Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 29 settembre 2016, n. 19294

Il fermo tecnico del veicolo a seguito di incidente stradale non genera automaticamente il ristoro del danno. Occorre, infatti, che il danno da fermo tecnico di veicolo incidentato sia allegato e dimostrato. La relativa prova, poi, non può avere a oggetto la mera indisponibilità del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione o della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo o nella perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall’uso del mezzo. Superata altra parte della giurisprudenza secondo cui il danno da fermo tecnico costituirebbe un pregiudizio in re ipsa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 29 settembre 2016, n. 19294

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1754/2014 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA quale incorporante di (OMISSIS) SPA, in persona del suo procuratore ad negotia Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso il provvedimento n. 1340/2012 del TRIBUNALE di TIVOLI, depositata il 19/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/07/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2007 (OMISSIS) convenne dinanzi al Giudice di pace di Tivoli (OMISSIS), (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. (che in seguito mutera’ ragione sociale in (OMISSIS) s.p.a., e come tale sara’ d’ora innanzi indicata), esponendo che:
– il (OMISSIS) era rimasto coinvolto in un sinistro stradale;
– la responsabilita’ del sinistro andava ascritta a (OMISSIS), conducente d’un veicolo a motore di proprieta’ di (OMISSIS) ed assicurato dalla (OMISSIS).
Chiese percio’ la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni.
2. Con sentenza 19.3.2010 n. 417 il Giudice di pace di Tivoli accolse
parzialmente la domanda, dichiarando la pari corresponsabilita’ dei due conducenti coinvolti.
La sentenza venne appellata da (OMISSIS).
Con sentenza 19.11.2012 n. 1340 il Tribunale di Tivoli rigetto’ il gravame.
3. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS), con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria.
Ha resistito la (OMISSIS) con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.
1.1. Questa Corte deve preliminarmente rilevare, d’ufficio, come la notifica del ricorso sia stata effettuata ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, dall’avvocato (OMISSIS), il quale non e’ il difensore del ricorrente, ma il mero domiciliatario dell’avv. (OMISSIS), difensore del ricorrente munito di procura speciale.
Ritiene tuttavia questa Corte che tale circostanza non renda invalida la notificazione.
E’, infatti, principio pacifico e risalente, quello secondo cui l’attivita’ di impulso del procedimento notificatorio – ovvero la consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario – puo’, dal soggetto legittimato a compierla, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente, e, in tal caso, l’omessa menzione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito la attivita’ suddetta, ovvero della sua qualita’ di incaricato del legittimato, e’ irrilevante ai fini della validita’ della notificazione se, alla stregua dell’atto da notificare, risulta egualmente certa la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata (Sez. 1, Sentenza n. 4520 del 08/03/2016, Rv. 638997; nello stesso senso, Sez. 1, Sentenza n. 10004 del 06/05/2011, Rv. 617834; Sez. 3, Sentenza n. 14449 del 22/06/2006, Rv. 590860).
1.2. E’ avviso di questo Collegio che tale principio debba trovare applicazione sia quando la notificazione sia eseguita secondo le regole ordinarie per mezzo d’un ufficiale giudiziario, sia quando sia eseguita direttamente dall’avvocato, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53.
Cosi’ come, nel primo caso, la persona legittimata a chiedere la notifica all’ufficiale giudiziario puo’ delegare anche verbalmente tale attivita’ ad un terzo, allo stesso modo anche l’avvocato legittimato ad eseguire personalmente la notificazione (in quanto munito di procura ed autorizzato dal consiglio dell’ordine di appartenenza) puo’ delegare il compimento di tale attivita’ ad un domiciliatario (ovviamente pur egli debitamente autorizzato dal consiglio dell’ordine), affinche’ vi provveda nomine alieno.
Il che e’ quanto avvenuto nel caso di specie, nel quale il notificante avv. (OMISSIS) ha dichiarato di eseguire la notifica “quale domiciliatario” dell’avv. (OMISSIS), e dunque necessariamente quale suo incaricato.
1.3. Nei termini che precedono deve dunque ritenersi non condivisibile ne’ il diverso orientamento seguito da Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 20468 del 12/10/2015, Rv. 637334 (la quale ha ritenuto inesistente ed insanabile la notifica del ricorso per cassazione eseguita dal domiciliatario non munito di procura); ne’ quello seguito da Sez. 6 – 3, Sentenza n. 5096 del 28/02/2013, Rv. 625357 (secondo cui e’ nulla, e dunque sanabile, la notificazione eseguita ai sensi della L. n. 53 del 1994 dal domiciliatario non munito di procura).
Non e’ condivisibile il primo, in quanto una notifica che abbia comunque raggiunto il destinatario non puo’ dirsi “inesistente”; non e’ condivisibile tuttavia nemmeno il secondo dei suddetti orientamenti, in quanto la L. 21 gennaio 1994, n. 53, articolo 1, la’ dove consente l’esecuzione della notifica diretta all’avvocato “munito di procura”, non esclude espressamente la delegabilita’ di tale atto ad altro professionista. Sicche’, in virtu’ del generale principio secondo cui gli atti non delegabili (actus legitimi) sono solo quelli espressamente previsti dalla legge, anche l’esecuzione della notifica ai sensi della L. n. 53 del 1994, puo’ essere delegata ad un domiciliatario, a condizione che il delegante sia munito di procura, e tanto lui quanto il delegato siano autorizzati dall’ordine degli avvocati.
2. Il primo motivo di ricorso.
2.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Deduce, al riguardo, che il Tribunale ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello col quale l’appellante si doleva della sottostima delle spese di lite del primo grado.
2.2. Il motivo e’ inammissibile per difetto di specificita’, ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., nn. 3 e 6.
Il ricorrente infatti, lamenta che il giudice d’appello non abbia esaminato uno dei suoi motivi di gravame.
Affinche’ la denuncia del vizio di ultrapetizione da parte del giudice d’appello possa, in sede di legittimita’, condurre alla cassazione della sentenza impugnata, e’ necessario che il ricorrente assolva due oneri:
(a) riporti compiutamente nel ricorso i motivi d’appello che assume non esaminati, si’ da consentire alla Corte di cassazione di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove”;
(b) evidenzi l’ammissibilita’ del motivo di gravame che assume non esaminato: ovvio essendo che non potrebbe questa Corte cassare con rinvio una decisione d’appello, al solo fine di far dichiarare dal giudice del rinvio l’inammissibilita’ del motivo di gravame non esaminato nella prevedente fase di merito (cosi’ ex plurimis, Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015, Rv. 636133; Sez. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012, Rv. 623618).
Anche chi propone un ricorso per cassazione deve infatti avervi interesse, e l’interesse all’impugnazione sussiste quando l’impugnante possa ricavare una utilita’ concreta dall’eventuale accoglimento di essa. Tale interesse non puo’ invece consistere in un mero interesse astratto ad una piu’ corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata: con la conseguenza che e’ inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico: come giustappunto accade nell’ipotesi in cui il ricorrente per cassazione denunci il mancato esame, da parte del giudice d’appello, d’un motivo d’appello inammissibile (Sez. L, Sentenza n. 13373 del 23/05/2008, Rv. 603196).
2.3. Cio’ posto in iure, si rileva in facto che il ricorrente ha trascritto alla p. 22 del proprio ricorso il motivo d’appello col quale lamentava la sottostima delle spese di lite del primo grado. Da tale trascrizione si apprende che con quel motivo d’appello (OMISSIS) si dolse della sentenza di primo grado perche’, oltre a liquidare le spese di lite senza distinguere tra diritti ed onorari, compi’ la relativa quantificazione “in misura notevolmente inferiore alla nota spese depositata dall’appellante”. Un motivo d’appello, dunque, palesemente inammissibile ex articolo 342 c.p.c. (anche nel testo applicabile ratione temporis), a causa della sua totale aspecificita’.
Tale inammissibilita’ del motivo di gravame rende dunque inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che quel motivo non esamino’, in virtu’ del principio secondo cui “manca di interesse a dolersi in sede di legittimita’ la parte che abbia dedotto in sede di appello una questione sulla quale il giudice di merito abbia omesso di pronunciarsi, allorquando la questione, se fosse stata dal giudice presa in esame, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile” (cosi’, testualmente, Sez. 3, Sentenza n. 466 del 22/02/1971, Rv. 350082).
3. Il secondo motivo di ricorso.
3.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta il vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Deduce, al riguardo, che la sentenza impugnata sarebbe nulla perche’
basata su “motivazioni apparenti”.
Le “motivazioni apparenti” riguarderebbero, secondo il ricorrente:
(a) la ricostruzione della dinamica;
(b) il rigetto della domanda di danno da fermo tecnico;
(c) l’esclusione dell’IVA dal costo della riparazione del veicolo danneggiato.
3.2. Il motivo e’ manifestamente infondato.
Una sentenza puo’ dirsi nulla per mancanza di motivazione o adozione d’una motivazione apparente quando quest’ultima non consente in alcun modo di ricostruire l’iter logico adottato dal giudicante. Motivazione apparente, ad esempio, sarebbe quella che dicesse “poiche’ la domanda e’ fondata, la accolgo”.
Motivazione apparente non puo’ dirsi, invece, quella con la quale valuti le prove in modo sgradito alla parte, a nulla rilevando che quelle prove potevano essere teoricamente valutate anche in modo diverso.
Nel caso di specie il Tribunale:
(a) sulla dinamica del sinistro ha espresso le ragioni del proprio convincimento, sicche’ le censure prospettate dal ricorrente si risolvono in una inammissibile critica al modo in cui il giudice ha valutato le prove e ricostruito i fatti;
(b) sulla liquidazione del danno (ovvero sulle censure indicate sub (b) e (c) al § precedente) il ricorrente solleva invece questioni di puro diritto, rispetto alle quali ovviamente non e’ mai concepibile alcun difetto di motivazione o motivazione apparente che dir si voglia. E’ la ricostruzione dei fatti che esige una motivazione, non l’applicazione delle regole di diritto: e siccome sulla quantificazione del danno il ricorrente pone questioni di diritto, nessun vizio di “motivazione apparente” e’ concepibile rispetto ad esse.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta (formalmente) che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 112, 115 c.p.c.); lamenta altresi’ che la sentenza sarebbe affetta dal vizio di nullita’ processuale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4, (derivante dalla “totale mancanza” di motivazione); lamenta infine che la sentenza impugnata sarebbe affetta dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134). Nonostante nella epigrafe del motivo il ricorrente denunci tre diversi tipi di vizi, nella illustrazione del motivo se ne espone in sostanza uno soltanto: ovvero che il Tribunale, malamente valutando le prove, non ha considerato che il veicolo condotto da (OMISSIS) invase l’opposta corsia di marcia, sicche’ quest’ultima doveva essere ritenuta responsabile esclusiva o prevalente dell’accaduto.
3.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile.
Nullita’ della sentenza non v’e’, giacche’ la motivazione non manca, ne’ e’ inintelligibile, unici casi in cui una sentenza puo’ dirsi nulla per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Omessa pronuncia non v’e’, giacche’ tale vizio sussiste quando il giudice non esamina una domanda od una eccezione, e non gia’ quando trascura di esaminare una prova od un’argomentazione difensiva.
Il vizio di omesso esame di fatti decisivi e controversi, infine, nemmeno sussiste: le Sezioni Unite di questa Corte, infatti nel chiarire il senso del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, hanno stabilito che per effetto della riforma “e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nella motivazione della sentenza appena ricordata, inoltre, si precisa che “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”.
Nel caso di specie, invece, il ricorrente col terzo motivo di ricorso pretende di censurare il modo con cui il Tribunale ha valutato le prove: e dunque un vizio non consentito in questa sede.
5. Il quarto motivo di ricorso.
5.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1223, 2043 e 2056 c.c.; articolo 115 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, che il Tribunale avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno da “fermo tecnico” del veicolo danneggiato dal sinistro. Invoca il principio secondo cui la necessita’ che un autoveicolo resti fermo per riparazioni costituisce un danno di per se’, a prescindere da qualsiasi dimostrazione ulteriore, da liquidare nella somma di Euro 80 per ogni giorno di sosta forzata.
5.2. Il motivo e’ infondato.
Questa Corte ha gia’ stabilito che “il danno da “fermo tecnico” di veicolo incidentato deve essere allegato e dimostrato e la relativa prova non puo’ avere ad oggetto la mera indisponibilita’ del veicolo, ma deve sostanziarsi nella dimostrazione o della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero della perdita subita per la rinuncia forzata ai proventi ricavabili dall’uso del mezzo. (Sez. 3, Sentenza n. 20620 del 14/10/2015, Rv. 637581, alla cui motivazione per brevita’ puo’ in questa sede rinviarsi), ed in tal senso deve ritenersi superato ed abbandonato il precedente e contrario orientamento, secondo cui il c.d. danno da “fermo tecnico” costituirebbe un pregiudizio in re ipsa.
6. Il quinto motivo di ricorso.
6.1. Col quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1223, 2043 e 2056 c.c.; articolo 115 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, che il Tribunale avrebbe commesso l’errore di liquidare il danno patito dal ricorrente e consistito nei costo di riparazione del veicolo, senza accordargli l’importo dovuto a titolo di IVA sul costo della riparazione.
6.2. Il motivo e’ infondato.
In linea generale, e’ senz’altro vero che il risarcimento del danno patrimoniale deve comprendere anche gli oneri accessori e conseguenziali: pertanto, se esso e’ consistito nelle spese da affrontare per riparare un veicolo, il risarcimento deve comprendere anche l’importo dovuto dal danneggiato all’autoriparatore a titolo di IVA, pur se la riparazione non e’ ancora avvenuta (a meno che il danneggiato, per l’attivita’ svolta, abbia diritto al rimborso o alla detrazione dell’IVA versata), dal momento che l’autoriparatore, per legge (Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 18), deve addebitarla, a titolo di rivalsa, al committente (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 1688 del 27/01/2010, Rv. 611238).
Questo principio, tuttavia, non e’ pertinente nel nostro caso, avuto riguardo alla concreta ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata.
Il Tribunale ha infatti liquidato il danno senza tenere conto dell’IVA con un ragionamento cosi’ riassumibile:
(a) il veicolo e’ stato gia’ riparato al momento della liquidazione;
(b) il danneggiato non ha dimostrato di avere sostenuto spese di sorta o versato l’IVA al riparatore;
(c) ergo, deve tenersi che la riparazione sia avvenuta “in economia”, ovvero senza versamento dell’IVA al riparatore.
Il Tribunale, dunque, non ha affatto negato in iure che l’importo dovuto a titolo di IVA sul costo delle riparazioni spetti al danneggiato se il veicolo non e’ stato riparato; ma ha semplicemente accertato in facto che, essendo stato il veicolo riparato e non essendoci fattura, doveva ritenersi che l’IVA non fosse stata assolta, e di conseguenza non vi fosse sotto questo aspetto un danno risarcibile: e questo e’ un apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede.
7. Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 c.p.c.:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 2.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;

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