Le massime

1. La responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera sancita dall’art. 1669 cc – (difetti ravvisabili in qualsiasi alterazione dell’opera, conseguente ad un’inadeguata sua realizzazione, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa e non determinandone, pertanto, la rovina od il pericolo di rovina, si traducano, tuttavia, in vizi funzionali di quegli elementi accessori o secondari che dell’opera stessa consentono l’impiego duraturo cui è destinata e tali, quindi, da incidere negativamente ed in considerevole misura sul godimento di essa, ciò che li distingue nettamente dai vizi e dalle difformità denunziabili, ex art. 1667 CC, con l’azione di responsabilità contrattuale e per i quali non è richiesto che necessariamente incidano in misura rilevante sull’efficienza e la durata dell’opera) – ha natura extracontrattuale, in quanto intesa a garantire la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata per la tutela dell’incolumità personale dei cittadini, e, quindi, d’interessi generali inderogabili, che trascendono i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti.

2. L’art. 1669 cc, benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata. Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti, i quali in tema di gravi difetti dell’opera possono fruire dei termini decennale di prescrizione ed annuale di decadenza.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 27 novembre 2012, n.21089

Ritenuto  in fatto

Con atto di citazione del 26.1.2000 D.S. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Ragusa del 29.6.1999 che, in accoglimento della domanda formulata da D.G. (acquirente di un appartamento nel quale si erano manifestate rilevanti lesioni alle pareti, ai solai, ai pavimenti) nei confronti di esso appellante (costruttore dell’immobile) aveva condannato quest’ultimo al pagamento in favore dell’attrice della somma di lire 48.532.500 oltre accessori.
Con sentenza 23.2.2006 la Corte di appello di Catania, in parziale riforma rideterminava in Euro 22.599,30 l’importo della condanna, osservando essere infondato l’assunto dell’appellante secondo cui, ai fini del termine decennale di cui all’art. 1669 cc, sarebbe richiesta solo l’esecuzione delle opere strutturali e non anche la completa ultimazione, posto che la norma esige il compimento dell’opera e non può ritenersi tale la costruzione che manca persino delle tramezzature interne. Infondato era il rilievo che il giudice non avrebbe potuto utilizzare quale fonte di prova la dichiarazione sostitutiva di atto notorio 24.9.1986, proveniente da terzi, trattandosi della comproprietaria.
Altri elementi, ctu e testi, esistevano ai fini della data del compimento dell’opera ed in tema di responsabilità ex art. 1669 cc il termine di decadenza per la denunzia incomincia a decorrere solo dall’acquisizione della relazione tecnica. Ricorre D. con sei motivi, resiste la D. che ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Col primo motivo si denunziano contraddittorietà ed illogicità in ordine alla data di compimento dell’opera e violazione dell’art. 1669 cc, con richiami alla ctu da cui risulta che D. aveva presentato progetto in sanatoria e dichiarazione sostitutiva da cui risultava che alla data del 30.9.1978 la costruzione abusiva era completa nelle strutture essenziali, con la conclusione, pagina dieci del ricorso, che nel 1980 l’appartamento in questione era già ultimato e manchevole solo delle rifiniture, quali pavimenti, infissi ed impianti. Seguono massime di giurisprudenza.

Col secondo motivo si lamentano violazione dell’art. 116 cpc, vizi di motivazione in ordine alla data di compimento dell’opera perché nel 1986 D.S.A. aveva dichiarato che la realizzazione era avvenuta nel 1978 e l’immobile era manchevole di rifiniture in alcune parti e privo di tramezzature interne in altre.

Col terzo motivo si denunziano violazione dell’art. 1669 cc, nullità della sentenza e vizi di motivazione per essere stata disattesa l’eccezione di decadenza sul rilievo che solo a seguito dell’accertamento tecnico preventivo la D. aveva avuto conoscenza dei vizi.

Col quarto motivo si denunziano violazione degli artt. 1669 e 2697 cc e vizi di motivazione in ordine allo affermato riconoscimento dei vizi che avrebbe determinato un nuovo rapporto di garanzia, come dedotto dalle due sentenze di merito.

Col quinto motivo si deducono vizi di motivazione in ordine alla soluzione per la eliminazione dei vizi difforme dalle indicazioni del ctu.

Col sesto motivo si censura la condanna alle spese.

Le prime due censure possono esaminarsi congiuntamente.

La responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera sancita dall’art. 1669 cc – (difetti ravvisabili in qualsiasi alterazione dell’opera, conseguente ad un’inadeguata sua realizzazione, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa e non determinandone, pertanto, la rovina od il pericolo di rovina, si traducano, tuttavia, in vizi funzionali di quegli elementi accessori o secondari che dell’opera stessa consentono l’impiego duraturo cui è destinata e tali, quindi, da incidere negativamente ed in considerevole misura sul godimento di essa, ciò che li distingue nettamente dai vizi e dalle difformità denunziabili, ex art. 1667 CC, con l’azione di responsabilità contrattuale e per i quali non è richiesto che necessariamente incidano in misura rilevante sull’efficienza e la durata dell’opera) – non è affatto di natura contrattuale, bensì extracontrattuale, in quanto intesa a garantire la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata per la tutela dell’incolumità personale dei cittadini, e, quindi, d’interessi generali inderogabili, che trascendono i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti (e pluribus Cass. 6.12.00 n. 15488, 2.10.00 n. 13003, 14.2.00 n. 1608, 7.1.00 n. 81).

L’art. 1669 cc, benché collocato tra le norme disciplinanti il contratto di appalto, è diretto alla tutela dell’esigenza di carattere generale della conservazione e funzionalità degli edifici e di altri immobili destinati per loro natura a lunga durata. Conseguentemente, l’azione di responsabilità prevista da detta norma ha natura extracontrattuale e, trascendendo il rapporto negoziale (appalto o vendita) in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di un soggetto diverso dal costruttore, può essere esercitata nei confronti di quest’ultimo, quando abbia veste di venditore, anche da parte degli acquirenti, i quali in tema di gravi difetti dell’opera possono fruire dei termini decennale di prescrizione ed annuale di decadenza, (e pluribus: Cass. 31.3.06 n. 7634, 13.1.05 n. 567, 29.3.02 n. 4622,10.4.00 n. 4485, 6.2.98 n. 1203, 19.9.97 n. 9313, 27.8.97 n. 8109, 14.12.93 n. 12304).

Le prime due censure attengono solo alla data del compimento dell’opera ma tentano una diversa lettura delle risultanze processuali, senza ribaltare quanto dedotto in sentenza, posto che sostanzialmente si riconosce la mancanza di tutti gli elementi perché l’opera si potesse considerare ultimata.

Peraltro costituisce accertamento in fatto la deduzione della sentenza sulla mancata ultimazione.

Sul terzo motivo si osserva:

Per costante insegnamento di questa Corte, l’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la ‘scoperta’ del vizio ai fini del computo dei termini annuali posti dall’art. 1669 cc – il primo di decadenza per effettuare la ‘denunzia’ ed il secondo, che dalla denunzia stessa prende a decorrere, di prescrizione per promuovere l’azione – deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi dell’opera quanto al collegamento causale di essi con l’attività progettuale e costruttiva espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del doppio termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori, solo all’atto dell’acquisizione d’idonei accertamenti tecnici; per il che, nell’ipotesi di gravi vizi dell’opera la cui entità e le cui cause, a maggior ragione ove già oggetto di contestazioni tra le parti, abbiano, anche per ciò, rese necessarie indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi da parte del committente possa implicare un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione ed, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause, per l’un effetto, alla data della denunzia e, per l’altro, a data ad essa convenientemente anteriore (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 18.11.98 n. 11613, 20.3.98 n. 2977, 94 n. 8053).

Ciò non significa, come pure ha evidenziato questa Corte con decisioni del tutto coerenti con i principi sopra richiamati, che il ricorso ad un accertamento tecnico possa giovare al danneggiato quale escamotage onde essere rimesso in termini quando dell’entità e delle cause dei vizi avesse già avuta idonea conoscenza, ma solo che compete al giudice del merito accertare se la conoscenza dei vizi e della loro consistenza fosse stata tale da consentire una loro consapevole denunzia prima ed una non azzardata iniziativa giudiziale poi, anche in epoca precedente, pur senza l’ulteriore supporto del parere d’un perito (cfr. Cass. 9.3.99 n. 1993, 2.9.92 n. 1016). Nella fattispecie la decisione impugnata ha fatto riferimento alla decisività dell’accertamento peritale.

Il quarto motivo attiene a profili che la sentenza ha trattato a pagina nove per mera completezza, donde la non decisività della censura, peraltro meramente affermata come dissenso rispetto alle due sentenze di merito.

11 quinto motivo ripropone il terzo motivo di appello sul quale la sentenza ha così dedotto: Il ctu ha spiegato che, al fine di eliminare con certezza le infiltrazioni… è necessario oltre che adeguare il sistema di deflusso delle acque realizzare una sottofondazione….D’altra parte la somma del costo dei lavori indicati è pari a lire 35.550.000 superiore alla somma determinata dal giudice di primo grado; ciò che comprova che il Tribunale non ha ritenuto necessaria la esecuzione di lavori non prescritti dal ctu.

Non vi è pertanto la lamentata divergenza rispetto alle indicazioni del ctu.

Il sesto motivo è infondato data la persistente soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3200, di cui 3000 per compensi, oltre accessori.

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