Ai fini dell’integrazione dei reato di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter cod. pen. è necessario che la condotta dei soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione dei materiale pornografico prodotto, sì che esulano dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 23 agosto 2016, n. 35295
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza dei 25.9.2014 il Giudice per le indagini preliminari dei Tribunale per i Minorenni di Palermo, pronunciando nei confronti di R. S., imputato dei reato di cui agli artt. 600 ter comma 1 n.1 e 602 ter comma 5 cod. pen. per aver riprodotto materiale pedo-pornografico riprendendo tramite l’uso di un telefono cellulare F. G. nata il 13.7.1999 mentre gli praticava un rapporto orale, realizzando un video avente per oggetto gli atti sessuali sopraindicati, con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di minore di anni sedici (fatto commesso in Santa Elisabetta il 8.6.2013), dichiarava non luogo a procedersi nei confronti dei predetto per il reato ascrittogli perché minore degli anni quattordici al momento dei fatto.
2. Avverso tale sentenza hanno proposto personalmente ricorso per cassazione R. R. G. e M. M., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul minore R. S. articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
a. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 600 ter, comma 1 n. e 602 ter comma 5 cod. pen., 192 cod. proc. pen.
I ricorrenti deducono che il Giudice per le indagini preliminari ha fondato il giudizio di responsabilità dell’imputato valorizzando quanto dichiarato dal minore C. A., la cui attendibilità è stata messa in dubbio dal consulente dei PM che ha assistito alle sue dichiarazioni e smentita dalle risultanze dagli accertamenti tecnici effettuati sul telefono cellulare sequestrato e dalle dichiarazioni rese da M. C.; aggiungono, inoltre, che il Giudice per le indagini preliminari non ha menzionato le dichiarazioni rese dai minori R.S., C.C. e C. S. dalle quali emerge che a porre in essere il reato è stato altro ragazzo e non R. S..
b. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt 600 ter, comma 1 n. 1 cod. pen., 26 d.P.R. n. 488/88 e 129 cod. proc. pen.
I ricorrenti deducono che l’argomento utilizzato dal Giudice per le indagini preliminari a fondamento della sussistenza dei reato di cui all’art. 600 ter cod. pen. (l’aver mostrato il video ad altri) risulta insufficiente e contraddittorio ed in contrasto con le acquisizioni probatorie e non integra il pericolo concreto di diffusione dei materiale; argomentano che la semplice visione dei presunto filmato e la mancanza di materiale disponibilità in capo a terzi costituiscono circostanze che escludono la sussistenza del reato contestato; aggiungono che le risultanze dell’accertamento tecnico eseguito hanno escluso che vi sia stata diffusione di materiale video né mediante collegamento ad Internet né su altro supporto informatico.
Chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Va premesso che il Collegio condivide la giurisprudenza di questa Corte in base alla quale la sentenza di non luogo a procedere, ex art.26 D.P.R. n.448 del 1988,per difetto di imputabilità del minore, postula il necessario accertamento di responsabilità dell’imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, in quanto tale interpretazione della norma appare l’unica in grado di garantirne la compatibilità con il disposto dell’art. 224 c.p., che consente l’applicazione di misure di sicurezza al minore non imputabile ritenuto pericoloso(Cass., Sez. 5, n. 18052 del 17/01/2012, Rv 253758; Sez.5,n.24696 dei 23/04/2014,Rv.260572; Sez.5,n.42507 del 04/11/2008, Rv.241935).
Il Giudice per le indagini preliminari dei Tribunale per i Minorenni di Palermo ha esposto ampiamente le ragioni che impedivano l’adozione di una più ampia formula liberatoria nei confronti del protagonista dell’episodio oggetto di denuncia: nel evidenziare gli elementi che deponevano per la “sussistenza dei reato”, la sentenza richiama le dichiarazioni rese dal minore C. A. e ne valuta in positivo l’attendibilità; valuta, inoltre, come non rilevanti le dichiarazioni rese dagli altri minori sentiti.
2. I motivi di ricorso proposti si profilano essenzialmente quali censure alla motivazione della sentenza impugnata in ordine all’accertamento di responsabilità dei minore.
Essi sono manifestamente infondati.
La motivazione in esame risulta coerentemente fondate sulle dichiarazioni del minore C. A., il quale dichiarava di aver visto insieme ai compagni il video pedopornografico sul cellulare dei R. che se ne vantava.
Tali dichiarazioni sono state ritenute, con valutazione logica e puntuale, complete e dettagliate e non contraddette dalle dichiarazioni rese dagli altri minori sentiti- che riferivano di aver sentito dell’esistenza dei video ma di non averlo visto- e dalla circostanza che il video non era stato ritrovato sul telefono dell’imputato solo dopo che la voce delle indagini era già stata diffusa.
La decisione, pertanto, risulta correttamente assunta sulla base dell’accertato difetto di imputabilità.
A fronte della coerente e congrua argomentazione, risultano inconsistenti le censure mosse in ricorso alla motivazione in contestazione.
Censure che si appalesano anche inammissibili nella parte in cui si sostanziano in ricostruzioni fattuali alternative, estranee al giudizio di legittimità.
Sul punto va ricordato che il controllo dei giudice dì legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa Sez. 3, n. 12110 dei 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
La decisione, inoltre, è in linea con la giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia, in base ai quale, ai fini dell’integrazione dei reato di pornografia minorile di cui all’art. 600 ter cod. pen. è necessario che la condotta dei soggetto agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione dei materiale pornografico prodotto, sì che esulano dall’area applicativa della norma solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera strettamente privata dell’autore (Sez. U, n. 13 del 31/05/2000,Rv.21633; Sez. 3, del 21 gennaio 2005 n. 5774; Sez. 3, del 1 dicembre 2009 n. 49604; Sez. 3, dei 20 novembre 2007, dep.14 gennaio 2008 n. 1814; sez. 3, 11 marzo 2010 n. 17178; Sez.3, n. 16340 de/ 12103/2015, Rv.263355).
Nella specie, il Giudice ha precisato le circostanze dalle quali può fondatamente trarsi il convincimento della disponibilità dell’imputato a mostrare il materiale in questione ad una pluralità indeterminata di soggetti (indeterminatezza che va intesa non come implicante un elevato numero di soggetti ma piuttosto la non numerabilità ex ante degli stessi).
Assumono rilievo, sotto tale profilo, l’effettuazione di una videoripresa del rapporto orale che coinvolgeva la minore, la contestuale conservazione della stessa nella memoria di un telefono cellulare, e la successiva sottoposizione alla visione da parte di terzi.
Si tratta di elementi di per sè sufficienti a integrare il pericolo concreto di una futura diffusione dei materiale detenuto ed archiviato con modalità tali da renderlo disponibile in avvenire. A tal riguardo appare opportuno precisare che il ricorrere di una struttura organizzativa, sia pure rudimentale, non è richiesto ai fini dell’integrazione del reato in parola ma costituisce ulteriore possibile elemento dimostrativo dell’esistenza dei menzionato pericolo e come tale esso ben può essere assente e sostituito da altro idoneo indice probatorio (Sez.4, n.38967de1 5.6.2014 non massimata).
3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorso non fa seguito la condanna alle spese nè al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in ragione del disposto di cui all’art.29 dei d.lgs.28 luglio 1989 n. 272 (Sez. Unite, n. 15 del 31.5.2000, Radulovic, Rv. 216704; Sez. 1, n. 48166 dei 26/11/2008, Rv. 242438; Sez. 1, n. 16674 del 10/12/2010, dep. 29/04/2011, non massimata; Sez. 1, n. 1898 dei 30/06/2011, dep. 18/01/2012, I., Rv. 252179, non massimata sul punto; Sez. 3,n.5754 dei 16/01/2014,Rv.259134; Sez.1, n.26870 dei 03/10/2014, dep.25/06/2015, Rv.264025).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
In caso di diffusione dei presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 digs 196/03 in quanto imposto dalla legge.
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