un decreto penale di condanna effettuata dall’ufficiale giudiziario nelle mani di persona qualificatasi come “addetta alla casa”)”.
Per la mancata notifica delle diffide INPS la sentenza impugnata rileva che la prova dell’effettiva conoscenza delle intimazioni INPS “è fornita dalla richiesta di rateazione che il B. ha formulato in data 24 settembre 2010 e riscontrata l’8.10.2010… Pertanto l’odierno appellante è stato informato della esistenza del debito e avrebbe potuto provvedere a saldare il debito entro il termine di tre mesi…”.
Nel ricorso in Cassazione il B. contesta solo la mancata ricezione personale della diffida, ma non l’invio da parte dell’INPS e la consegna alla sua residenza: “… Infatti nessuno dubita che l’INPS abbia inviato la messa in mora al B. , ma questa difesa contesta l’efficacia di tale comunicazione atteso che la ricevuta è stata sottoscritta in data 19 marzo 2010, ma non dal B. , tantomeno da persona qualificatasi…”.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere valida la notifica, e quindi l’effettiva conoscenza della contestazione, quando la stessa è inviata nel luogo di residenza, vedi Cassazione, Sez. 3, n. 19457 del 08/04/2014 – dep. 12/05/2014, Giacovelli, Rv. 259724:
“In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la effettiva conoscenza della contestazione dell’inadempimento contributivo può essere desunta dalla esatta indicazione del destinatario e dall’indirizzo di recapito sulla raccomandata inviata al contravventore, sicché è irrilevante la impossibilità di risalire alla identità del consegnatario del plico in mancanza di concreti e specifici dati obiettivi idonei a dimostrare che la comunicazione non sia stata portata a conoscenza del destinatario senza sua colpa”.
Quello che rileva è l’effettiva conoscenza a prescindere dall’impiego di particolari formalità della notifica (“In tema di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini del computo del termine utile per provvedere al pagamento del debito contributivo, integrante causa di non punibilità ai sensi dell’art. 2, comma primo bis del D.L. 12 settembre 1983 n. 463 (convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638), è sufficiente l’effettiva e sicura conoscenza da parte del contravventore dell’accertamento previdenziale svolto nei suoi confronti, a prescindere dall’impiego di particolari formalità per la relativa notifica”; – Sez. 3, n. 2875 del 06/11/2013 – dep. 22/01/2014, Mainas, Rv. 259093 -).
Oltre a questo, l’effettiva conoscenza è incontestabile per la richiesta di rateizzazione del debito contributivo, da parte del ricorrente.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini del computo del termine utile per provvedere al pagamento del debito contributivo, integrante causa di non punibilità ai sensi dell’art. 2, comma primo bis del d.l. 12 settembre 1983, n. 463 (convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638), è sufficiente l’effettiva e sicura conoscenza da parte del contravventore dell’accertamento previdenziale svolto nei suoi confronti, a prescindere dall’impiego di particolari formalità per la notifica, e la richiesta di rateizzazione del debito previdenziale prova sicuramente la conoscenza da parte del richiedente dell’accertamento previdenziale”.
Non ci sono ulteriori motivi di ricorso.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue il pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, e delle spese del procedimento, ex art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

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