Suprema Corte di Cassazione

Sezione Seconda

sentenza del 16 febbraio 2012, n. 2242


Svolgimento del processo

1. – Con atto notificato il 22 gennaio 1999, la Banca PB (divenuta BM s.p.a.) citò davanti al Tribunale di Catania G.G., proponendo opposizione avverso il decreto emesso in data 12 novembre 1998 con cui era stato ad essa ingiunto il pagamento della somma di L. 155.372.060, oltre accessori, per prestazioni professionali che l’opposto, nella qualità di consulente di parte, aveva svolto nell’interesse della banca e dei componenti degli organi sociali, questi ultimi imputati, nell’ambito di un procedimento penale, del reato di cui al previgente art. 2621 cod. civ. Dedusse l’opponente: (a) l’intervenuta prescrezionepresuntiva di cui all’art. 2956 cod. civ.; (b) il difetto di legittimazione passiva, per non avere la banca conferito alcun incarico professionale al dott. G.; (c) l’annullabilità del negozio di conferimento d’incarico per conflitto di interesse tra il presidente del consiglio di amministrazione, imputato nel procedimento penale, e la banca opposta, parte offesa del reato.

Il convenuto si costituì, resistendo. Il Tribunale di Catania, con sentenza depositata in data 8 novembre 2001, accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo opposto, condannando il G. al pagamento delle spese processuali.

2. – Questa pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Catania, la quale, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 22 ottobre 2007, ha rigettato il gravame del G..

2.1. – La Corte territoriale ha rilevato:- che l’eccezione di prescrizionepresuntiva non costituisce ammissione implicita dell’esistenza del credito qualora il debitore abbia negato l’originaria esistenza dell’obbligazione;

che gli elementi di prova allegati dall’opponente non consentono di dimostrare il conferimento dell’incarico professionale da parte della banca; che la circostanza che la banca sarebbe stata interessata alla prestazione professionale del G. non conduce alla sua identificazione di committente, giacchè nel contratto di prestazione d’opera professionale la qualità di cliente può non coincidere con quella del soggetto a favore del quale l’opera del professionista deve essere svolta; che, in ogni caso, l’allegazione circa l’interesse della banca è smentita dagli atti processuali; che sussiste il conflitto di interessi tra il presidente del consiglio di amministrazione e la banca; che il presidente del consiglio di amministrazione, che ha conferito l’incarico professionale al G. in assenza di una delibera in tal senso da parte del consiglio di amministrazione, ha agito come falsus procurator, con la conseguenza che l’obbligazione dedotta in giudizio non ha effetto nei confronti dell’istituto di credito rappresentato.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il G. ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi, illustrati con memorie.

L’intimata BP soc. coop. a r.l. (quale successore a titolo universale della Banca PL soc. coop. a r.l., cessionaria della BM italiana s.p.a.) ha resistito con controricorso.
4. – Prima dell’udienza il ricorrente ha depositato, ai sensi della L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 26 istanza di trattazione, sottoscritta personalmente dalla parte che ha conferito la procura e autenticata dal difensore. Motivi della decisione

1. – Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. il ricorrente ha sollecitato questa Corte a rilevare d’ufficio l’improcedibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo, perchè iscritta a ruolo oltre il quinto giorno successivo alla notificazione dell’atto di opposizione, richiamando il principio enunciato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con sentenza 9 settembre 2010, n. 19246, secondo cui l’art. 645 c.p.c., comma 2, va interpretato nel senso che il termine per la costituzione dell’opponente si deve ritenere dimezzato in ogni caso, a prescindere dalla circostanza che l’opponente si sia avvalso della facoltà di ridurre il termine di comparizione.

1.1. – Non ricorrono i presupposti per dichiarare l’improcedibilità dell’opposizione al decreto ingiuntivo, perchè : deve farsi applicazione della norma di interpretazione autentica dettata dalla L. 29 dicembre 2011, n. 218, art. 2 (Modifica dell’art. 645 cod. proc. civ. e interpretazione autentica dell’art. 165 c.p.c. in materia di opposizione aldecreto ingiuntivo), il quale ha stabilito che Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l’art. 165 c.p.c., comma 1, si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’art. 163-bis c.p.c., comma 1; nella specie dagli atti risulta che l’opponente non ha assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’art. 163-bis c.p.c., comma 1, giacchè l’opposizione è stata notificata il 22 gennaio 1999 mentre la comparizione è stata fissata per l’udienza del 25 giugno 1999. 2. – Passando al merito, il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2956 e 2959 cod. civ., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, e si chiude con la formulazione del quesito di diritto “se l’eccezione di prescrizione presuntiva costituisca ammissione dell’esistenza dell’obbligazione in capo al debitore” e, in caso affermativo, con la richiesta di declaratoria della sussistenza in capo alla banca dell’obbligazione debitoria nei confronti del G..

2.1. – La censura è infondata, perchè – secondo la costante giurisprudenza (Cass., Sez. 2^, 15 dicembre 2009, n. 2 6219) – la proposizione dell’eccezione di prescrizione presuntiva non equivale a riconoscimento del debito: infatti, secondo il disposto dell’art. 2959 cod. civ., l’ammissione della mancata estinzione dell’obbligazione comporta soltanto il rigetto dell’eccezione anzidetta, ma non già l’incompatibilità della stessa eccezione con la deduzione di ulteriori eccezioni e difese di merito concernenti il rapporto obbligatorio, del tipo del difetto di legittimazione passiva del debitore.

3. – Con il secondo mezzo (violazione del principio di apparenza, di affidamento incolpevole e dell’art. 2 Cost. e dell’art. 1375 cod. civ., in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3) si chiede di affermare che “la rappresentanza apparente colposa vincoli anche il rappresentato che, con il suo comportamento doloso o colposo, ha contribuito ad ingenerare nel terzo la convinzione che il potere di rappresentanza fosse stato effettivamente e validamente conferito”, con conseguente dichiarazione di efficacia del contratto di prestazione d’opera professionale anche nei confronti della banca.

Il terzo motivo (violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) lamenta che la Corte territoriale – in presenza di incarico di prestazione d’opera professionale conferito dal presidente del consiglio di amministrazione, pur in assenza di un atto formale del consiglio di amministrazione – abbia omesso di valutare “le ulteriori circostanze di tutela degli organi apicali che porterebbero a confermare l’interesse della banca all’espletamento del mandato professionale” e, conseguentemente, “l’affidamento incolpevole del professionista, che nell’adempimento dell’incarico ricevuto dalla banca ha svolto la sua prestazione”. 3.1. – Le censure – le quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminate congiuntamente – sono infondate.

I due motivi non muovono censure specifiche al principio di diritto su cui la Corte d’appello ha fatto leva per rigettare il gravame, e cioè che quando l’incarico professionale è stato conferito dal presidente del consiglio di amministrazione in assenza di un qualsiasi atto autorizzativo da parte del consiglio di amministrazione della banca, cui compete il potere deliberativo, il contratto non è impegnativo per la società, essendo stato stipulato da un rappresentante senza poteri; e che il conferimento di incarico su iniziativa personale del presidente del consiglio di amministrazione non può essere qualificato, ai fini dell’art. 2384 cod. civ., come limitazione ai poteri di rappresentanza.

Essi tendono, invece, a demolire la sentenza impugnata da un’altra prospettiva: invocando i principi dell’apparenza colposa e rilevando che nella specie la banca, con il suo atteggiamento, avrebbe ingenerato nel terzo la convinzione che il potere di rappresentanza in realtà sussistesse, tanto più in presenza di un interesse della banca a vedere tutelata la posizione dei suoi organi apicali.

Sennonchè, da un lato tale prospettazione difensiva si scontra con l’accertamento – compiuto dal giudice del merito con logico e motivato apprezzamento – del fatto che l’attività professionale del G., consistente nella prestazione di una consulenza di parte nell’ambito di un procedimento penale, non è stata svolta nell’interesse della banca, e che anzi è configurabile un conflitto di interesse tra il rappresentante della banca e lo stesso istituto di credito con riferimento al soggetto tenuto a pagare la parcella professionale.

Dall’altro la censura – anche là dove denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge – finisce con il risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito, tendendo ad accreditare un affidamento ingenerato dalla stessa banca quando questa doveva, anzi, considerarsi danneggiata dalla condotta di false comunicazioni sociali (secondo il previgente art. 2621 cod. civ.) addebitata al presidente della società conferente l’incarico professionale di cui è causa.

Detta censura non tiene conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.

4. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta, il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.


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