Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 20 giugno 2016, n. 25453

Il sequestro preventivo sui beni dell’imputato il cui valore è di gran lunga superiore rispetto a quanto ritenuto dal Pm come importo del profitto deve essere ridotto perchè viziato da parziale ultrapetizione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 20 giugno 2016, n. 25453

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la ordinanza del Tribunale di Napoli del 24 marzo 2013;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SALZANO Francesco, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 24 marzo 2015 il Tribunale di Napoli ha parzialmente annullato il decreto con il quale il Gip del Tribunale di Nola aveva disposto il sequestro di due fabbricati, aventi rispettivamente il valore catastale di Euro 32.796,54 e di Euro 164.610,13, intestati a tale (OMISSIS), nonche’ dei saldi di due conti correnti bancari intrattenuti dalla medesima, per un ulteriore ammontare pari ad Euro 97.851,91, essendo quest’ultima indagata in relazione all’omesso versamento delle imposte sui redditi da questa prodotti attraverso lo svolgimento della sua attivita’ professionale nel corso degli anni 2010 e 2011.
In particolare il Tribunale partenopeo, pur avendo rilevato che, entro i limiti della cognizione propria della fase cautelare del giudizio, emergevano gli elementi per la affermazione della esistenza del fumus commissi delicti in relazione alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 74 del 2000, articolo 4, per non avere la indagata indicato nelle dichiarazioni dei redditi da lei presentate in relazione a quegli anni elementi attivi di reddito pari ad Euro 410.773,94, omettendo, pertanto di versare imposte dirette per un importo complessivamente pari ad Euro 162.972,79, ha osservato che il valore complessivo del compendio sottoposto a sequestro era esuberante rispetto all’importo della evasione contestata; ha pertanto disposto l’annullamento del decreto di sequestro limitatamente all’immobile fra i due staggiti avente il minore valore, conservando il vincolo sui restanti beni.
Ha interposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) deducendo un unico motivo di impugnazione secondo il quale l’ordinanza del Tribunale del riesame sarebbe illegittima per violazione di legge stante perdurante eccedenza tra il profitto illecito in ipotesi conseguito attraverso la infedele dichiarazione dei redditi ed il valore dei beni oggetto della misura disposta, tale anche da superare il valore il relazione al quale era stata richiesta dal Pubblico ministero la emissione della misura cautelare.
Il Tribunale, infatti, a fronte di un profitto conseguito, in ipotesi nella misura di Euro 162.972,79, ha bensi’ ridotto il sequestro disposto, ma lo ha comunque mantenuto su di un bene eccedente rispetto al predetto importo in quanto catastalmente valutato oltre 164.000,00 Euro, conservandolo altresi’ sulle somme giacenti presso istituti di credito su conti correnti o comunque relative a rapporti, intestati alla (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, risultato fondato nei sensi di cui in motivazione, deve, pertanto, essere accolto cosi’ come di seguito specificato.
Va premesso che oggetto della contestazione mossa dalla ricorrente al provvedimento impugnato e’, sotto il profilo della violazione di legge, la ritenuta violazione del principio della proporzionalita’ fra la misura cautelare disposta e la esigenza che attraverso di esse si intende tutelare nonche’ la violazione del principio che impone al giudice della cautela di non eccedere rispetto alla domanda cautelare formulatagli dal Pubblico ministero procedente; cosi’ chiarito il senso della impugnazione rileva la Corte che il ricorso e’ fondato solo con riferimento alla seconda delle prospettive dedotte.
Al riguardo va, infatti, rilevato che, in linea di principio, laddove il soggetto destinatario del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente lamenti la eccedenza fra il valore del bene staggito ed il profitto in ipotesi conseguito attraverso la contestata attivita’ delittuosa, costituente il parametro di riferimento quantitativo del valore dei beni da sottoporre a vincolo, il rimedio offerto dall’ordinamento onde rimuovere la predetta situazione non e’ costituito dal ricorso al Tribunale del riesame ma dalla richiesta indirizzata dall’indagato, o comunque dal soggetto inciso dal provvedimento di sequestro, al Pubblico ministero affinche’ questi provveda alla riduzione della garanzia e, solo in caso di esito negativo dell’esperimento di tale rimedio, e’ consentito al ricorrente dapprima l’adito al competente Gip in funzione di giudice della esecuzione – questi, infatti, avendo emesso il provvedimento di cui si discute e’ dotato della potestats judicandi in ordine alle questioni giudiziarie che si possono porre relativamente alla sua esecuzione ai sensi dell’articolo 665 cod. proc. pen. – e, infine, laddove anche in questa sede non sia stato possibile ottenere la riduzione del sequestro, di fronte a questa Corte quale giudice di ultima istanza (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 16 giugno 2015, n. 24956).
Il fatto che nel caso di specie, il ricorrente non abbia seguito la predetta procedura rende, allo stato, inammissibile la lagnanza della ricorrente cosi’ come sopra descritta.
Fondato e’, viceversa, il ricorso laddove esso e’ argomentato sotto la prospettiva della violazione di legge per avere il Tribunale del riesame non rilevato la ultrapetizione in cui e’ incorso il Gip di Nola.
Come, infatti, questa Corte ha avuto in plurime occasioni l’opportunita’ di precisare, l’applicazione della misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente postula, come indefettibile presupposto, una specifica domanda formulata a tal fine del Pubblico ministero (Corte di cassazione, Sezione 2 penale, 17 giugno 2015, n. 25375; idem Sezione 6 penale, 27 febbraio 2014, n. 9756; idem Sezione 6 penale, 21 gennaio 2014, n. 2658).
Il contenuto di tale principio va, ovviamente, inteso non solo nel senso formalistico della necessita’, ma anche della sufficienza, della preesistenza di una domanda del Pubblico ministero quale che ne sia l’oggetto, ma nel senso della necessaria corrispondenza, sia sotto il profilo qualitativo che sotto quello quantitativo, fra l’oggetto della richiesta e quello del provvedimento cautelare da emanarsi, nel senso che, avendo il Pubblico ministero indicato il valore sino alla concorrenza del quale il sequestro deve essere disposto, risultera’ viziato, appunto, da ultrapetizione il provvedimento con il quale il Gip adotti il provvedimento cautelare sino ad una concorrenza maggiore rispetto a quella indicata dall’organo della pubblica accusa nella sua richiesta.
Nel caso in esame il Tribunale di Napoli con l’ordinanza impugnata ha solo parzialmente applicato il principio di cui sopra; infatti, detto organo giurisdizionale, il quale ha pur rilevato la esuberanza del valore dei beni immobili staggiti, pari nella sua integralita’ ad Euro 295.258,58, rispetto all’importo del profitto in ipotesi conseguito dalla ricorrente, pari ad Euro 162.972,79 attraverso la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4 ed in relazione al quale il pubblico ministero aveva chiesto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, si e’ tuttavia limitato ad annullare parzialmente il decreto con il quale il sequestro era stato disposto, annullando quest’ultimo in relazione ad uno dei beni immobili sottoposti alla misura cautelare, ma conservandolo in relazione sia al restante bene immobile sia alle giacenze di liquidita’ riferibili ai conti correnti bancari intestati alla attuale ricorrente.
Nel fare cio’ il Tribunale ha, tuttavia, conservato il vincolo cautelare su beni il cui valore e’ di gran lunga superiore rispetto al valore in relazione al quale il Pubblico ministero aveva chiesto la adozione della misura, posto che questa era stata chiesta sino alla concorrenza di Euro 162.972,79, laddove lo stesso risulta essere stato confermato per effetto della ordinanza impugnata sino alla concorrenza di Euro 262.462,04, importo questa costituita dalla sommatoria del valore catastale del residuo immobile gravato dalla misura e delle somme di danaro liquido giacenti nei conti correnti bancari intestati alla (OMISSIS) gia’ originariamente oggetto della misura cautelare reale non modificata sul punto dalla ordinanza impugnata.
Quest’ultima, in considerazione della parziale ultrapetizione riscontrabile fra il suo contenuto e la richiesta di misura cautelare formulata dal Pubblico ministero, deve essere annullata limitatamente alla non dichiarata eccedenza fra il valore di quanto in sequestro e l’oggetto della richiesta di sequestro formulata dal Pubblico ministero procedente corrispondente all’importo del profitto che la stessa (OMISSIS) avrebbe conseguito per effetto della incompletezza delle dichiarazioni dei redditi dalla medesima presentate relativamente agli anni di imposta 2010 e 2011.
Sequestro che, pertanto, deve essere revocato quanto al valore eccedente rispetto al ritenuto importo di detto profitto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la ordinanza impugnata limitatamente alla eccedenza del sequestro rispetto alla somma di Euro 162.972,79 (indicata quale profitto del reato) e per l’effetto revoca il sequestro in parte qua.

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