Le massime
1) I parametri fissati dalle norme speciali a protezione dell’ambiente e di esigenze della collettività, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle immissioni, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile, potendo questi pervenire al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle immissioni, ancorchè contenute nei limiti di detti parametri, sulla scolta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica, La relativa motivazione, ove adeguatamente motivata costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità.
2) Hanno finalità e campi di applicazione distinti l’art. 844 c.c., da un lato, e, dall’altro, le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni rumorose(segnatamente il D.P.C.M. 1 marzo 1991 richiamato nella censura in esame).
Il primo è posto è posto a tutela del diritto di proprietà ed è volto a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini, i secondi, invece, hanno carattere pubblicistico, perseguendo finalità di interesse pubblico ed operano nei rapporti tra i privati e la P.A.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza n. 10587 del 25 giugno 2012
Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Taranto G.V. e C.R., proprietari di un appartamento sito in (omissis), lamentavano che i motori dei frigoriferi installati nel locale sottostante,adibito a macelleria, di proprietà di R. M., cagionavano rumori che superavano il limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c.. Chiedevano, pertanto, l’adozione di provvedimenti urgenti, idonei a porre rimedio a detta situazione.
Effettuata l’ispezione dei luoghi ed espletata C.T.U., il Pretore, con ordinanza 19.4.90, disponeva l’adozione dei rimedi suggeriti dal C.T.U., cui provvedevano coattivamente i ricorrenti, con l’intervento dell’ufficiale giudiziario, stante l’inerzia del R..
A seguito della riassunzione della causa innanzi al Tribunale di Taranto, dichiarato competente, rinnovata la C.T.U., con ordinanza 16.2.1996 veniva ordinato al R. l’esecuzione delle ulteriori opere ritenute necessarie per eliminare i rumori intollerabili.
Con sentenza n. 59/94 del 5.6.2003, il Tribunale di Taranto confermava detta ordinanza, condannando il convenuto al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale decisione il R. proponeva appello cui resistevano gli appellati.
Con sentenza depositata il 10.2.2005 la Corte di Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali del grado.
Osservava la Corte di merito, in relazione ai motivi di gravame, che irumori lamentati provenivano dai motori che azionavano il frigorifero della macelleria del R. e non dai motori elettrici per il raffreddamento della merce, siti nei due esercizi commerciali, adiacenti alla macelleria stessa ed adibiti, rispettivamente, alla vendita di generi alimentari e di frutta e verdura.
Per la cassazione di tale sentenza R.M. propone ricorso affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso G.V. e C.R..
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce:
1) nullità del procedimento e della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1 (per essere stato accertato un fatto contrario alle risultanze dell’ispezione giudiziale) nonchè dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6 (per motivazione meramente apparente);
il verbale di ispezione giudiziale del 21.10.88, per la sua natura di atto pubblico proveniente dal cancelliere, pubblico ufficiale, aveva valore di prova legale e le relative risultanze dovevano ritenersi vincolanti per il Giudice; la Corte di merito, invece, aveva disatteso quanto emergeva da tale verbale omettendo ogni motivazione al riguardo;
2) violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 844 c.c., della L. n. 447 del 1995, artt. 2 e 3; del D.P.C.M. 1
marzo 1991 e del D.P.C.M. 14 novembre 1997, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., comma 6;
la sentenza impugnata, si fondava su una C.T.U. non immune da vizi logici e giuridici, sia sotto il profilo del metodo, per la mancata comparazione del rumore proveniente dalla fonte sonora con il rumore di fondo e sia perchè la misura dei rumori accertata (DB 41 di giorno e DB 33 di notte), non superava di 3 DB il rumore di fondo;
3) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, su punti decisivi della controversia; il giudice di appello aveva disatteso il verbale di ispezione giudiziale, laddove si attestava che “il ronzio” avvertito nell’abitazione dei resistenti, persisteva anche dopo lo spegnimento dei motori dell’impianto di refrigerazione della macelleria e, in contrasto con tale attestazione, aveva escluso che detto ronzio provenisse dagli impianti refrigeranti siti nel negozio del fruttivendolo e del droghiere;
peraltro, in difetto dell’accertamento del rumore di fondo e di quello prodotto dagli impianti nei negozi adiacenti, erroneamente il C.T.U. aveva ritenuto intollerabili i rumori in quanto eccedenti la misura di 1 DB di giorno e di 3 DB di notte, in contrasto con la normativa pubblicistica.
Il ricorso è infondato.
In ordine alla prima doglianza va rilevato che il Pretore non aveva escluso, in sede di ispezione giudiziale, che il rumore lamentato dagli attori provenisse dalla macelleria, essendosi limitato a verificare che, poggiando l’orecchio sulle pareti dell’appartamento degli attori, si percepiva un ronzio anche quando i motori della macelleria erano fermi. La sentenza impugnata non ha negato tale circostanza, ma ha ribadito quanto già rilevato dal giudice di prime che, sulla base delle risultanze della C.T.U., aveva individuato la causa del rumore lamentato dagli attori, nei motori del banco frigorifero della macelleria. A fronte di tale accertamento in fatto, esente da vizi logici e giuridici, non può il ricorrente rimettere in discussione l’apprezzamento dei giudici di merito cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, compresa l’ispezione giudiziale, scegliendo, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Il secondo motivo è infondato.
Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale hanno finalità e campi di applicazione distinti l’art. 844 c.c., da un lato, e, dall’altro, le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attività produttive e che fissano le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilità in materia di immissioni rumorose(segnatamente il D.P.C.M. 1 marzo 1991 richiamato nella censura in esame).
Il primo è posto è posto a tutela del diritto di proprietà ed è volto a disciplinare i rapporti di natura patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini, i secondi, invece, hanno carattere pubblicistico, perseguendo finalità di interesse pubblico ed operano nei rapporti tra i privati e la P.A. (Cfr. Cass. n. 17051/2011; n. 17281/2005; n. 10735/2001).
La giurisprudenza di questa Corte ha evidenziato,in particolare, che i parametri fissati dalle norme speciali a protezione dell’ambiente e di esigenze della collettività, pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di stabilire l’intollerabilità delle immissioni, non sono necessariamente vincolanti per il giudice civile, potendo questi pervenire al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle immissioni, ancorchè contenute nei limiti di detti parametri, sulla scolta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica, La relativa motivazione, ove adeguatamente motivata costituisce accertamento di merito insindacabile in sede di legittimità.
Priva di fondamento è, infine, il terzo motivo di ricorso. Al riguardo, oltre a ribadire quanto già osservato in relazione ai motivi già esaminati, va rilevato che la Corte territoriale ha ritenuto i risultati della C.T.U. censurati in astratto e non in concreto, e che era stato invocato il D.P.C.M. senza precisare in quale zona erano collocati gli immobili. Sotto tale profilo la motivazione non viene censurata sicchè resiste a quanto dedotto dal ricorrente che, peraltro, nel riportare alcuni stralci della C.T.U. per ing. A., non prende in considerazione il fatto, esplicitato in sentenza, che il consulente stesso aveva espletato il mandato dopo che nella macelleria erano stati adottati gli accorgimenti disposti in esito al procedimento cautelare.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre accessori di legge.
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