Il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 23 gennaio 2017, n. 3072
Ritenuto in fatto
1.- Con sentenza del 30 marzo 2015, la Corte d’appello di Napoli ha – per la parte che qui rileva – confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 13 maggio 2010, con la quale gli imputati odierni ricorrenti erano stati condannati, anche al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, 110, 405, P. e secondo comma, cod. pen., per avere, in concorso tra loro e con altri, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, nella qualità di fedeli del culto cristiano evangelico frequentatori delle funzioni religiose celebrate nella chiesa di tale culto, impedito e turbato l’esercizio delle funzioni, cerimonie e pratiche di culto celebrate dai ministri competenti, in particolare pregando ad alta voce al fine di coprire la voce dei celebranti e degli altri fedeli ed insultando e minacciando reiteratamente i celebranti e gli altri fedeli presenti alle funzioni.
2.- Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1.- Con un P. motivo di doglianza, si rilevano l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e vizi della motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità penale. Non si sarebbe considerato che il teste C. aveva assunto poi la veste di imputato di reato connesso ex art. 210 cod. proc. pen. (in quanto soggetto querelato), con la conseguenza che le sue dichiarazioni accusatorie avrebbero dovuto trovare riscontri esterni. Secondo la difesa, tali riscontri non potevano consistere nelle dichiarazioni del teste F., il quale aveva anzi affermato che le provocazioni da parte degli imputati erano avvenute dopo la fine del culto e non avevano, perciò, interrotto o turbato il culto stesso. Sarebbero state inoltre disattese le dichiarazioni del teste S., il quale aveva riferito che si era trattato semplicemente di una preghiera svolta ad alta voce dagli imputati. Le persone offese P., S. e C. avrebbero, inoltre, espressamente smentito la versione accusatoria, confermando che non vi era stata alcuna turbativa del culto.
2.2.- In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione, in relazione alla determinazione della pena, anche con riferimento all’aumento per la continuazione interna.
Considerato in diritto
3. – I ricorsi sono inammissibili.
Deve preliminarmente richiamarsi il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e la linearità della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili, perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria generale di cui al richiamato art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. (ex plurimis, Sez. fer., 2 agosto 2011, n. 30880; Sez. 6, 20 luglio 2011, n. 32878; Sez. 1, 14 luglio 2011, n. 33028).
3.1. – Tale principio trova applicazione anche nel caso di specie, perché – al di là della formale qualificazione dei motivi di gravame – la difesa degli imputati si è sostanzialmente limitata a ribadire rilievi in punto di fatto già compiutamente esaminati e disattesi nel giudizio d’appello, senza, peraltro, svolgere puntuali critiche alla motivazione della sentenza impugnata, la quale dà ampiamente e dettagliatamente conto delle ragioni della ritenuta responsabilità penale, evidenziando, in particolare, che: a) vi sono dichiarazioni convergenti di più testimoni, precise e concordi nella sommaria descrizione dei diversi episodi, verificatisi per un lasso di tempo non modesto; b) tale dichiarazioni si riscontrano reciprocamente, corrispondono al contenuto delle denunce-querele sporte e danno ampiamente conto del fatto che le interruzioni avvenivano reiteratamente durante il culto, alla presenza del ministro competente; c) le deposizioni di C., S., P. risultano, in tale quadro, ispirate all’intento di ridimensionare la vicenda a vantaggio degli imputati, in contrasto con le precedenti dichiarazioni accusatorie, anche se tali testimoni non hanno potuto negare che era stato necessario, durante il culto, aumentare il volume della musica per tentare di coprire gli interventi di disturbo; d) il movente, rappresentato da dissidi all’interno della comunità religiosa, non ha alcuna rilevanza, In mancanza della prospettazione difensiva di circostanze scriminanti.
Ne deriva l’inammissibilità del P. motivo di ricorso.
3.2.- Del pari inammissibile è la censura relativa al trattamento sanzionatorio.
Le doglianze difensive si risolvono, infatti, nel tentativo di ottenere da questo Corte una nuova valutazione sul punto. E una tale valutazione deve ritenersi preclusa, sia perché non attinente a lacune o vizi logici della motivazione deducibili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., sia perché già la stessa Corte territoriale aveva correttamente rilevato l’assoluta genericità dell’appello sul punto, quanto alle posizioni degli odierni ricorrenti.
4.- I ricorsi, conseguentemente, devono essere dichiarati inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della S., in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 2.000,00. I ricorrenti devono essere inoltre condannati alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6783,75, oltre spese generali e accessori, come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della S. di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili C. S., A. L., C. T., C. D., S. E., C. S., C. F., L. M. R., C. P., R. M., R. R., C. A., C. D., L. S., C. L., C. S., D. M. M., G. C., G. A., T. M., A. M., C. M., I. S., S. P., D’A. M., C. A., L. M., E. S., E. L., F. G., E. A., T. P., M. A., C. M., C. T., C. S., liquidate in complessivi Euro 6783,75, oltre spese generali e accessori, come per legge
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