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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  9 aprile 2014, n. 8346 

Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato C.F.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna M.M.L. , T.R. , P.O. , S.M. , B.L. e Ca.Do. chiedendo dichiararsi la nullità del testamento pubblico redatto dal fratello C.S. del (…) erogato dal notaio A.E. ; rilevava che con quel testamento C.S. aveva nominato suoi eredi universali il B. , la M. ed il T. e legatari lo S. , il P. ed il Ca. , e che detto testamento, non sottoscritto da C.S. , si concludeva con la seguente attestazione del notaio: “il sig. C.S. mi dichiara di non poter firmare l’atto in quanto affetto da totale cecità”.
L’attore assumeva la nullità del suddetto testamento pubblico in quanto il testatore aveva rilasciato al notaio rogante la falsa dichiarazione di essere nella impossibilità di sottoscrivere l’atto perché cieco, e che tale dichiarazione, proprio perché non veritiera, doveva essere equiparata ad un rifiuto di sottoscrivere il testamento; C.F.A. inoltre impugnava il testamento predetto anche in quanto redatto in assenza dei due assistenti previsti dalla legge 3-2-1975 n. 18.
Si costituivano in giudizio il B. , la M. , il T. , lo S. ed il P. contestando il fondamento della domanda attrice e chiedendo in subordine di essere autorizzati alla chiamata in causa del notaio A. per chiederne la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità professionale nell’eventualità di un accoglimento della domanda di declaratoria di nullità del menzionato testamento pubblico; il Ca. restava contumace.
Autorizzata la chiamata in causa l’A. si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto in quanto infondate delle domande proposte nei suoi confronti, e chiedendo l’autorizzazione alla chiamata in causa della s.p.a. Seri Assicurazioni dalla quale chiedeva in via subordinata di essere manlevato in caso di accoglimento della domanda avente ad oggetto il risarcimento di tutti i danni derivanti dalla nullità del testamento.
A seguito della autorizzazione alla chiamata in causa si costituiva in giudizio la Seri Assicurazioni eccependo che la polizza per la responsabilità professionale stipulata dal notaio A. prevedeva la presenza di coassicurazione, in quote e percentuali diverse e senza vincolo di solidarietà, tra l’esponente e le s.p.a. L’Abeille Assicurazioni, Winterthur Assicurazioni e Siat Assicurazioni e Riassicurazioni, e che di conseguenza la Seri, nella veste di delegataria, aveva soltanto il potere – dovere della gestione del contratto e non anche la rappresentanza processuale delle altre compagnie assicuratrici; chiedeva quindi rigettarsi le domande proposte nei suoi confronti e, in via subordinata, dichiararsi l’istante tenuta al pagamento della sola quota del 35% in ordine all’ammontare dei danni eventualmente liquidati in favore dei convenuti.
L’A. pertanto chiedeva ed otteneva l’autorizzazione alla chiamata in causa delle predette compagnie assicuratrici e della s.p.a SNA che, costituitesi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda proposta nei loro confronti.
Interrotto il processo a causa della liquidazione coatta amministrativa della SNA nonché della incorporazione della Seri nella CAB Assicurazioni s.p.a., riassunto poi su istanza di parte attrice, si costituiva in giudizio la s.p.a Assid in liquidazione coatta amministrativa, già s.p.a. SNA.
Il Tribunale adito con sentenza dell’8-5-2003 dichiarava la nullità del testamento pubblico del (…) di C.S. , rigettava le altre domande proposte da C.F.A. di rendiconto e di restituzione dei beni, rigettava le domande proposte dai convenuti nei confronti del notaio A. e dichiarava inammissibile la chiamata in causa delle predette compagnie assicuratrici.
Avverso tale sentenza la M. , il T. , lo S. , il P. ed il B. proponevano gravame cui resistevano sia il C. che l’A. introducendo altresì degli appelli incidentali; resistevano in giudizio anche le predette compagnie assicuratrici, mentre restava contumace il Ca. .
La Corte di Appello di Bologna con sentenza del 25-10-2007 ha dichiarato la nullità della sentenza impugnata, ha dichiarato la nullità del testamento pubblico del (…), ha rigettato tutte le altre domande svolte dalle parti, ha compensato interamente tra le parti le spese di giudizio ed ha dichiarato irripetibili le spese nei confronti del Ca. .
Per la cassazione di tale sentenza il T. , lo S. , il P. ed il B. hanno proposto un ricorso articolato in due motivi cui hanno resistito con separati controricorsi C.F.A. , l’A. , la Assid in liquidazione coatta amministrativa e la s.p.a. Navale Assicurazioni (già CAB s.p.a.); l’A. e la Assid in liquidazione coatta amministrativa hanno introdotto altresì due ricorsi incidentali affidati rispettivamente a tre ed a un unico motivo; il Ca. non ha svolto attività difensiva in questa sede; l’A. e la Navale Assicurazioni hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.
Premesso che sotto il profilo logico – giuridico occorre anzitutto esaminare i primi due motivi del ricorso incidentale proposto dall’A. , si rileva che con il primo motivo quest’ultimo, denunciando violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., sostiene che non sussisteva alcun elemento idoneo ad avvalorare l’affermazione del giudice di appello secondo cui C.S. “fosse sicuramente nelle condizioni di compiere un atto, quello della sottoscrizione…”; anzi in senso contrario era emersa la circostanza che il C. in passato aveva stipulato con lo stesso notaio atti in calce ai quali aveva regolarmente apposto la propria sottoscrizione, e che l’esponente era stato perfettamente a conoscenza della pregressa capacità del testatore di sottoscrivere; era invece rilevante il fatto che l’esponente, quale notaio rogante, a fronte della dichiarazione del testatore di non essere più in grado di sottoscrivere l’atto, aveva comunque ricevuto l’atto, ciò rappresentando la prova inconfutabile della impossibilità di quest’ultimo di sottoscrivere l’atto stesso; l’A. , quindi, che conosceva la pregressa capacità del C. di sottoscrivere, aveva ritenuto che la suddetta dichiarazione di non poter sottoscrivere il testamento pubblico trovasse effettiva rispondenza nello stato di salute in cui si trovava in quel momento il testatore, come del resto era confermato dal fatto che il C. aveva richiesto l’accompagnamento presso lo studio notarile da parte di altre persone e dal rilievo che le condizioni di malattia e di conseguente cecità del C. al momento della redazione del suddetto testamento erano indiscutibili.
Con il secondo motivo l’A. , deducendo violazione degli artt. 603 terzo comma e 590 c.c. nonché vizio di motivazione, rileva che la Corte territoriale ha affermato la falsità della dichiarazione resa dal C. al notaio di non poter sottoscrivere l’atto, ma ha completamente omesso di soffermarsi sulla ragioni che avrebbero indotto il C. stesso a rendere tale falsa dichiarazione; al riguardo doveva essere disattesa la tesi sostenuta dalla parte attrice in primo grado secondo la quale il testatore avrebbe dichiarato falsamente di non poter sottoscrivere l’atto soltanto perché non intendeva confermare le disposizioni contenute nel testamento, in quanto tale assunto non si dava carico di spiegare per quale ragione lo stesso testatore avesse dichiarato al notaio la sua volontà di escludere comunque dalla successione il fratello C.F.A. che, invece, all’esito dell’annullamento del testamento stesso, sarebbe risultato l’unico beneficiario della successione legittima.
L’A. quindi sostiene che la Corte territoriale, nel basare il proprio convincimento sul fatto che i convenuti non avevano provato che la malattia fosse così invalidante da rendere il C. non in grado di firmare, ha erroneamente invertito l’onere probatorio, posto che la dichiarazione resa dal testatore avrebbe dovuto semmai essere sconfessata da colui che aveva agito in giudizio.
Entrambi gli enunciati motivi, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono inammissibili per difetto di interesse.
Invero, premesso che la Corte territoriale ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta dai convenuti nel giudizio di primo grado nei confronti del notaio rogante, non essendo emerso alcun profilo di colpa professionale a carico di costui nell’espletamento dell’incarico, considerato altresì che l’attività del notaio è autonoma ed indipendente dalla dichiarazione resa dalla parte, si rileva che tale statuizione non risulta essere stata impugnata in questa sede; in particolare i due motivi del ricorso principale – che saranno appresso esaminati – non hanno ad oggetto la questione relativa alla responsabilità professionale dell’A. ; è pur vero che tali motivi si concludono con delle domande di merito con le quali si chiede in via subordinata anche la condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti principali per effetto della dichiarata nullità dell’atto del (…) da lui rogato, ma tali conclusioni sono irrilevanti ai suddetti fini, in quanto la cassazione sul punto della sentenza impugnata è preclusa dalla mancata formulazione di motivi con i quali si sia censurato il rigetto della domanda di risarcimento danni introdotta nei confronti del predetto professionista.
Esaminando a tal punto il ricorso principale, si rileva che con il primo motivo, denunciando violazione degli art. 2697 primo comma c.c. e 115 e 116 c.p.c., si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’accertata capacità di C.S. di firmare quale vedente la procura autenticata del 24-5-1992 e l’atto di vendita del 15-12-1992 (atti entrambi ricevuti dal notaio A. ) inducevano a ritenere che la dichiarazione resa dinanzi al notaio di non poter sottoscrivere l’atto per la sua condizione di non vedente non fosse corrispondente alla reale situazione, e che quindi il suddetto testatore, fornito di una buona istruzione e divenuto non vedente in età adulta, fosse sicuramente nelle condizioni di compiere un atto, quello della sottoscrizione, caratterizzato da automaticità e ripetitività, peraltro già compiuto in epoca non remota ed a distanza di tempo ravvicinata rispetto alla redazione del testamento pubblico; i ricorrenti principali affermano anzitutto che l’attore nel primo grado di giudizio non aveva chiesto di provare il fatto costitutivo della sua pretesa, ovvero che il testatore avesse detto il falso quando aveva dichiarato l’incapacità di firmare essendo cieco; d’altra parte la motivazione sul punto era contraddittoria, posto che il fatto noto costituito dalla accertata capacità da parte del testatore di sottoscrivere i due suddetti documenti era stato ritenuto sufficiente a legittimare la conclusione che, data la natura ripetitiva della firma, quest’ultima sarebbe stata consentita anche in una condizione di totale cecità, ovvero un fatto solo ipotizzabile e non già provato.
I ricorrenti principali inoltre rilevano che la Corte territoriale, avendo ritenuto che C.S. “fosse” sicuramente in grado di compiere l’atto, e che la sua dichiarazione di non poter sottoscrivere l’atto “non fosse” corrispondente alla sua reale situazione, lungi dall’imprimere un apprezzamento ed un giudizio in positivo a base della decisione, ha fondato il proprio convincimento su di un fatto solo possibile, ma incerto, e quindi solo ipotizzato, come confermato dall’uso del congiuntivo, che indica la possibilità o la irrealtà.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali, deducendo violazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. nonché omessa motivazione, affermano che la sentenza impugnata non ha esaminato la questione sollevata dagli esponenti in ordine alla valenza delle norme ora richiamate correlate al testamento pubblico impugnato; infatti il testatore aveva dichiarato di non essere in grado di firmare perché cieco ed il notaio rogante aveva verbalizzato tale dichiarazione, e questi due fatti materiali – non oggetto di querela di falso – erano stati acquisiti al giudizio con valenza decisiva.
Tali motivi, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondati.
La Corte territoriale ha ritenuto meritevole di accoglimento la domanda proposta da C.F. di nullità del testamento redatto in forma pubblica per difetto di forma, in quanto la non veridicità della dichiarazione del non vedente di essere impossibilitato a sottoscrivere l’atto ai sensi dell’art. 603 secondo comma c.c. equivale a mancata sottoscrizione dell’atto pubblico prevista a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 primo comma c.c.; invero era incontestato che C.S. , reso non vedente da una malattia invalidante insorta in tarda età, fosse stato persona istruita, che avesse lavorato come portiere d’albergo sino al 1993 ed avesse sottoscritto degli atti anche dinanzi al notaio in epoca non lontana dalla redazione del testamento pubblico, come la procura autenticata del 24-5-1993 e l’atto di vendita del 15-12-1992; pertanto tali elementi inducevano a ritenere che la dichiarazione resa dinanzi al notaio di non poter sottoscrivere l’atto per la sua condizione di non vedente non fosse corrispondente alla reale situazione e che C.S. , persona fornita di una buona istruzione, divenuta non vedente in età adulta, fosse sicuramente in grado di compiere un atto, quale quello della sottoscrizione, caratterizzato da automaticità e ripetitività, peraltro già compiuto in epoca non remota ed a distanza di tempo ravvicinata rispetto alla redazione del testamento pubblico.
Avendo quindi il giudice di appello indicato puntualmente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da logica e congrua motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove con i motivi in esame i ricorrenti principali tendono inammissibilmente a prospettare una valutazione diversa da quella accertata dalla sentenza impugnata in ordine alla possibilità o meno di C.S. di sottoscrivere il testamento, trascurando i poteri al riguardo devoluti al giudice di merito.
Con più specifico riferimento poi ai profili di censura sollevati dai ricorrenti principali, è anzitutto agevole assumere che C.F.A. , nel proporre la domanda di nullità del testamento pubblico suddetto, aveva dedotto il fatto costitutivo della sua pretesa, ovvero la asserita capacità di sottoscrivere l’atto da parte del fratello C.S. , con la conseguenza che la dichiarazione di quest’ultimo di essere impossibilitato al riguardo non corrispondeva alla realtà; pertanto, essendo stata provata tale capacità al momento della redazione del testamento pubblico, logicamente la Corte territoriale ha ritenuto la nullità del testamento in oggetto, posto che la accertata falsità della dichiarazione di C.S. di non poter sottoscrivere l’atto equivaleva alla mancata sottoscrizione dello stesso, ricollegando quindi al fatto provato in causa gli effetti giuridici ad esso connessi.
Non è poi ravvisabile nelle argomentazioni rese dalla sentenza impugnata il denunciato difetto di motivazione, in quanto la ritenuta la capacità di C.S. di sottoscrivere il testamento pubblico del (…) per effetto della incontestata sua capacità di sottoscrizione di atti in epoca pregressa non lontana è frutto di una valutazione probatoria di natura presuntiva del tutto corretta, posto che nella prova per presunzioni ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c. non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità; al riguardo occorre che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (Cass. 31-10-2011 n. 22656), come appunto è avvenuto nella fattispecie secondo la valutazione operata dalla Corte territoriale.
Per altro verso deve rilevarsi che la condizione di non vedente non è di per sé sufficiente a dedurre l’incapacità di quest’ultimo alla sottoscrizione di un atto, atteso che, come è stato già ritenuto da questa Corte, le disposizioni di cui agli artt. 2 e 4 della legge 3-2-1975 n. 18 in tema di atti sottoscritti da soggetti non vedenti sono tali da escludere la legittimità dell’affermazione secondo la quale detta condizione fisica sia “ex se” sufficiente a giustificare la mancata apposizione della propria firma su di un atto da parte del cieco, considerando, viceversa, il nostro ordinamento tali soggetti come persone dotate, in linea di principio, della capacità di firmare atti che li riguardino; ne consegue che un testamento pubblico non sottoscritto dal non vedente non può essere dichiarato valido sull’erroneo presupposto dell’idoneità a costituire utile succedaneo alla sottoscrizione la mera dichiarazione resa dal testatore al notaio rogante (e da questi trasfusa nell’atto) di essere impossibilitato a sottoscrivere perché cieco, nella mancanza di qualsiasi verifica in ordine alla concreta correlabilità a tale “status” di una effettiva e non ovviabile incapacità a vergare la propria firma e, quindi, di ogni accertamento sulla effettiva veridicità e valenza di tale professione di incapacità a sottoscrivere che, viceversa, va in concreto riscontrata ed accertata (Cass. 9-12-1997 n. 12437).
È poi appena il caso di osservare, con specifico riferimento al secondo motivo in esame, anche alla luce di quanto da ultimo rilevato, che fa piena prova, fino a querela di falso, nella fattispecie, l’attestazione del notaio A. limitatamente alla dichiarazione resa da C.S. circa il suo impedimento a sottoscrivere l’atto, ma non anche alla veridicità di tale dichiarazione; pertanto, allorquando il notaio abbia fatto menzione nel testamento pubblico della dichiarazione del testatore riguardante la causa impeditiva della sottoscrizione dell’atto, occorre che tale causa, indicata dall’ufficiale rogante, sussista nella realtà, derivandone in caso contrario il difetto di sottoscrizione e quindi la nullità del testamento ai sensi dell’art. 606 primo comma c.c. (Cass. 23-10-1978 n. 4781; Cass. 5-11-1990 n. 10605; Cass. 6-11-1996 n. 9674).
Con il terzo motivo il ricorrente incidentale, deducendo violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver compensato le spese del giudizio di appello tra gli attuali ricorrenti principali e l’esponente senza addurre alcun motivo a sostegno di tale statuizione, invero insussistenti nel rapporto processuale tra il chiamante B. ed il chiamato A. , non essendoci stata alcuna soccombenza da parte di quest’ultimo.
La censura è fondata.
Premesso che la Corte territoriale ha compensato interamente le spese di giudizio anche tra gli appellanti principali e l’A. per la sussistenza di giusti motivi senza peraltro fornire alcuna argomentazione a base di tale statuizione, neppure in via indiretta od implicita, si deve richiamare in proposito la pronuncia delle Sezioni Unite di questa stessa Corte secondo cui nel regime anteriore a quello introdotto dall’art. 2 primo comma lett. a) della legge 28-12-2005 n. 263 (applicabile nella fattispecie “ratione temporis”), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito o di rito (sentenza 30-7-2008 n. 20598).
Con l’unico motivo di ricorso incidentale la Assid s.p.a., deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 167 terzo comma-269 secondo comma e 271 c.p.c. in relazione all’art. 1911 c.c., assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto rituale la chiamata in causa effettuata dall’A. delle compagnie assicuratrici L’Abeille poi AXA s.p.a., Winterthur, Siat e SNA ora Assid, a seguito delle difese svolte dalla CAB; invero l’A. all’atto di tale chiamata in causa della Seri era perfettamente a conoscenza del fatto che la stessa era sprovvista della rappresentanza processuale delle altre coassicuratrici, e che l’assicurazione prestata con la polizza stipulata dal predetto notaio era ripartita “pro – quota” tra tutte le imprese coassicuratrici; conseguentemente l’autorizzazione a detta chiamata in causa era illegittima ai sensi degli articoli sopra richiamati, e dunque era errata la compensazione delle spese di lite tra l’A. e le compagnie assicuratrici chiamate in causa in quanto il notaio, essendo incorso in decadenza rispetto al diritto alla chiamata in causa, era rimasto soccombente con conseguente suo obbligo al rimborso delle spese di giudizio in favore delle compagnie medesime.
Il motivo è inammissibile.
Invero è decisivo rilevare che la Assid non ha censurato la mancata pronuncia da parte della sentenza impugnata sulla pretesa inammissibilità per decadenza della chiamata in causa delle suddette compagnie assicuratrici da parte dell’A. , considerato che la risoluzione di tale questione costituisce un presupposto imprescindibile in ordine alla decisione sul motivo in esame riguardante la disposta compensazione delle spese tra lo stesso A. e le compagnie assicuratrici.
In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio tra i ricorrenti principali e l’A. ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.
Le spese invece seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo nei rapporti sia tra i ricorrenti principali ed il C. , sia tra l’A. e la Assid; nessuna statuizione deve invece essere assunta in ordine alle spese riguardo alla società Navale Assicurazioni, che ha notificato il controricorso soltanto ai ricorrenti principali, considerato che tra questi ultimi e la suddetta società non sussiste alcun rapporto oggetto di statuizione da parte della sentenza impugnata.

P.Q.M.

La Corte Riunisci ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale dell’A., dichiara inammissibili gli altri, rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale della società Assid, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio tra i ricorrenti principali e l’A. ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento in favore del C. di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 3.000,00 per compensi, e condanna la società Assid al pagamento in favore dell’A. di Euro 200,00 per esborsi e di Euro 2.000,00 per compensi.

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