Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 19 dicembre 2012, n. 23443
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 30-1-1997 B.G. , B.L. e F.B. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Voghera Lu.Br. e, premesso che il 22-3-1996 era deceduto il proprio dante causa G.B. , esponevano che con testamento olografo del 5-9-1995 il “de cuius”, revocando implicitamente il precedente testamento dell’11-4-1993, aveva disposto delle sue sostanze nel seguente modo: “Lascio in eredità a mia nipote Lu. lire 120.000.000 la rimanenza dei soldi e beni immobili ai miei nipoti G. , L. e F. “; chiedevano pertanto la condanna della convenuta alla restituzione di tutte le somme di denaro, titoli di stato ed obbligazioni dalla medesima indebitamente trattenuti o prelevati dai conti correnti di deposito indicati ed intestati al “de cuius” ed ammontanti a circa lire 450.000.000.
Costituendosi in giudizio la convenuta chiedeva il rigetto della domanda, rilevando la data apocrifa del testamento del 5-9-1995, ed evidenziando di avere a sua volta pubblicato un precedente testamento in data 11-4-1993 con cui G.B. aveva disposto delle sue sostanze nel seguente modo: “lascio in eredità a mia nipote Br.Lu. tutte le mie disponibilità liquide e i titoli, n. 2 loculi nella cappella di famiglia, i beni immobili ai figli di B.U. Quanto sopra dopo la mia morte”.
Il Tribunale adito con sentenza del 9-7-1999 rigettava la domanda attrice, non essendo stata accertata l’integrale autenticità del testamento del 5-9-1995, e condannava gli attori al pagamento delle spese di lite.
Proposto gravame da parte di G.B. , B.L. e F.B. cui resisteva la B. la Corte di Appello di Milano con sentenza del 20-10-2005 ha rigettato l’impugnazione condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.
Per la cassazione di tale sentenza G.B. , B.L. e F.B. hanno proposto un ricorso affidato a tre motivi cui la Br. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 2697 c.c. in relazione agli artt. 184 ultimo comma e 187 primo comma c.p.c., assumono di aver fornito la prova loro incombente della autenticità e della provenienza dal “de cuius” del testamento del 5-9-1995, atteso che, se tale prova nel giudizio di primo grado non era emersa completamente, nel giudizio di appello all’esito del rinnovo della CTU di natura grafica era invece risultato chiaramente che il testamento suddetto era stato totalmente redatto da B.M.G. ; orbene, avendo la Corte territoriale ritenuto che l’osservazione del tracciato grafico delle due schede sopra menzionate evidenziava il difforme tono gestuale, più deteriore in quella datata 1993 e più vigoroso in quella del 1995, convalidando così l’opinione del primo giudice sulla anteriorità della scrittura datata 1995 rispetto a quella datata 1993, quale temperamento al regime delle preclusioni istruttorie avrebbe dovuto disporre d’ufficio i mezzi istruttori necessari al fine di poter raccogliere le prove sulle condizioni fisiche del testatore nel momento in cui risultava essere stato effettivamente redatto il testamento oggetto di consulenza, rimettendo così di fatto nei termini le parti al fine di raggiungere la prova o meno della circostanza; invece la causa era stata rimessa alla decisione senza che la stessa fosse correttamente istruita e matura in proposito.
La censura è infondata.
Sotto un primo profilo è agevole rilevare che non sussiste alcuna norma o principio di carattere generale da cui desumere la sussistenza di un potere da parte del giudice di appello di disporre d’ufficio determinate prove (fatta eccezione per quanto previsto nel rito del lavoro dall’art. 437 c.p.c.) per il fatto che la causa non sia stata sufficientemente istruita, ostando anzi a tale assunto proprio il principio dispositivo delle prove stesse in base al quale il giudice deve decidere la causa sulla base delle risultanze istruttorie ritualmente acquisite; il richiamo poi all’istituto della rimessione in termini previsto dall’art. 184 bis c.p.c. (nella formulazione anteriore alla abrogazione disposta dall’art. 46 della L. 18-6-2009 n. 69) è palesemente inconferente, presupponendo l’operatività di tale norma la richiesta di parte, che nella fattispecie non risulta essere stata proposta.
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, premesso che la procedura di verificazione del testamento suddetto in secondo grado aveva consentito di accertare che l’intera scheda testamentaria era di provenienza del “de cuius”, e che pertanto sia il testo che la firma e la data della scheda testamentaria erano riconducibili a B.M.G. , rilevano che la sentenza impugnata ha confermato la decisione di primo grado basandosi su di un convincimento che non trova fondamento negli atti di causa; infatti il Tribunale, aveva ritenuto apocrifo il testamento del 5-9-1995 in netto contrasto con le risultanze istruttorie.
La censura è fondata.
La Corte territoriale ha premesso che la questione oggetto dei motivi di appello concerneva l’autenticità della data apposta sulla scheda testamentaria del 5-9-1995, esclusa dal giudice di primo grado in base alle risultanze della CTU espletata, avendo rilevato che detto testamento, in relazione alle sue caratteristiche grafiche, risaliva ad epoca certamente anteriore al periodo di tempo di redazione del testamento olografo dell’1-4-1993.
Il giudice di appello ha quindi rilevato che la CTU grafologica disposta nel giudizio di secondo grado aveva confermato la sostanziale difformità di tono energetico tra i due testamenti, ipotizzando o il fatto che il testatore dopo il 1993, all’età di 82 anni, avesse recuperato le forze con notevole miglioramento della movimentazione gestoria e della vigoria nel tracciato, oppure che la redazione del testamento del 5-9-1995 fosse stata effettuata in periodo di tempo antecedente al 1993, quando le sue condizioni di salute potevano essere migliori.
La sentenza impugnata ha infine ritenuto che le risultanze in ordine al difforme tono gestuale, più deteriore nel testamento datato 1993 e più vigoroso in quello datato 1995, convalidavano l’assunto del primo giudice sulla anteriorità della scheda apparentemente datata 1995 rispetto a quella del 1993; né d’altra parte era stata fornita una prova, peraltro improbabile, circa un miglioramento delle condizioni generali di G.B. nel periodo intercorrente dal 1993 al 1995.
Orbene tale convincimento risulta il frutto di un percorso argomentativo illogico e contraddittorio, posto che l’evidenziato e condiviso esito della CTU grafologica espletata nel secondo grado di giudizio in ordine alla sicura riferibilità del testamento olografo del 5-9-1995 nei suoi elementi costitutivi, ovvero contenuto, data e sottoscrizione, al testatore, mal si concilia con la ritenuta redazione di esso in epoca anteriore al testamento olografo dell’11-4-1993; infatti se la data di esso deve ritenersi veridica, come affermato dalla Corte territoriale sulla scorta degli accertamenti di carattere tecnico disposti, in assenza d’altra parte della prova della sua non verità nei limiti previsti dall’art. 602 terzo comma c.c., resta incomprensibile su un piano logico concludere che, in evidente contrasto con tale elemento, il testamento in oggetto fosse stato in realtà redatto in epoca antecedente alla scheda testamentaria dell’11-4-1993; invero le rilevate considerazioni in ordine alle caratteristiche del tratto grafico del testamento per cui è causa che hanno indotto il giudicante a ritenerlo redatto prima del testamento dell’11-4-1993 non sono di per sé sufficienti, in assenza di ulteriori o comunque non chiariti elementi di giudizio, a superare quantomeno la presunzione, derivante dalla relativa data di esso, riguardo all’epoca effettiva della sua redazione; né inoltre la sentenza impugnata si è data carico di illustrare le ragioni per le quali il testatore, nel redigere il testamento in questione in epoca antecedente a quello dell’11-4-1993, vi aveva apposto la data del 5-9-1995; pertanto in sede di rinvio occorrerà procedere ad una nuovo esame di tale punto decisivo della controversia.
Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo violazione dell’art. 91 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver confermato la condanna degli esponenti al pagamento delle spese di giudizio già disposta dal giudice di primo grado nonostante che fosse stato accertato che il testamento in questione era risultato essere di provenienza certa dal “de cuius”, circostanza che era stata posta a base della domanda attrice.
Tale motivo resta assorbito all’esito dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all’accoglimento del suddetto motivo, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Depositata in Cancelleria il 19.12.2012
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